"Lo spettro dei rossobruni: sovranità, antimperialismo, patriottismo" è articolo di Andrea Salutari che l'ha diffuso sul suo blog e che chi cura questo di "Appello al popolo" ha ritenuto di riproporre all'attenzione. Uno scritto assolutamente meritevole di una riflessione e che sarebbe un errore liquidare come poco comprensibile in termini di sensatezza e valenza tematica, circoscrivibile a polemiche ed interessi di specifiche, differenti, anche marginali sensibilità politiche, limitato a gruppi ristretti, catacombali, che si lacerano e si usurano in oziose e sterili questioni. Insomma, potrebbe apparire un tema non all'ordine del giorno, forse parte di problematiche e discussioni di epoche passate, tramontate, assolutamente non attuale e piuttosto espressione del parlarsi addosso impediente ed impotente di e tra gruppi. C'è indubbiamente, a nostro avviso, chi –su questo come su altri temi– avallerebbe tale percezione, d'impatto immediato, sulla base del proprio porsi, del livello argomentativo, delle finalità di senso a discussioni di questa natura. Dipende –e ci si distingue– sulla base dei contenuti e delle prospettive che si hanno. Quindi innanzitutto sul piano delle analisi e delle idee.
I temi della sovranità, dell'antimperialismo, del patriottismo si stanno riproponendo di fatto sempre più in primo piano e sempre più diffusamente, tra gli strati sociali e popolari; si torna su scala d'interesse crescente a (ri/)percepirli come attuali ed ineludibili alla luce di dinamiche sovranazionali e degli interventi invasivi e devastanti a tutto campo (politico/militari, finanziario/economici, culturali, ecc.) sia di potenti entità statuali (in primis gli Stati Uniti) sia di relativi soggetti finanziari di riferimento (agenzie di rating, banche d'affari, grandi gruppi imprenditorial/finanziari, FMI, Banca Mondiale, BCE, ecc.).
In queste lande periferiche dell'Impero euroatlantico, è attraverso strumenti come l'Unione Europea e l'euro che è in atto, in modo deciso da almeno più di trent'anni, un processo di scardinamento definitivo di sovranità e di conquiste sociali (pur limitate proprio dai contesti capitalistici) che sta riguardando non solo l'Italia, ma a diverso grado tutti quei paesi "occidentali" un tempo, in epoca di cosiddetta Guerra Fredda, parte dello schieramento "atlantico", cioè a conduzione nordamericana (Stati Uniti). Pur nel perdurare del contesto capitalistico "atlantico" stiamo assistendo ad un prepotente passaggio di fase deciso dall'alto, di transizione sistemica (assetti, modi di produzione, rapporti sociali) che punta a ridisegnare a fondo e a tutto campo la geografia sociale e gli stessi ruoli sempre più residualmente "sovrani" di alcuni Stati, Italia inclusa. Gli effetti di questa lunga e progressiva transizione in vista di uno scenario epocalmente e radicalmente 'altro' dall'attuale sta conoscendo un'accelerazione ed un'intensità tale da determinare sempre più, all'ordine del giorno, reattività indignate e/o protestarie e/o resistenziali anche confuse, quanto ad individuazione delle cause e a conseguenti processi di uscita, di sganciamento, di indipendenza, di liberazione nazionale ed inter-nazionalista.
Il movimento degli Indignados o il tanto discusso Movimento dei Forconi siciliano sono gli ultimi –ma non ultimi– fenomeni che s'inscrivono in tale grande fase di passaggio e di cambiamento.
Se le reattività sono ovvie, comprensibili alla luce della portata degli attacchi agli interessi delle collettività sociali e a quella pur parziale, limitata e anche contraddittoria sovranità nazionale e statuale che ha caratterizzato l'Italia fino alla fine degli anni Settanta primissimi anni Ottanta, la prospettiva degli esiti di questo processo ed il che fare sono generalmente abbastanza nebulosi. In vista di cosa, infatti? Intervenendo dove, come? Con quale gradualità di obiettivi? E come arrivare ad avere massa critica cosciente della posta in gioco? E in che modo costruire capacità d'incidenza politica?
Tutto questo in un paese in cui, per varie ragioni, i temi della sovranità, dell'antimperialismo, del patriottismo sono stati (come per ogni buona colonia…) scientemente demonizzati, rimossi, liquidati come superati, obsoleti.
