Riflettere sul coronavirus
di SIMONE GARILLI (FSI Mantova)
Un’emergenza sanitaria, date le sue dimensioni e le sue implicazioni socio-economiche, diventa necessariamente argomento politico ed è quindi di per sé corretto che del coronavirus si occupino non solo virologi e medici, ma anche politici e comuni cittadini.
Ciò premesso, da quando in Italia e più in generale in Occidente, a cavallo degli anni Ottanta, è andato scemando il compromesso tra capitalismo e democrazia, l’informazione si è gradualmente trasformata in manipolazione della pubblica opinione per fini privati. Non è un mistero che i quotidiani di diffusione nazionale, così come le tv commerciali, siano controllati direttamente da multinazionali, banche e ricchissimi editori. La stessa Rai, di proprietà pubblica, soffre da decenni la mancanza di grandi partiti popolari che esprimano, anche nella tv di Stato, una grande classe dirigente. La logica del profitto e dell’interesse privato, da un lato, e quella della bassa bottega politica, dall’altro, hanno quindi imbarbarito l’informazione, piegandola ad interessi di nicchia.
Ecco allora che il cittadino comune si trova bombardato da narrazioni tra loro incoerenti, quasi sempre sensazionalistiche e superficiali. Gli stessi esperti di settore si trovano (spesso a loro agio) dentro meccanismi comunicativi ben più grandi di loro, e svolgono il ruolo di utili idioti del sistema.
La gestione mediatica del coronavirus non ha fatto certo eccezione: prima i partiti, i giornali e le tv all’opposizione del governo in carica hanno cavalcato l’onda dei focolai lombardo e veneto per dipingere un’emergenza senza precedenti, quasi fossimo prossimi ad una “strage”, poi consci dei disagi economici che le necessarie precauzioni politiche stavano provocando nelle due regioni più ricche, e probabilmente imbeccati da Confindustria, hanno cambiato repentinamente registro, invitando a “non esagerare”. Oggi negli ambienti di centro-destra prevale il grido di dolore per le imprese soffocate dal congelamento dei trasporti e della mobilità interregionale e si chiede di archiviare il più presto possibile le misure precauzionali prese dal governo. Addirittura Matteo Salvini e Matteo Renzi, spingendo sulla gestione comunicativa e politica a loro dire inadeguata da parte dello staff di Conte, hanno tentato di convincere il Presidente della Repubblica a cambiare cavallo in corsa, offrendo Mario Draghi come punto di riferimento della nuova fase politica.
Di fronte a questo caos bisogna fermarsi, ragionare per alcuni giorni, attingendo a fonti di qualità, e poi tirare le fila. Cosa possiamo dire oggi di utile sul Coronavirus?
1) non siamo di fronte ad una minaccia senza precedenti ma nemmeno ad una banale influenza. Il coronavirus è poco conosciuto, ancora non esiste un vaccino, il tasso di mortalità stimato è intorno al 2% (tra le 10 e le 20 volte più alto di quello della normale influenza), il cosiddetto R0 (che indica quante persone vengono contagiate da un portatore del virus) sembra più alto delle stime iniziali, che lo davano già intorno a 2,5, e l’infezione necessita in circa due casi su dieci del ricovero, nonostante sia vero, fino ad oggi, che il virus uccida esclusivamente o quasi persone anziane e/o con gravi patologie di altro genere, sulle quali vanno a pesare anche le complicanze dovute al coronavirus
2) tutto ciò significa che l’emergenza sanitaria esiste nella misura in cui scarseggiano i posti letto negli ospedali ed il personale medico e infermieristico. Va notato che l’esaurirsi dei posti letto comporterebbe non solo problemi di ordine pubblico, ma anche il prevedibile aumento del tasso di mortalità, dovuto all’impossibilità da parte del sistema sanitario nazionale di curare adeguatamente tutti gli infetti e alla difficoltà di curare anche chi soffre di altre patologie che richiedono il ricovero
3) l’esistenza di una emergenza sanitaria giustifica misure politiche restrittive sulla mobilità e sul normale stile di vita dei cittadini, in particolare nelle cosiddette zone rosse. Non c’è ragionamento economico che tenga di fronte ad una minaccia alla salute pubblica
