La tecnocrazia come espediente della deresponsabilizzazione e dell’imposizione di decisioni comunque politiche
di AMERICO MARINI (FSI Viterbo)
L’elogio per i tecnici nominati da Conte un po’ mi preoccupa. La falsa convinzione, ingeneratasi in molti, del necessario predominio della scelta tecnica sulla scelta politica ha in verità radici profonde e si inquadra nel più generale risentimento – in questo caso leggasi sfiducia – verso l’azione dell’organo rappresentativo, o meglio in quella che è stata autorevolmente definita crisi della rappresentanza. In nome della tecnica si accetta di buon grado che i luoghi del compromesso politico, della decisione politica stessa, siano ormai altri rispetto alle sedi della rappresentanza.
Allo stesso tempo, la legge generale ed astratta diviene strumento obsoleto e allora si ricorre ad una sorta di generale delegificazione come prassi normativa, con la sostituzione di essa con il regolamento, sul presupposto che esso rechi una disciplina più snella e duttile. La crisi della rappresentatività si riflette allora in crisi del principio di legalità, il tutto nel nome di un neanche troppo chiaro principio di efficienza.
Tutto questo lascia campo, vere e proprie praterie sterminate di azione, al decisore tecnico (che in qualche modo è sempre e comunque portatore di interessi) nelle sue varie declinazioni, sia ora l’autorità amministrativa indipendente nata sul modello dell’agency americana, siano ora gli organismi sovranazionali non rappresentativi (di cui l’UE è piena di esempi), siano infine i comitati di “esperti economisti” che dovrebbero guidare il decisore politico nella ricostruzione, come del caso.
E non si dica che sia solo perché si tratta di decisioni complesse. Vi sono numerosi esempi dove il dibattito politico è chiamato ad affrontare temi complessissimi dal punto di vista economico (quando per stupidità non vi si rinuncia), si pensi alla politica pensionistica, o a quella monetaria (nei paesi che hanno ancora la loro sovranità ovviamente). Il dibattito tecnico, anche per mezzo di consulenti ove sia necessario, deve essere affrontato nelle sedi della rappresentanza, o perlomeno così dovrebbe essere in una democrazia parlamentare.
Ecco perché sono preoccupato. Non sembra ancora destarsi la coscienza dei cittadini su questa prassi deplorevole, anche se appare a chi scrive abbastanza semplice constatare che qualsiasi decisione adottata da pubblici poteri ha natura politica e affidare la sua elaborazione ad un comitato tecnico costituito ad hoc, cui segue solo la pedissequa approvazione, ha il solo scopo di sottrarre la decisione al dibattito parlamentare, di sacrificare la democrazia in virtù di un non dimostrato principio di efficienza. Detto altrimenti, il ricorso alla tecnocrazia si traduce in un macabro espediente di deresponsabilizzazione e nell’imposizione di scelte comunque politiche che, in linea di principio, fanno gioco solo a chi ha il potere di rappresentare i propri interessi.
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