Il loro riaffermarsi non per via 'ideologica', ma susseguente a potenti dinamiche ed interventismi esterni, ci consegna prevedibilmente i tratti dei primissimi nodi di quel che sarà, e già è, e cioè non solo diffuse approssimazioni di merito in tema di patriottismo e di sovranità, ma anche una melassa potenziale in cui l'assunzione rivendicativa generalista delle parole d'ordine di "indipendenza" e "sovranità" vede già e vedrà sempre più i più disparati soggetti interessati ad assumerla e a canalizzare energie sociali in vista di prospettive diverse, anche antitetiche.
Discutere questo scritto di Andrea Salutari [un quadro militante dei "Giovani Comunisti Torino" con i quali proprio oggi, stasera, tra poche ore, a Torino, "Indipendenza", insieme allo stesso Stefano D'Andrea, con una pubblica iniziativa, va a ragionare e a discutere di "Unione Europea, BCE, debito e sovranità monetaria" e del cosa fare, quali primi passi compiere] non è a nostro avviso irrilevante, alla luce proprio dello scenario su sinteticamente indicato. E lo facciamo con un intervento che proponiamo in veste autonomamente visibile nel blog, dentro un più vasto filone di interlocuzioni e confronti che riteniamo debbano andare –e da tempo operiamo in tal senso– oltre la rete, in vista di una chiarificazione a più voci di snodi concettuali politicamente orientativi anche nella presente epoca che si è aperta.
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Antifascismo, “rossobrunismo”, “destra” e “sinistra”.
Note per una discussione
L'antifascismo ha costituito storicamente un elemento di primaria importanza nel definire l'identità di chiunque portasse avanti una prospettiva autenticamente patriottica e socialista. Oggi però, sempre più spesso, si fatica a dare un contenuto chiaro a questa categoria politica, rinunciando ad entrare nel merito dei contenuti e rifugiandosi in un antifascismo che si potrebbe definire estetico, sentimentale e a volte dichiaratamente superficiale. Come tutti gli "antiismi", la nozione di anti-fascismo è piuttosto vaga, ed al suo interno vi si possono riconoscere progetti politici e tradizioni culturali addirittura anche incompatibili. Completa il quadro la desolante rimozione delle categorie di antimperialismo (che per essere conseguente deve legarsi a quella di indipendenza nazionale, senza farsi irretire da surrogati come quello di “antiamericanismo”), sovranità e patria da parte della sinistra italiana e occidentale (salvo rare eccezioni), la cui principale conseguenza è un clima di isteria antifascista, in cui viene incluso nella categoria di "rossobruno" chiunque si azzardi a portare avanti questi concetti. Il risultato è quello di fare il gioco dei veri "rossobruni", dal momento che se si lanciano accuse con motivazioni ridicole, le persone intelligenti tenderanno ancor di più a essere attratte e irretite da chi se non altro dà prova di assumere posizioni corrette in politica estera.
Se l'antifascismo è stato spesso strumentalizzato, questo infatti non deve assolutamente far pensare che un antifascismo consapevole –di carattere marcatamente sovranista, anti-capitalista e anti-imperialista– non abbia più senso, né tanto meno deve indurre a ritenere che i contenuti veicolati dal fascismo storico, dal neo-fascismo e dal post-fascismo, siano anche solo in parte ricevibili, magari per via delle critiche al sistema di dominio dell'imperialismo USA con le sue varie diramazioni euroatlantiche, oggettivamente oggi il nemico principale dei popoli. In particolare un occhio critico va gettato a tutte quelle formazioni di destra radicale che, anche con un linguaggio aggiornato e parole d'ordine accattivanti, ripropongono ordini sociali basati su una legittimazione di natura spirituale e razziale e su una organizzazione sociale di stampo gerarchico, tradizionale e comunitarista di stampo medioevale che va respinta senza se e senza ma.
L’incomprensione di questi nodi di fondo teorici, dai decisivi risvolti in ambito di prospettiva politica e sociale, fa sì che anche nelle realtà comuniste e di sinistra sempre più spesso diversi compagni si sentano attratti da realtà per così dire ambigue sul piano politico e culturale. Trattasi di soggetti e gruppi a parole intenzionati a superare il neo-fascismo del dopoguerra (“oltre la destra e la sinistra”), ma riproponendone nel merito gli stessi nuclei concettuali, le stesse idee-forza (Europa –o Eurasia– Impero, comunitarismo…) e lo stesso retroterra culturale (Evola, Guènon, Dughin, Thiriart, Junger, Schmitt, Haushofer, Trubeckoj, Eliade, ecc.). L'opposizione all'imperialismo statunitense fa sì che questi soggetti si schierino dalla stessa parte degli antimperialisti in occasione di conflitti indotti, rivoluzioni colorate, eccetera. A questo si deve aggiungere l'opera di mimetismo politico che li contraddistingue, non da oggi, che nei decenni passati li vedeva svolgere funzioni di bassa manovalanza atlantica.