4) i disagi economici che derivano dalla gestione dell’emergenza, anche se prolungati nel tempo, diventano insostenibili per imprese e lavoratori solo in un contesto di stagnazione pregressa e di mancato intervento dello Stato. È esattamente la situazione in cui si trova l’Italia, stritolata nella morsa dei vincoli alla finanza pubblica di matrice europea e nel bel mezzo di una lunghissima stagnazione che periodicamente si trasforma in recessione. Per i più digiuni, l’Italia si trova ancora a livelli di ricchezza nazionale inferiori al 2008, quando scoppiò la crisi finanziaria mondiale. È la più lunga crisi economica della nostra storia repubblicana, e della nostra storia in generale. Sotto molti punti di vista le politiche di austerità euro-dirette hanno fatto danni paragonabili o maggiori a quelli inflitti al nostro tessuto produttivo dalla Seconda Guerra Mondiale. Abbiamo perso in un decennio circa un quarto della produzione industriale e un miliardo di ore di lavoro (i dati ufficiali sull’occupazione ingannano, perché conteggiano le teste occupate e non le ore lavorate). Di fronte a questa ecatombe sono fallite centinaia di migliaia di piccole aziende e il rapporto debito pubblico/Pil è aumentato, in un contesto in cui siamo sprovvisti della nostra sovranità monetaria e quindi non possiamo reagire alla crisi ampliando la spesa pubblica, altrimenti i mercati e le istituzioni europee ci puniscono con lo spread e l’instabilità finanziaria. Questo è il quadro entro il quale (non) può muoversi lo Stato italiano. Chi lo accetta non può fingere di voler contrastare efficacemente gli ulteriori disagi economici provocati dal coronavirus e non può nemmeno far intendere che li risolverebbe se fosse al governo, come nel caso della Lega
5) le politiche di austerità, che iniziano ben prima del 2008, in parallelo col processo politico di convergenza verso l’Unione Europea e l’euro, hanno ridotto di oltre il 50% il numero dei posti letto per abitante. Solo negli ultimi 7 anni la sanità pubblica ha subito tagli in termini reali, rispetto al fabbisogno, pari a 30 miliardi di euro. I disagi dovuti alla carenza di personale medico e infermieristico sono ormai visibili ad occhio nudo dai cittadini, tanto sono gravi, ed è aumentata a dismisura la diseguaglianza territoriale rispetto alla quantità e alla qualità del servizio sanitario pubblico: ciò deriva dalla progressiva regionalizzazione della sanità che si è tradotta in un ammanco miliardario per i sistemi sanitari delle regioni a reddito medio più basso e in una strisciante privatizzazione del servizio anche nelle regioni più ricche, Lombardia e Veneto. Siamo al paradosso che di fronte ad un’emergenza sanitaria non solo il privato evapora, ma il pubblico è costretto a pagare cliniche private per sopperire alla mancanza di posti letto negli ospedali. Peraltro la regionalizzazione della sanità, garantendo amplissimi poteri di gestione e organizzazione del servizio a livello territoriale rende meno efficace ed efficiente un’azione sanitaria unitaria su base nazionale, tanto più necessaria in una fase emergenziale
6) in queste condizioni istituzionali la scelta è fra salute pubblica e benessere economico. È una scelta fittizia, perché disinteressarsi della salute pubblica potrebbe avere conseguenze economiche ben maggiori se come probabile il virus si diffondesse a dismisura. D’altra parte congelare l’attività economica senza compensare le difficoltà del settore privato attraverso un massiccio intervento pubblico significa rassegnarsi ad una nuova recessione, che non deriva esclusivamente dal coronavirus ma che quest’ultimo contribuirà ad acuire e prolungare
Sono solo alcuni degli insegnamenti che possiamo trarre dalla situazione attuale, nessuno dei quali deriva dalla morbosa ricerca di informazioni nel circuito mediatico ufficiale.
Ottima analisi Politica, complimenti.