Ripensare il socialismo. Riflessioni a partire da un testo di Andrea Zhok (I parte)
di GENNARO SCALA (FSI Bologna)
Quello di Andrea Zhok è, come egli stesso scrive, non più di un esercizio di pensiero, il provare a pensare a cosa possa significare oggi socialismo, “un punto di partenza, da lasciarsi successivamente alle spalle”. E non può essere altrimenti, “ripensare il socialismo” sarà un lavoro che impegnerà anni e decenni di lavoro intellettuale collettivo, ma bisogna appunto iniziare.
Zhok proviene dalla sinistra, ma è tra coloro, in numero crescente, che si sono resi conto che essa è giunta al capolinea, tutte le sue principali organizzazioni versano in uno stato di irreversibile corruzione che le rende “irriformabili”, come già aveva visto da tempo Costanzo Preve. Non credo sia estranea a questo tentativo di Zhok l’esigenza posta da Carlo Formenti di un “nuovo inizio” nel suo ultimo libro Il socialismo è morto, viva il socialismo. Insomma, morta una forma di socialismo se ne fa o se ne dovrebbe fare un’altra, sulla base di queste sollecitazioni Zhok ha provato ad immaginare concretamente come possa dirsi un nuovo socialismo. Su questa scia, voglio intraprendere anch’io una cavalcata solitaria esplorativa nel territorio ancora sconosciuto di questo nuovo e ipotetico socialismo, nella speranza di scoprire un terreno politico che un domani potrà essere abitato politicamente.
Un’effettiva ricostruzione del pensiero socialista potrà farsi soltanto in correlazione ad effettivi movimenti sociali che di esso abbiano bisogno per orientare la prassi, per cui quanto segue non può che essere un esercizio di pensiero, tuttavia non credo sia inutile come esercizio, è un punto di partenza, è un iniziare a pensare, un provare ad immaginare. Sebbene nessuno è in grado di prevedere il futuro, sono fiducioso che nel futuro rinasceranno dei nuovi movimenti sociali, lo sono perché questi movimenti sono necessari dopo decenni di “lotta di classe dall’alto” (Luciano Gallino), cioè dopo un’offensiva delle classi dominanti (definita neo-liberalismo) che ha devastato condizioni di vita e diritti conquistati nel dopoguerra, soprattutto a partire dagli anni ’90, e più precisamente dal “crollo dell’Unione Sovietica”, la cui stessa esistenza induceva la classi dominanti occidentali ad essere più caute nei confronti dei propri dominati.
Tali movimenti dovrebbero derivare dalla consapevolezza diffusa che nessuno al di fuori di te stesso si farà carico di lottare per migliore la tua condizione e per farlo ti conviene organizzarti con chi è nella tua stessa condizione. Soltanto “movimento di base” del genere creerà lo spazio effettivo per cui specifiche organizzazioni politiche, dotate di opportuna elaborazione teorica che necessita degli strumenti adeguati, potranno sviluppare e portare avanti una propria proposta politica per affrontare i conflitti sociali.
L’alternativa ad una rinascita delle lotte sociali è una società desertificata, spenta, che prima o poi crolla e diventa preda di società più vitali. Questo è il rischio che si corre quando le classi dominanti “vincono troppo”, esse finiscono per desertificare la società in cui pur sempre vivono. L’ammonimento di Machiavelli alle classi dominanti risulta ancora attualissimo cinque secoli dopo: “Per tanto, se tu vuoi fare uno popolo numeroso ed armato per poter fare un grande imperio, lo fai di qualità che tu non lo puoi poi maneggiare a tuo modo: se tu lo mantieni o piccolo o disarmato per poter maneggiarlo, se tu acquisti dominio, non lo puoi tenere, o ei diventa sì vile che tu sei preda di qualunque ti assalta.”
Al di là dell’aspetto militare, diventato oggi molto più complesso con il complicarsi e diversificarsi del modo in cui si svolgono i conflitti, resta valido il concetto di base secondo cui la forza di una società si basa sul “materiale umano”, scusate la brutale espressione, da cui è composta. Classi dominanti che nella smania di dominio e controllo devastano tale “materiale umano”, e oggi i mezzi per la sua manipolazione sono tanti, segano il ramo su cui sono sedute.
