Ripensare il socialismo. Riflessioni a partire da un testo di Andrea Zhok (III parte)
di GENNARO SCALA (FSI Bologna)
Non esistono spiegazioni razionali né alla nostra presenza sulla terra, né alla morte. La ricerca scientifica è nobile cosa, ma quando travalica il suo ambito specifico diventa una cattiva teologia. Il marxismo voleva essere un metodo di analisi della realtà sociale sistematico, accurato e da verificare nella prassi reale e che quindi pretendeva a ragione di essere “scientifico”, tuttavia travalicava questo ambito quando voleva essere una “visione del mondo” onnicomprensiva alternativa alla religione. Allo stesso modo la religione e l’arte, e tutte quelle attività simboliche che cercano di dare un senso all’essere al mondo dell’uomo non possono travalicare il loro ambito per entrare nell’ambito del conflitto politico. I simboli religiosi o la Venere di Botticelli non sono né di destra né di sinistra, ma appartengono a tutti coloro che si riconoscono in un sistema culturale al di là dei conflitti reciproci, contingenti o strutturali che siano.
Per quanto riguarda invece l’opposizione materialismo/idealismo all’interno della quale si collocò Marx optando per il materialismo, ritengo debba essere abbandonata sia la fondatezza di tale opposizione, sia la collocazione nell’ambito del materialismo. Secondo Costanzo Preve: “Il fatto che il sapere quotidiano ponga materialismo ed idealismo ai due estremi di un campo non solo teorico ma anche emozionale e passionale, non sarà forse il sintomo ancora poco elaborato (ma elaborabile, se lo vogliamo) di un dato, per cui la loro esistenza è solo possibile all’interno di una unità dialettica ontologicamente omogenea? Detto in modo più semplice, non esiste materialismo senza idealismo, e viceversa, per cui pensare alla “vittoria” di un termine sull’altro è pura illusione ideologica identitaria priva di qualsiasi base filosofica seria. Ripetuto in modo più filosofico, diremo che l’idealismo è semplicemente l’elaborazione dialettica delle contraddizioni del materialismo, ed inversamente il materialismo è solo l’elaborazione dialettica delle contraddizioni dell’idealismo. Da questo personalmente ricavo due conseguenze metodologiche di grande importanza.
In primo luogo, il fatto che bisogna riscrivere integralmente la storia del marxismo, senza fidarsi di nulla di quello che è stato scritto fino ad oggi, anche se è ovviamente bene non assumere atteggiamenti distruttori verso una tradizione ricchissima durata un secolo e mezzo. E bisogna riscriverla integralmente perché essa è stata costruita sul fondamento della lotta e dell’auspicata vittoria finale del materialismo sull’idealismo, o se si vuole della tradizione materialistica su quella idealistica. Da Engels (morto nel 1895) ad Althusser (morto nel 1990) la continuità di questa teodicea materialistica è impressionante. Ma se ci mettiamo da un punto di vista diverso, in cui materialismo e idealismo sono momenti correlati di una unica ontologia, scopriamo non solo che Marx è stato il terzo grande “idealista” dopo Fichte ed Hegel, ma anche che il suo indiscutibile “materialismo” è stato di fatto solo una metafora di due altre posizioni filosofiche, il suo ateismo ed il suo strutturalismo. (Costanzo Preve, Storia del materialismo).
Come spesso capita quando ci si oppone ad una tesi radicata, Preve sostenne la tesi opposta del Marx idealista, ma lo stesso Marx nei suoi momenti filosoficamente più significativi si collocò in un’ontologia che non è né materialista né idealista, secondo la formula previana. Il famoso passo del Capitale dove l’attività propria dell’essere umano è caratterizzata dalla presenza dell’elemento “ideale” assente negli animali è uno dei migliori esempi.