La sinistra occidentale (salvo rare eccezioni) ha da tempo abbandonato i concetti di antimperialismo, liberazione nazionale e sovranità, e così facendo ha di fatto abbandonato l'anticapitalismo. Si cita Marx come se fosse un testo sacro (pur geniale, sempre di un mortale si tratta, e come tale non infallibile), dimenticando –guarda caso– Lenin, Mao, e tutte le esperienze socialiste realizzate, nonché quali sono gli unici movimenti socialisti e anticapitalisti di massa in occidente (baschi, irlandesi, corsi, ecc.). In altre parole prevalgono solo quelle letture del marxismo che hanno tentato di prescindere completamente dal fatto nazionale (luxemburghismo, trozkismo, operaismo, negrismo). Esattamente quelle letture che sono rimaste confinate ai salotti o che hanno prodotto movimenti fallimentari.
Tuttavia il pericolo rosso-bruno non va sottovalutato, ma deve essere compreso sulla base dei contenuti e dei riferimenti culturali, che non sempre vengono esplicitati quando si parla di geo-politica. Esattamente ciò che i diffusori di dossier vari non sono in grado di fare, con il risultato di rendersi ridicoli. Proviamo a fissare dei punti:
– Parlare di patriottismo e sovranità è di per sé tutto fuorché ambiguo, altrimenti sarebbero tali pure la Resistenza italiana o Che Guevara
– L'antimperialismo non è ambiguo. Difendere la sovranità dei paesi non allineati deve essere un punto fermo, a prescindere dalla valutazione del loro sistema politico.
– La costruzione del socialismo può e deve avvenire sulla base delle storie e delle culture di ciascun paese, non contro di esse. Sostenere vie differenti al socialismo non vuol dire auspicare per l'Italia l'adozione di quei modelli.
– Non ci si può formare la propria opinione su realtà come Libia, Iran, Siria, ecc. sulla base di quanto propinatoci dai media mainstream.
– Capire che, quando si è accerchiati e si subiscono embarghi o tentativi di destabilizzazione dall'esterno, il bivio è tra difendersi o arrendersi.
– Distinguere l'eventuale critica legittima dei sistemi politici di questi paesi (sempre però sulla base dei precedenti punti), dal sostegno a chi attenta alla loro sovranità in chiave imperialista.
– Rigettare l'idea che le "democrazie occidentali" siano il miglior sistema possibile, quello a cui tutti devono tendere, e soprattutto che siano l'unica reale forma di "democrazia", concetto che, se snaturato nella sua essenza come è palese in questa fase, risulta compatibile con il capitalismo.
Che cos'è invece ambiguo sul serio, e da cui bisogna stare lontani (non nel senso di non leggere per paura di contaminarsi, ma nel senso di prospettare connubi politici e roba del genere)?
– Tutta la retorica intorno alla costruzione di un grande spazio geo-politico europeo, o peggio eurasiatico, presentato come unica via per contrastare l'imperialismo atlantico. Tra antimperialismo e alter-imperialismo c'è una bella differenza. Per questi gruppi la rivendicazione della sovranità nazionale è puramente strumentale, dato che l'obiettivo è un suo superamento in chiave imperiale.
– Ogni fittizia distinzione tra capitalismo finanziario (cattivo) e capitalismo industriale e produttivo (buono).
– Tutta la retorica intorno a radici spirituali comuni dei popoli eurasiatici, mutuata dal cosiddetto pensiero tradizionale, in primis quello di Evola.
– La centralità di concetti quali talassocrazie e tellurocrazie, che implica il fatto di fissare i caratteri culturali come se questi fossero un dato immodificabile ed ereditario. In altre parole razzista.
– La rivalutazione del concetto di Impero (senza imperialismo, sic!)
– Il comunitarismo, una categoria politica estremamente vaga sul piano teorico, e dai contenuti irricevibili sul piano pratico, concetto storicamente patrimonio culturale degli ambienti politici neo-fascisti.
