Debito pubblico o debito privato
di ANDREA ALQUATI (FSI Viterbo)
Sto leggendo con interesse un programma elettorale molto approfondito e dettagliato per il mio Comune di residenza (dove si vota anche per il sindaco domenica), che elenca per ogni progetto le fonti di finanziamento che si vorrebbe reperire. Si tratta dei famosi fondi europei, che si dice sempre non siamo in grado di spendere, che è tanto difficile aggiudicarsi perché sono una quantità limitata e per averli occorre battere la concorrenza di qualcun altro e rispettare complicati parametri nella presentazione della domanda (una burocrazia così complessa da richiedere l’assistenza tecnica di consulenti che fanno questo di mestiere).
Il motivo per il quale è così complicato accedervi deriva da una scelta politica, cioè la scarsità del bilancio destinato dall’Unione europea, che si alimenta solo dei contributi degli Stati membri e non ad esempio dell’emissione di titoli di debito pubblico europeo.
Una volta i Comuni non si finanziavano attraverso questa feroce competizione fra di loro, ma attraverso i trasferimenti dallo Stato italiano, che provvedeva loro quanto occorreva per garantire i servizi ai cittadini senza costringerli ad esigere imposte sulla proprietà degli immobili e a coprire i costi delle utenze interamente con le bollette. Per questo in tutti i Comuni, anche i più piccoli, avevamo delle scuole, non perché i Comuni riscotessero dai Cittadini più di quanto spendessero, altrimenti avrebbero depresso l’economia. Per questo avevamo una rete capillare di ospedali civili sul territorio nazionale, non perché esportavamo più di quanto importavamo, altrimenti li avremmo avuti solo nelle zone più ricche.
Dicono che con questo sistema cresceva il debito pubblico. Ma per esserci crescita economica ci deve essere per forza debito in quel sistema che si chiama “Capitalismo”, che quasi tutti voi ritenete preferibile a un’economia pianificata come era in Unione Sovietica. Il Capitalismo si basa su qualcuno che si indebita per realizzare un progetto e non può essere solo privato questo debito, altrimenti succede quello che è successo in America nel 2008: a un certo punto la gente ha troppe rate sul conto e non soddisfa più i requisiti per ulteriori prestiti, quindi la crescita economica si blocca, si riducono stipendi e occupazione e allora vengono concessi sempre meno prestiti, non si riesce più a ripagare quelli vecchi e iniziano insolvenze, fallimenti, licenziamenti.
Serve quindi anche il debito pubblico per produrre quello che i privati non producono (strade, ponti, ferrovie, porti, reti ecc.) e sostenere l’occupazione e quindi anche i consumi e gli investimenti privati. Da quando abbiamo deciso di ridurlo, ai Comuni sono stati tagliati i trasferimenti dallo Stato ed imposto di finanziarsi da soli a spese dei Cittadini, che già danno allo Stato più di quanto ricevono. Per questo per qualsiasi necessità, dalla viabilità alla riqualificazione degli immobili abbandonati, si dice che “non ci sono i soldi”.
Lo Stato ha deciso di rinunciare a poter far debito per creare sviluppo, ha trasferito questa sua prerogativa all’Unione europea, ma l’Unione non lo fa. La Banca Centrale Europea i soldi li presta solo alle banche, mentre i fondi per lo sviluppo si alimentano con i soli contributi che gli Stati conferiscono all’Unione, dopo aver tolto quei soldi di tasca ai Cittadini stessi. Quindi si tratta semplicemente di una redistribuzione fra le diverse zone dell’Unione e ovviamente non ce ne può essere per tutti: per questo c’è una lotta a coltello per acchiapparli e il meccanismo è così complicato e selettivo.
Certo con questo sistema non sarebbe possibile creare il patrimonio pubblico e privato che hanno creato i nostri nonni, ma è molto difficile anche soltanto conservare l’esistente. Per questo dicono tutti di voler “cambiare e riformare questa Europa”, ma a una settimana dalle elezioni europee ancora non abbiamo sentito una parola su cosa intenderebbero fare in concreto per migliorarla.
Commenti recenti