L’unico studioso (e andrebbe decisamente ristudiato) che ha iniziato a fondare un’ontologia che fosse oltre materialismo e idealismo è stato Nicolai Hartmann con la sua teoria degli strati, mentre Lukács, che pur da questi prese molti concetti, diede alla sua Ontologia dell’essere sociale una dis-torsione materialistica. Invece Heidegger se pur ha formulato la “domanda ontologica” non ha creato nessun ontologia, come osserva giustamente Hartmann. Piuttosto la sua attualità è nell’aver posto la questione del nichilismo della Tecnica, sviscerata da Nietzsche, la cui “volontà di potenza” considerò la massima espressione del nichilismo della Tecnica. “Per che cosa si lotti è, pensato e auspicato come fine con un contenuto particolare, sempre di importanza secondaria. Tutti i fini della lotta e le grida di battaglia sono sempre e solo strumenti di lotta. Per che cosa si lotti è già deciso in anticipo: è la potenza stessa che non ha bisogno di fini. Essa è senza-fini, così come l’insieme dell’ente privo-di-valore. Questa mancanza-di-fini fa parte dell’essenza metafisica della potenza. Se mai qui si può parlare di un fine, questo fine è la mancanza di fini dell’incondizionato dominio dell’uomo sulla terra. L’uomo di questo dominio è il super-uomo (Uber-Mensch)” (Martin Heidegger, Nietzsche).
Tali questioni sono ancora oggi per noi cruciali, la volontà di incondizionato dominio dell’uomo sulla natura ha una lunga storia, ed ha prodotto danni enormi, che non sarà facile rimediare, tuttavia si comincia ad intravvedere un distaccarsi della Tecnica dalla Potenza, tale stretto rapporto, il motivo per cui la Tecnica sembra destinata ad un dominio incontrastabile, è stato proprio di un periodo in cui l’Occidente ha avuto la supremazia tecnica, ma cessata questa prevarranno altri fattori.
La filosofia di Heidegger pur avendo posto tale questione cruciale è finita nel corto circuito della critica nichilistica del nichilismo, come osserva Severino porre la domanda “perché l’essere e non il nulla?” è già nichilismo perché implica che l’essere possa anche non essere. Procedo rapidamente, pur essendo questioni cruciali, e che andrebbero trattate adeguatamente, ma in questa occasione non possiamo che accennare. Lo stessa filosofia di Severino che rappresenta un’importante continuazione originale della tematica di Heidegger, seppur ha effettuata una critica decisiva dello stesso Heidegger, mostrando l’esito nichilista della sua filosofia, cade egli stesso nel corto circuito della critica idealistica dell’idealismo, da una parte abbiamo una critica radicale alla platonica “dottrina delle ombre”, dall’altra parte l’“inaudita” dottrina dell’eternità degli enti altro non è che la dottrina platonica delle idee, la quale eternizza l’ente sensibile (Aristotele).
Sia quello di Heidegger che quello di Severino sono tentativi di rifondare radicalmente l’idealismo, da cui se ne rivela il radicale fallimento, mentre l’idealismo proclamava con Hegel che la storia della filosofia culminava con la Germania, iniziava il declino europeo. Tale rifondazione dell’idealismo prevede il ritorno al suo vero fondatore che non fu Platone bensì Parmenide che identificò pensiero ed essere. Il nostro obiettivo sarà invece quello di uscire fuori dal “gioco di specchi” tra idealismo e materialismo.
La questione della Tecnica è fondamentale ad andrà analizzata con attenzione dal nuovo socialismo, perché superare il “predominio della Tecnica” sarà uno dei compiti fondamentali, ma ha portato con sé, nei suoi due maggiori teorici, Heidegger e Severino, un certo concetto di decadenza, poiché i problemi odierni deriverebbero da un errore originario, “oblio dell’essere” a partire dalla Metafisica di Platone, oppure l’aver cominciato a far “uscire le cose dal nulla” dopo Parmenide.
Questa idea di decadenza che è una forma di caduta in seguito ad un errore originario è fuorviante. Il parmenideo “sentiero della notte” è proprio quello in cui tutte le vacche sono nere. La storia del pensiero dopo Parmenide, non è stato solo errore e follia, innanzitutto Aristotele non è nichilista perché “non fa uscire le cose dal nulla” ma al contrario identifica idealismo e materialismo (Platone e Democrito) perché finiscono per concordare sull’esistenza del nulla, che per Aristotele invece non è ammissibile. E anche successivamente nel mondo moderno, pur esistendo effettivamente il il nichilismo, vi sono stati autori che sono sostanzialmente anti-nichilisti come Machiavelli, Spinoza, Goethe, e pensatori che hanno tanto aspetti nichilisti quanto anti-nichilisti come Hegel, Marx, Nietzsche.
