Giuseppe Conte e il presunto “governo di cambiamento”
LOTTA DI POTERE E LOTTA POLITICA
Il presidente del Consiglio dei Ministri, nel nostro Paese, presiede l’organo esecutivo che dà attuazione alla linea politica figlia della maggioranza parlamentare che gli concede la fiducia per adempiere a tale mandato.
Conte è stato scelto perché era espressione di questa convergenza, un volto politico nuovo che rassicurasse l’élite europea in ragione del fatto che, in campagna elettorale, le due forze politiche alla guida del paese, per prendere voti, hanno entrambi cavalcato (in leggero trotto) l’antieuropeismo, sebbene né il M5S né la Lega abbiamo mai avuto intenzione di rompere con l’ordinamento europeo.
Il 20 agosto si è consumata una lotta di potere, niente di più, non c’è stato alcun spostamento politico degno di nota. All’esito di in ogni lotta di potere, c’è chi fa la parte del dritto e chi quella del fesso. Conte, sfiduciato (ma anche no) dalla Lega, nel suo discorso da dimissionario, in quanto europeista, non poteva che ribadire i motivi per cui era stato designato.
Direi di evitare le critiche al sermone dell’ex Premier, non ci si poteva aspettare altro che il solito pistolotto tipico dei liberali imbellettati: tanta retorica vuota condita di buoni propositi senza, però, mettere in discussione, nemmeno minimamente, i fondamenti giuridici ed economici alla base del divario sociale, della disoccupazione, dell’emigrazione giovanile, della mancata crescita, della deindustrializzazione e così via…
Al tempo stesso direi di evitare incensamenti morali ed eccessi di gaudio per l’orazione di Conte, una dialettica lineare dovrebbe essere un prerequisito di ogni politico: il minimo sindacale a cui ambire.
Se una narrazione da social o da tifoseria calcistica premia elettoralmente di più di un discorso da aula parlamentare è dovuto semplicemente al metodo con cui l’informazione liberale, sottoposta alle regole del mercato, media la comunicazione politica nei confronti delle masse. Ovvero, utilizzando TG con i servizi di approfondimento montati come gli highlights di una partita, nonché giornali con titoli in prima degni di uno striscione da curva ed, infine, usando talkshow instaurati come una lotta tra galli.
La comunicazione via web, nella disponibilità di tutti, ne è solo la diretta conseguenza. Ahimè, bisogna dare ragione a Saviano (sigh!) che lo definisce come nient’altro che un ipocrita.
D’altronde, un accademico completamente ignoto alla scena politica (prima di diventare premier non ha mai ricoperto ruoli politici o rivestito ruoli di rilevanza su temi di pubblica attualità) che riesce a farsi eleggere ad una delle più alte cariche dello Stato deve necessariamente possedere la giusta scaltrezza a farsi piacere a chi serve all’occorrenza.
Oggi, come ieri, la nostra missione di liberazione nazionale ci impone di mantenere la nostra capacità di saper distinguere le lotte di potere dalla lotta politica, che per quel che ci riguarda è una lotta patriottica di riconquista del socialismo, ottenibile solo con l’indipendenza dall’Unione Europea al fine di riprendere l’attuazione della Costituzione del ’48.
Ci libereremo.
GIAN MARCO ONORATI (FSI Roma)
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LA SCUOLA DI CONTE
Nel suo discorso al Senato del 20 agosto, Giuseppe Conte ha inserito dei cenni sulla scuola. Dalle sue parole si intuisce un’idea di scuola in linea con le riforme degli ultimi anni. L’alternativa a questa interpretazione è altrettanto sgradevole e consiste nel ritenere che i cenni sulla scuola siano stati inseriti con superficiale noncuranza, utilizzando inconsapevolmente il linguaggio che, non a caso, è stato fatto diventare di uso comune.
Queste le parole di Conte:
“Le nostre scuole devono diventare laboratori di apprendimento, dove il come imparare sia ben più importante del cosa imparare e i nostri giovani conservino l’attitudine a migliorare costantemente le proprie conoscenze. È necessario orientare il nostro sistema di formazione verso le competenze digitali che saranno sempre più richieste anche nel mercato del lavoro.”
1) Si parla di scuola come “laboratorio di apprendimento”. La parola apprendimento non viene associata alle parole conoscenza o sapere, ma alla parola laboratorio. Il sapere in tal modo viene ridotto ad un saper “fare qualcosa”. Questo tradisce la predilezione per la didattica per competenze (contrapposta alle conoscenze). I fautori della didattica per competenze prediligono esercitazioni pratiche, costruzioni di manufatti. Il sapere è finalizzato alla produzione di un risultato e l’ambiente scolastico assume le sembianze di un laboratorio in cui l’alunno viene addestrato a diventare una risorsa per le aziende. La scuola, per meglio realizzare tale addestramento, deve somigliare essa stessa ad un’azienda.
2) Si dice che il “come imparare” è più importante del “cosa imparare”. Potrebbe significare che i docenti devono insegnare il metodo di studio, o, meglio ancora, che devono stimolare, attraverso il dialogo socratico, la formazione critica e non coltivare il nozionismo. Purtroppo il prosieguo della frase contraddice questa interpretazione associando il “come imparare” all’attitudine a migliorare costantemente le proprie conoscenze. Perché evidenziare proprio questo? Per sottolineare che a scuola si deve iniziare ad assimilare il concetto di “formazione permanente”. Che non significa imparare a migliorare se stessi in funzione di un sapere come valore in sé, ma imparare a rassegnarsi a diventare un lavoratore flessibile e precario e quindi sempre disponibile ad apprendere per adattarsi alle esigenze aziendali. La scuola, nelle parole di Conte, sforna studenti rassegnati ed è piegata al mercato (come poi evidenziato nella sua ultima indicazione)
3) Dulcis in fundo, si sollecita la formazione delle competenze digitali richieste dal mercato del lavoro. È sconfortante il fatto che Conte abbia sentito la necessità di parlarne, riecheggiando la teoria berlusconiana delle 3 “i”. La scuola è da anni orientata in tal senso e cioè non alla formazione del futuro cittadino, ma a fornire l’occupabilita cioè la spendibilitá nel mercato del lavoro. Non male per il capo di un Governo che si autodefiniva “del cambiamento”!
CLAUDIA VERGELLA (FSI Roma)
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