La sanità non è un costo e non è profitto: se non ora, quando lo urliamo questo stratosferico vaffanculo alla spending review?
di LORENZO D’ONOFRIO (FSI-Riconquistare l’Italia Pescara)
Sottotitolo: note per un piano sanitario nazionale e rivoluzionario (o semplicemente costituzionale).
Dopo decenni passati a tagliare la spesa pubblica inseguendo i vincoli di bilancio europei, in questi mesi abbiamo speso, male, decine e decine di miliardi (i famosi scostamenti di bilancio) aumentando il deficit pubblico come non accadeva da tempo immemorabile.
Scostamenti dai quali, finita l’emergenza, dovremo rientrare per puntare all’obiettivo di medio termine (OMT), il famigerato pareggio di bilancio: il che significherà nuovi tagli e nuove tasse.
Abbiamo speso male, dicevo, solo per far fronte all’emergenza e di questa spesa ben poco resterà.
Soprattutto abbiamo speso senza conoscere il fine perseguito, che non mi sembra proprio quello di abituarci a convivere con un virus che potrebbe restare ancora molto fra noi: è immaginabile convivere con continui lockdown?
Facile per me parlare senza avere responsabilità di governo, questo è certo.
Ma il problema primordiale è che in questo Paese, di come affrontare l’emergenza Covid non si è parlato proprio: non vi è stato alcun dibattito nella sede deputata, ovvero il Parlamento, a riprova della pessima qualità della nostra classe politica, tutta intera.
Certe decisioni sono state solo accettate o subite non solo dalla popolazione, ma anche da quasi tutti i rappresentanti dei cittadini: direi che nessuno ci ha messo una nota, proprio perché non esistono i partiti, nei quali il dibattito su ogni questione di interesse nazionale si dovrebbe sviluppare per arrivare in Parlamento.
Nessuno ha mai parlato quindi di alternative, probabilmente anche perché obnubilati dalla logica della scarsità delle risorse che da decenni ci attanaglia: non si è neanche ipotizzato di mettere sul piatto, SUBITO, a febbraio-marzo, un piano di decine, se non centinaia di miliardi… e adesso invece li abbiamo spesi e li spenderemo ugualmente, male e con un pesante fardello di morti, disperazione e distruzione sociale, economica, sanitaria, che ci porteremo dietro per i prossimi anni.
Non posso fare a meno, allora, di pormi un quesito, prendendo lo spunto da quanto accaduto nella mia regione, dove è stato realizzato, a Pescara, 1 ospedale Covid al servizio di tutto l’Abruzzo.
E mi chiedo, ad esempio: se avessimo pensato di realizzare 1 ospedale per ogni provincia?
O anche semplici strutture Covid a bassa intensità, per non eliminare gli altri reparti di altre specialità, continuando a garantire le prestazioni ordinarie che invece sono state (un’altra volta) soppresse, portandosi dietro un carico enorme di vite a medio e lungo termine.
Se avessimo pensato subito ad assumere e/o formare personale adeguato, in via stabile e definitiva?
Quanto sarebbe costato? Meno di quello che abbiamo speso e spenderemo?
E se anche ci fosse costato molto di più, non ne sarebbe valsa la pena?
Avremmo poi avuto strutture e personale in numero eccessivo da gestire una volta finita la pandemia?
Non lo so, dipende dalla prospettiva: la nostra prospettiva, quella costituzionalmente orientata, dovrebbe tendere ad avere ospedali efficienti e perlopiù vuoti.
Perché gli indecenti affollamenti in corsia e nei reparti non sono certo solo un fenomeno pandemico.
Così come la precarietà e scarsità del personale: sono una piaga con cui facciamo i conti da troppo tempo, causa logica da spending review.
Allora dobbiamo rivoluzionare la gestione politica dei servizi essenziali e anche il modo di pensare che ci siamo lasciati inculcare: la sanità pubblica è un termometro del progresso e della civiltà.
La sanità non è un costo, ma un investimento sociale e deve essere sottratta alle logiche del risparmio o del profitto privato.
Poniamocele allora certe domande, ben sapendo (e quanto accaduto dimostra che non è un problema di coperture finanziarie) che le risorse ci sono, ci sono sempre, è solo questione di volontà politica, di avere il coraggio di rompere con certe logiche suicide e anti sociali.
Si poteva fare?
Non ci abbiamo neanche provato ad elaborare un piano nazionale che guardasse oltre la pandemia, ci siamo solo limitati a riprendere in tutta fretta poche strutture in fase di dismissione, o a coinvolgere i privati, con l’unica prospettiva di provare a gestire, male, l’emergenza.
Avremmo trovato le strutture adatte in numero sufficiente in ogni regione?
Siamo pieni di strutture abbandonate e avremmo avuto comunque gli strumenti previsti dalla nostra Costituzione per sottrarle, lecitamente, ai privati.
Avremmo fatto in tempo ad assumere e formare il personale necessario?
Probabilmente questa sarebbe stata la sfida più complessa, ma in questi mesi avremmo potuto fare molto, perdipiù creando lavoro per i giovani, ai quali avremmo fornito una nuova prospettiva di vita, non limitata all’emergenza (che continuiamo a gestire con contratti a tempo e con i somministrati), magari facendo rientrare tanti ragazzi costretti a espatriare per mancanza di opportunità.
E avremmo dovuto e potuto pensare ad amplificare la medicina sul territorio: ambulatori, medici di base, infermieri, il ritorno del medico scolastico, tutto per non intasare i Pronto Soccorso.
Sarebbe tutto rimasto anche nel post emergenza, come un servizio utilissimo ai cittadini.
Sarà fantascienza?
Io credo che su questo si debba e si possa ancora lavorare… e che in ogni caso qualcuno ne debba parlare, per iniziare a riaffermare il concetto fondamentale che non mi stancherò mai di ripetere: sulla salute non si risparmia e possiamo permettercelo.
Se non ora, quando lo facciamo?
E inoltre bisogna sottrarre la sanità alle regioni, alla competizione, alle spinte anti sociali: il piano sanitario deve essere nazionale e creare coesione.
Fatta questa lunga premessa… allora, è possibile ipotizzare come avremmo affrontato la seconda ondata se avessimo pensato a realizzare questo progetto?
Avremmo potuto evitare le chiusure generalizzate, o addirittura vivere normalmente, monitorando senza affanni il territorio e assistendo subito i malati seri o gravi, contenendo gli stress ospedalieri distribuiti sul territorio?
Quante vittime avremmo avuto? Più di quelle che registreremo alla fine dell’emergenza?
Sono domande a cui non so dare risposta (ma un’idea me la sono fatta). Sono questioni delle quali però si doveva ed è ancora necessario parlare, perché finora nessuno lo ha fatto.
Quello che so è che un piano del genere avrebbe significato, e significherebbe, una rivoluzione di prospettiva, molto simile a quella che animò l’istituzione del nostro Sistema Sanitario Nazionale.
Una prospettiva destinata a contagiare ogni settore del nostro vivere collettivo, a cominciare dal LAVORO, sulla quale costruire la “nuova” idea di società… che poi tanto nuova non è, ma sta scritta in una Carta un po’ ingiallita e maltrattata, ma oggi più che mai attuale.
Siamo ancora in tempo… parliamone…
Una risposta
[…] raccontato tutto con largo anticipo, come facciamo ormai da dieci anni (pensa che a ottobre 2020 qualcuno osava scrivere: “…finita l’emergenza, dovremo rientrare per puntare all’obiettivo di medio […]