Senza dubbio le nostre società sono decadenti, e la decadenza, con la sua atmosfera di depressione, porta con sé con l’idea schiacciante che la realtà non sia modificabile, che niente e nulla cambia (per Severino tutto risolverà la stessa Tecnica, dobbiamo solo affidarci al Destino). Ma questo è appunto uno stato d’animo collettivo di depressione, la realtà sociale come ogni realtà vivente muta in continuazione, la vita rinasce continuamente e lo stesso avviene per la vita sociale. L’atmosfera di decadenza fa sembrare che sia la “fine di tutto”, ma è in realtà la fine di un mondo, la premesse per il mondo successivo sono già presenti in quello presente, nulla nasce dal nulla. Anche quella che sembra la prospettiva più deprimente di tutte, il conflitto nucleare, l’esperienza concreta di Chernobyl, nei cui dintorni è sorta una rigogliosa fauna favorita dall’assenza dell’essere umano, fa pensare che le previsioni catastrofiche di una possibile fine della vita sulla Terra nei “millenni a venire” in seguito a conflitto atomico non siano fondate, ma siano piuttosto il lato negativo del senso di onnipotenza della Tecnica.
Soprattutto certo tradizionalismo relativamente alla decadenza diffonde i sentimenti più deprimenti, esiste un tradizionalismo buono che difende il sostrato culturale al di sopra del quale si costruisce ogni identità culturale, poiché nulla viene dal nulla, esiste invece un tradizionalismo cattivo che ipostatizza questo sostrato e vede il presente come pura e semplice caduta. Coloro che si attaccano alle glorie passate sono nemici della vita. Certo lo spettacolo del fiorire e del dissolversi delle civiltà induce malinconia come la visione di un bel fiore appassito, c’è un bel passo di Goethe che osserva in un dialogo con Hegel questa triste realtà, tuttavia questo sfiorire è il presupposto necessario per il rifiorire. È la vita.
Vi è stata tutta una corrente filosofica che “da sinistra” ha utilizzato Nietzsche e Heidegger per demolire l’idea del Progresso, tra i più noti in Italia vi è stato Vattimo. Tuttavia la necessaria demolizione non ha fatto spazio ad una successiva ricostruzione , ma ha lasciato il nulla oppure credenze politiche puramente ineffettuali, come il “comunismo ermeneutico” di Vattimo, avanzate giusto per credere in qualcosa. E’ stato filosoficamente giustificato distruggere il mito del Progresso. Il nuovo socialismo si pone al di fuori dell’ideologia del Progresso.
Oggi, a ragion veduta, dopo le illusioni relative al grande balzo tecnologico della “prima rivoluzione industriale” non è più possibile credere nel Progresso, sul piano tecnico il “Progresso” aumenta le capacità produttive ma per lo stesso motivo pure quelle distruttive, sul piano sociale, se è vero che le società umane crescono nel tempo in complessità e organizzazione, questa complessità è indifferente al benessere umano, può creare tanto benessere che malessere, è sempre l’attività consapevole che indirizza le strutture sociali in una direzione o nell’altra. Infine, il socialismo non è uno stadio da raggiungere in una progressione verso non si sa cosa, ma uno stato dettato dall’equilibrio delle forze in campo che crea condizioni sociali a favore delle classi popolari. Una condizione che può sempre degenerare se non vi sono sufficienti forze sociali che lottano per mantenere e migliorare una determinata condizione.
In conclusione, ci sarebbe una mole enorme di lavoro intellettuale collettivo da fare, prima si comincia meglio è. Sperò che altri di fronte all’evidenza di una sinistra in stato di decomposizione si convinceranno che è necessario intraprendere nuove strade. Abbandonare questa sinistra è diventato un fatto di pura sopravvivenza per chi è ancora cerebralmente vivo. Si spera che un giorno saremo in molti e che si possa intraprendere un lavoro intellettuale collettivo e organizzato, ma come antidoto alla “boria degli intellettuali” bisogna ricordare che senza le persone in carne e ossa, “le masse” che si organizzano e lottano, le idee rimangono sulla carta, come ben sapeva Marx che resta pur sempre un maestro pur appartenendo ad un’epoca diversa dalla nostra.
[fine]
Qui e qui la prima e la seconda parte dell’articolo
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