Gramsci volle fare del Principe una metafora del Partito, ma il pensiero di Machiavelli andrebbe recuperato in senso molto ampio più da un “nuovo socialismo”, innanzitutto perché Machiavelli è stato il primo nella storia del pensiero politico ad attribuire un valore positivo al conflitto sociale. Quanti rivendicano la legittimità del conflitto sociale lo fanno, inconsapevolmente, in nome del repubblicanesimo machiavelliano, che è stata una delle grandi correnti che attraversò tutto il pensiero politico europeo e occidentale, dall’Inghilterra, alla Francia agli Stati Uniti (vedi in merito il mio Il paradigma machiavelliano).
Discutere di socialismo con lo spirito di un nuovo inizio è lo spirito giusto, spero che possa essere fatto al di là del singolo scritto o anche singolo convegno e in modo protratto nel tempo, penso ad una forma di lavoro collettivo intellettuale organizzato. Parlare di socialismo oggi è una scommessa, ma fino ad ieri non sembrava neanche immaginabile, sembrava un’idea ormai sepolta, ma riacquisterà davvero senso, ripeto, soltanto se rinasceranno dei movimenti collettivi, i quali però non sono puramente immaginari, ad es. i gilet gialli francesi per la loro persistenza, radicamento e radicalità potrebbero esserne un’anticipazione.
Man mano si finirà per constatare, dopo la grande illusione individualista degli ultimi decenni, che la via d’uscita individuale non esiste, soltanto riscoprendo i valori dell’amicizia e della solidarietà, ed il senso di appartenenza al proprio gruppo sociale e al proprio stato, si potranno affrontare i problemi sia di ordine pratico che di ordine psicologico, mentre invece l’individualismo dominante mette l’essere umano, quale “essere sociale” , in una situazione insostenibile tanto sul piano pratico che psicologico.
“Tutti lottano per mantenere la propria individualità il più possibile separata e desiderano assicurare la massima pienezza alla propria vita; tutti i loro sforzi invece non riescono a raggiungere la pienezza di vita ma l’autodistruzione, perché invece di giungere alla realizzazione di se stessi, finiscono con l’arrivare alla solitudine più completa. Dappertutto, ai nostri giorni, gli uomini hanno cessato, a ludibrio di se stessi, di comprendere che la vera sicurezza si trova nella solidarietà sociale piuttosto che nello sforzo individuale isolato.” (F. Dostoevskij, I fratelli Karamazov).
Uno scrittore molto dostojevskiano come Houellebecq (come notavo in recensione a Sottomissione) ha saputo rappresentare nel suo ultimo romanzo Serotonina, con la tecnica del romanziere russo della “situazione estrema”, in modo davvero efficace l’individuo che incantato dal novero delle possibilità astratte finisce per distruggere ogni socialità reale, partire da una relazione sentimentale autentica del protagonista, concludendosi nell’angoscia estrema del vuoto totale di relazioni. Un romanzo che è davvero un’efficace rappresentazione della distruttività dell’individualismo.
Per questo l’unico punto che non condivido dello scritto di Zhok è la valutazione positiva della socialdemocrazia svedese. Qui lo Stato sembra in funzione della libertà dell’individuo di isolarsi, la libertà viene vista come il perseguire una propria strada che porta in una direzione opposta a quella degli altri, persino chi desidera un figlio non ha bisogno di cercarsi un compagno perché lo stato garantisce la possibilità della fecondazione anche alle donne singole. Il che invece a mio parere andrebbe vietato per rispetto del diritto del bambino ad avere una famiglia.
A quanto pare è un modello di vita esplicitamente teorizzato e perseguito, secondo il Manifesto del Partito Socialdemocratico svedese (1972), “Ogni individuo dovrà essere considerato come autonomo, non come l’appendice di qualcun altro. È dunque necessario creare le condizioni economiche e sociali che ci renderanno finalmente individui indipendenti”. (Si tratta di spunti presi da internet che sarebbe interessante e utile verificare e approfondire da parte di chi non ha il “piccolo” ostacolo della non conoscenza dello svedese.)
La Svezia ha creato una società di infelici che muoiono soli senza che nessuno sappia della loro morte (Vedi il filmato di Erik Svedini, La teoria svedese dell’amore). Si tratta di una strada egualmente fallimentare. La strada da percorrere è invece per me la strada che porta alla amicizia e alla solidarietà sociale. Credo che oggi il valore dell’amicizia sia il più rivoluzionario di tutti. D’altronde lo stesso Zhok rispetto alla libertà dell’individuo sia da preferire la libertà come partecipazione (secondo la classica distinzione di Benjamin Constant).
[continua]
Una risposta
[…] Qui e qui la prima e la seconda parte dell’articolo […]