Infine sul preteso superamento della dicotomia destra-sinistra:
– a seconda dei contesti storici e culturali, destra e sinistra sono state riempite di contenuti assai differenti. Sono quindi esistite le destre e le sinistre, a volte anche nello stesso paese e nello stesso frangente storico
– è innegabile che oggi in Occidente la destra e la sinistra genericamente intese si rivelino solo due varianti del pensiero liberista
– è altrettanto innegabile che in altri contesti (es. America Latina) sono categorie che hanno ancora una loro validità intrinseca, così come avvenuto in passato anche nello stesso Occidente
– infine, per quanto svuotate di contenuti, la destra e la sinistra dei paesi occidentali continuano a essere percepite da molte persone come identità fondamentali
Alla luce di questo, da un lato è sacrosanto mettere in discussione la logica del bipolarismo. Dall'altro però non bisogna incorrere nella trappola di vedere come naturale e automatica la convergenza di chiunque contesti il sistema attuale, come se bastasse essere contro qualcosa per condividere un orizzonte culturale e politico. Tra chi contesta il sistema avendo come progetto politico l'Eurasia, l'impero, il comunitarismo, ecc. e chi invece porta avanti un discorso autenticamente patriottico e inter-nazionalista, non vi sono spazi per connubi possibili, essendo le rispettive progettualità e i rispettivi orizzonti culturali assolutamente antitetici.
Su "Indipendenza", tra l'altro, sono numerosi gli articoli che trattano di questi argomenti, smontando pezzo per pezzo sia le teorie rossobrune, sia il presunto antifascismo di chi la butta in caciara includendo chiunque parli di patria e sovranità nella categoria.
Sul sito internet (www.rivistaindipendenza.org) potete trovare:
– Comunitarismo, Eurasia, Impero. Le ragioni nazionalitarie di un rifiuto (prima e seconda parte)
– Comunità contro comunitarismo
– Fascismo contro nazione. Storia e attualità di una strumentalizzazione
Tra i più recenti (presenti solo sul cartaceo)
– L'idea di comunità: teoria, ambiguità, contaminazioni (n. 29)
– Quale antifascismo? Tra smarrimenti, involuzioni, attualità (n. 31, quello in uscita in questi giorni)
Infine segnaliamo sul forum di "Indipendenza" le seguenti discussioni sul tema:
http://indipendenza.lightbb.com/t28-comunitarismo-contro-nazionalitarismo
http://indipendenza.lightbb.com/t924-quale-azione-politica
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Parlare come se si fosse altro da sé.
I dossieraggi,il blogroll,la casa editrice Arianna,etc.etc.,e non dico altro che ci si capisce benissimo.Non è di questo che voglio parlare.
Nei prossimi anni le contingenze porteranno ad una enorme massa di movimenti,massa che può diventare critica.
Saremo ancora così educati da esportare la netiquette nel mondo reale quando le spinte della controparte,con i suoi luridi e mai abiurati maneggi,tenteranno l'eterodirezione delle forze determinatesi al confronto diretto?
Le pagliuzze non diventeranno travi?
E' proprio su di voi che vi chiamate fuori dal rossobrunismo che cadrà la responsabilità di questa eventualità,non tanto per l'orizzonte concettuale che esprimete,quanto per il reale livello di permeabilità che manifesterete alle strumentalizzazioni.
Quegli altri,che si ritengono depositari della verità storica,non hanno bisogno di strumentalizzarli,fanno tutto da soli se tampoco li conosci.
Ho visto tanta vigliacca torbidezza scavarci il terreno di sotto ai piedi,negli anni,che mi fanno preferire di consigliare a tutti una via gandhiana, una activitas arendtiana.
Un percorso anche interno alle istituzioni,con l'obiettivo di una riforma radicale piuttosto che la triste "leninista" (fondamentalmente antistorica:ora il nemico non è l'ottusa aristocrazia dei boiardi zaristi,ma gente che ci ha studiato come entomologi) contesa per l'egemonia,già all'opera per un nonnulla e causa di una catastrofica sconfitta storica, per quanto sommersa, della quale stiamo pagando le conseguenze: non assolvo nessuno per questo.
Mai come in questo momento e di più in quelli a venire,perché se ce la perdiamo stavolta non ci riprendiamo più:calma e gesso.
(«Se non riuscisse,se non riuscisse!Per questo egli lo lega con rametti di gelso»..dall'IChing)
Saluti