Preghiera per la Patria
Da qualche tempo sto riflettendo sulle eventuali responsabilità che le grandi narrazioni religiose possono aver avuto nell’affermazione del pensiero neoliberista nella società contemporanea. Per ovvi motivi storico-culturali, la religione che più ci interessa analizzare è il Cristianesimo, e in particolare il cattolicesimo (anche se sarebbe interessante analizzare il protestantesimo, culla del moderno capitalismo). Infatti, per quello che ho imparato da bambino, a rigor di logica, un cristiano cattolico è quanto di più distante ci possa essere dal perfetto neoliberista: ripudio della ricchezza materiale a vantaggio della spiritualità, solidarietà , famiglia come fondamento e base sociale; sono valori in netto contrasto con il materialismo spinto e l’ateismo incalzante della società post-moderna.
Penso che non sia un caso che negli ultimi trent’anni, mentre il pensiero individualista neoliberista cresceva, ci sia stata una diffusa disaffezione al legame religioso, soprattutto in un paese come il nostro dove era molto rappresentato anche a livello politico.
Quello che qui mi piacerebbe affrontare è in che modo la Chiesa di oggi possa guardare al sovranismo e in modo particolare al concetto di popolo.
Vi propongo quindi un saggio del 2010 di Papa Francesco, quando era ancora il cardinal Bergoglio di Buenos Aires. In questo saggio, lui si rivolge al popolo argentino ovviamente, ma come potremo vedere, il suo messaggio è universale e appartiene a tutti i popoli. In particolare penso che ci siano parecchie affinità tra l’Argentina e l’Italia nei modi e nei tempi di creazione dello stato nazionale, che ovviamente ha influito sulla presa di coscienza dei residenti.
Il saggio si chiama “Noi come cittadini Noi come popolo”.
Papa Francesco scrive:
Quegli uomini di duecento anni fa desideravano costruire una nazione indipendente e sovrana. Questo fu il loro lascito alla storia.
È un dato certo che, nella nostra condizione di popolo nuovo nella storia, la nostra identità non si è del tutto e perfettamente definita. Si tratta di un processo, di un farsi popolo. Di una integrazione. Di un lavoro lento, difficile, molte volte doloroso, per il quale la nostra società ha lottato. Siamo un popolo nuovo, una patria bambina.
Il sistema democratico è l’orizzonte e lo stile di vita che abbiamo scelto di avere e in esso dobbiamo dirimere le nostre differenze e trovare i nostri consensi.
Poi, passa ad analizzare la società contemporanea e i suoi difetti:
Oggi esiste una tendenza, sempre più accentuata, ad esaltare l’individuo. Si tratta di un individualismo libertino, edonistico, consumistico, senza un orizzonte etico né morale.
La nostra politica spesso non si è messa in modo deciso al servizio del bene comune. …c’è solo una sconfitta collettiva. È una responsabilità che ci accomuna tutti.
Abbiamo quindi un deficit di politica, intesa, nel senso ampio del termine, come la forma specifica che abbiamo per relazionarci in società. L’aspetto politico ci comprende tutti ed è responsabilità di tutti, anche se non siamo direttamente impegnati in attività politiche.
La riduzione della politica a spettacolo o a pura immagine è un fenomeno recente, che promuove personaggi privi di contenuto e di proposte, senza capacità di gestione né soluzioni per affrontare situazioni complesse come quelle che si trovano a vivere le società contemporanee. Non si tratta di una questione locale. Non è necessario fare esempi per rendersi conto dell’emergere di leadership inconsistenti prodotte da campagne pubblicitarie o dalla complicità mediatica.
Come antidoto, indica i doveri sociali di ogni cristiano devoto:
Non possiamo rassegnarci ad una idea di democrazia a bassa intensità.
L’amore cristiano spinge alla denuncia, alla proposta e all’impegno di progettazione culturale e sociale, ad una fattiva operosità, che sprona tutti coloro che hanno sinceramente a cuore la sorte dell’uomo ad offrire il proprio contributo.
Per formare comunità ciascuno ha un munus, un ufficio, un compito, un obbligo, un darsi, un impegnarsi, un dedicarsi agli altri. Queste categorie sono cadute nell’oblio, oscurate di fronte all’impellente spinta dell’individualismo consumistico.
Allargando i concetti qui esposti alla società tutta, ci definisce il concetto di cittadino:
Etimologicamente, cittadino viene dal latino citatorium. Il cittadino è il convocato, il chiamato al bene comune, convocato perché si associ in vista del bene comune.
Se dunque il cittadino è qualcuno che è convocato e obbligato a contribuire al bene comune, per ciò stesso fa politica, che, secondo il magistero pontificio, è una forma alta della carità.
Quindi il cittadino è chi è obbligato a perseguire il bene comune, ma l’allora cardinal Bergoglio dice di più:
Non basta l’appartenenza alla società per essere pienamente cittadino, la persona sociale acquisisce la sua piena identità di cittadino nell’appartenenza ad un popolo. Non c’è identità senza appartenenza.
Cittadini è una categoria logica. Popolo è una categoria storica e mitica. Contiene un plus di significato che ci sfugge se non ricorriamo ad altri modi di comprensione. Si vive in società e si dipende da un popolo.
