Partecipare sul lavoro
di MARCO TROMBINO (FSI Genova)
L’articolo 46 della Costituzione della Repubblica Italiana afferma: “Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze di produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende”. Il contenuto della nostra Carta Costituzionale negli ultimi 25 anni è stato via via sempre più mortificato e minimizzato, ma qui siamo di fronte ad un articolo che non ha mai avuto applicazione pratica in 72 anni di storia repubblicana. Cominciamo ad analizzarne l’incipit.
Il testo inizia evidenziando che lo scopo della partecipazione è l’elevazione “economica e sociale”. Quindi non si tratta solo di far rispettare un generico principio, ma di ottenere qualcosa di concreto: un migliore trattamento salariale (altrimenti non sarebbero state usate le parole “economica” e “sociale”, soprattutto non la prima delle due). Se il lavoratore è consultato nel prendere decisioni il fine ultimo è consentirgli di guadagnare di più, almeno in prospettiva futura.
L’articolo recita anche “in armonia con le esigenze di produzione”: viene sottolineato il presupposto che la partecipazione dei lavoratori non sia di intralcio alla produzione e non diventi una scusa per battere la fiacca. Questo è corretto, e i padri costituenti che lo scrissero furono abbastanza preveggenti da bilanciare la necessità di favorire i lavoratori con la produttività dell’azienda presso cui svolgevano le proprie attività.
Si noti che il testo non pone limiti rispetto alla tipologia aziendale: non viene specificato che si tratti di ditte private o aziende pubbliche, non vengono effettuate precisazioni rispetto al dimensionamento dell’azienda stessa; non si parla di escludere o includere S.p.a, S.r.l., S.a.a o qualsiasi altra forma aziendale che potrebbe essere modificata col tempo al cambiare del diritto societario. L’articolo afferma “nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi”, e quindi viene deputato al legislatore il compito di stabilirne i dettagli.
Tuttavia, di questa partecipazione non se ne è mai vista l’ombra. Le assemblee dei lavoratori nelle aziende si limitano alle riunioni delle rappresentanze sindacali, che però hanno un’altro compito: si occupano di tutelare i diritti dei lavoratori (o almeno dovrebbero…) e a risolvere vertenze qualora se ne verifichino, ma non hanno certo il compito di sottoporre ai voti dei lavoratori dipendenti i piani aziendali. Manca completamente un quadro normativo che renda effettivo il diritto riconosciuto nell’articolo 46.
Un partito politico costituzionalista non può prescindere dal dotarsi di una proposta di legge per concretizzare il principio di cui stiamo parlando. Non è possibile nell’ambito di questo articolo formulare una proposta organica perché – com’è intuitivo – un ddl del genere dovrebbe essere articolato a seconda della tipologia aziendale. La partecipazione dei lavoratori in una Pubblica Amministrazione dovrebbe essere formulata in una certa maniera, e purtroppo avrebbe delle limitazioni legate al fatto che la PA deve essere diretta a seconda dell’espressione democratica di tutti i cittadini, in quanto i consigli comunali, provinciali, regionali e il Parlamento nazionale vengono eletti tramite suffragio universale.
Le modalità tecniche della partecipazione dei dipendenti di un’azienda privata dovrebbero variare molto a seconda del dimensionamento dell’azienda stessa: si va da una piccola ditta con pochi dipendenti, in cui la consultazione datore di lavoro/dipendente finirebbe necessariamente per seguire linee essenzialmente informali, ad un’azienda di medie dimensioni in cui invece precise normative devono tracciare le modalità di tali consultazioni, alla grande azienda in cui la partecipazione dei lavoratori deve essere rigidamente strutturata. Sarebbe opportuno che le consultazioni non avvenissero tramite le RSU, per non confondere il ruolo della tutela dei diritti del lavoro e il ruolo partecipativo del lavoratore; la collaborazione nella gestione può avvenire in maniera diretta o tramite rappresentanze ad hoc, anche in questo caso a seconda delle tipologie azienzali.
Ma, al di là dei dettagli pratici, è importante prima di tutto prendere coscienza dell’esistenza stessa dell’articolo 46 della nostra Costituzione, misconosciuta dalla maggioranza dei cittadini e volutamente trascurata dalla classe politica per tanti anni. In un’epoca in cui diritti basilari del lavoratore, quali la stabilità occupazionale e un minimo di salario dignitoso, vengono quotidianamente calpestati, creare un dibattito intorno ai diritti previsti dall’articolo 46 corrisponderebbe già ad un significativo successo.
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