Dobbiamo porci come cittadini in seno ad un popolo.
Quindi esplicita meglio il concetto di popolo:
Esiste una differenza sostanziale tra massa e popolo. Popolo è la cittadinanza impegnata, riflessiva, consapevole e unita in vista di un obiettivo o un progetto comune. Quando parliamo di cittadino, lo contrapponiamo alla massa di persone.
Essere cittadini significa essere convocati per una scelta, chiamati a una lotta, a questa lotta di appartenenza a una società e a un popolo. Smettere di essere mucchio, di essere gente massificata, per essere persone, per essere società, per essere popolo. Questo presuppone una lotta. La lotta ha due nemici: il menefreghismo e la lamentela.
Che fare allora? Quale deve essere il progetto su cui basare la politica futura?
L’uomo è il soggetto, il principio e il fine di qualsivoglia attività politica, economica, sociale e la loro ragion d’essere.
Il nostro paese merita un progetto integrante. Questo progetto va oltre i tempi di qualsiasi governo, perché necessita di una visione a medio e lungo termine, e pertanto esige una continuità che può essere garantita solo mediante il compromesso tra le diverse forze politiche e sociali.
È possibile sollevare un poco lo sguardo dall’immediato che ci consuma e sognare un paese che forse darà frutti solo ai nostri figli e nipoti?
L’utopia non è fuga. Qui, invece è in senso positivo, come causa finale, come telos.
Non si può determinare un sistema prescindendo dall’uomo per poi obbligarlo a farne parte. Sarebbe inutile progettare minuziosamente un’organizzazione il cui intento, nel migliore dei casi, non sarebbe che quello di conseguire un ordinamento formale, meccanico e astratto che non risponderebbe alle esigenze innate della natura umana né terrebbe conto dei tratti caratteristici dell’uomo, incorporati storicamente nella nostra stessa nazionalità. Si tratta dell’accordo di vivere insieme. È la volontà esplicita di essere popolo-nazione nel mondo contemporaneo. È un’esperienza di popolo in cammino nella storia.
Qual è il compito dello Stato nella società?
Dobbiamo recuperare la missione fondamentale dello Stato, che è quella di assicurare la giustizia e un ordine sociale giusto al fine di garantire ad ognuno la sua parte di beni comuni.
Il lavoro è fonte di dignità e costituisce la colonna portante dell’identità nazionale e sociale.
In questo discorso universale, il Papa ci fa riflettere sul ruolo fondativo fondamentale che ha un popolo nel determinare un patto sociale e quindi uno Stato. Concetti che sono alla base dei principi fondamentali della nostra Carta Costituzionale.
Il nostro popolo sa che l’unica via d’uscita è il cammino silenzioso, ma deciso e costante.
Vi lascio con la preghiera con cui Papa Francesco conclude il discorso (e che dà il titolo al post), come augurio al nostro futuro sovranista:
Gesù Cristo, Signore della storia, abbiamo bisogno di te.
Ci sentiamo feriti e oppressi.
Abbiamo bisogno del tuo conforto e della tua forza.
Vogliamo essere nazione,
una nazione la cui identità
sia la passione per la verità
e l’impegno per il bene comune.
Dacci il coraggio della libertà
dei figli di Dio
per amare tutti senza escludere nessuno,
privilegiando i poveri
e perdonando quelli che ci offendono,
rifiutando l’odio e costruendo la pace.
Concedici la saggezza del dialogo
e la gioia della speranza che non delude.
Tu ci convochi. Siamo qui, Signore,
vicini a Maria, che da Lujàn ci dice:
Argentina! Canta e cammina!
Gesù Cristo, Signore della storia, abbiamo bisogno di te.
Amen.
PS: per chi volesse, è interessante confrontare i due discorsi al parlamento europeo degli unici due Papi che ci sono andati: Papa Francesco, il 25 novembre scorso, e Papa Giovanni Paolo II nel 1988. Potrete notare la differenza di terminologia usata dagli stessi, pur nel rispetto dell’istituzione che avevano davanti, che autorizza a pensare il retaggio storico culturale differente tra i due pontefici.
Ringrazio Piotr Zygulski per il suggerimento di lettura e la chiaccherata.
Davide Visigalli
ARS-Liguria
L’Argentina e l’Italia hanno storie diverse. Per ovvi motivi storici, il Papato non e’ mai stato tenero né con gli Stati preunitari (vedi Repubblica Veneta), ne’ con lo Stato italiano.
Certamente. Ho parlato di affinità (forse “molte” è stato azzardato). Sicuramente potevo scriverlo meglio. Mi riferivo soprattutto all’età delle due nazioni ( circa 200 anni per l’Argentina, circa 150 per l’Italia) e al modo “tribolato” e non coeso (concedetemi i termini approssimati) che sicuramente è avvenuto per l’Italia e, traspare dallo scritto di Bergoglio (che non ho riportato), anche per l’Argentina.
D’accordo sull’uso del potere temporale che il papato ha attuato prima e durante l’Unità. Il mio articolo si riferiva alla morale religiosa cattolica e i suoi eventuali punti d’incontro con il sovranismo, in particolare sull’importanza del popolo partecipe della vita politica. D’altra parte la storia della Chiesa è piena di incoerenze tra i dettami spirituali e l’applicazione del potere temporale.