Scuola, lavoro, Stato e aziende
di MARCO TROMBINO (FSI-Riconquistare l’Italia Genova)
È storia ben nota che, a fronte di un elevato tasso di disoccupazione giovanile in Italia, molte aziende si lamentino di non riuscire a trovare dipendenti preparati per le attività professionali che esse necessitano. In genere, viene attribuita alla scuola e al settore pubblico la responsabilità di non formare adeguatamente gli studenti per le esigenze del mondo del lavoro. Un recente e dettagliato articolo di Business Insider Italia basato su uno studio di Jobreference, ribalta questo paradigma, rilevando come il mancato accesso dei giovani nelle aziende sia prima di tutto colpa delle aziende stesse. I comportamenti sbagliati delle aziende nei confronti dei candidati sono parecchi, ma uno salta all’attenzione in maniera particolare: la totale mancanza di disponibilità a formare le risorse, considerata ormai un inutile spreco di tempo e denaro.
Va precisato che non tutte le aziende private d’Italia si comportano così: le eccellenze esistono, i dirigenti che hanno chiara la necessità di formare le risorse per tenerle al passo con l’evoluzione di tecnologie e metodologie ci sono. Ma sono eccezioni alla regola. In genere, questo non accade e l’indagine della dott.ssa Franca Castelli ne mette a nudo i motivi: pretese al limite del ridicolo e l’aspettativa che il neolaureato lavori con la stessa competenza di chi ha trent’anni di esperienza alle spalle. Sarebbe la trama di una barzelletta che non fa ridere, se non fosse la tragica quotidianità di una significativa quota di aziende in Italia oggi. Ecco uno dei motivi per cui molti giovani finiscono all’estero: oltre che retribuzioni migliori incontrano anche società ben coscienti di dover investire nella formazione dei propri dipendenti. Con quello che s’intende davvero con “investire”, ossia spendere oggi per riuscire a guadagnare domani, assumendosi il rischio che dalle nostre parti, evidentemente, pochi vogliono correre.
Al risultato dello studio Jobreference va aggiunta un’osservazione. Addossare la colpa alla scuola, alle istituzioni pubbliche e allo “Stato” (questo spaventapasseri da additare tutte le volte che qualcosa non funziona, che c’entri o meno…) non soltanto è un esercizio scorretto, ma a questo punto è anche antiquato. Chi accusa lo “Stato” dovrebbe ricordare che da anni – precisamente dalla legge 107 del 2015, cosiddetta “buona scuola” – è stato istituito l’obbligo dell’alternanza scuola/lavoro, creata apposta per colmare lo iato tra istruzione pubblica e mondo del lavoro privato.
Tralasciando i giudizi complessivi sulla legge, si può almeno affermare che da quel momento per ogni giovane è obbligatorio venire a contatto con le aziende e formarsi un’idea su quali sono le richieste del settore professionale in questione. Se l’alternanza scuola lavoro non funziona e se gli studenti ne escono fuori ancora impreparati ai comparti lavorativi, un 50% almeno di responsabilità da parte delle aziende ci deve essere per forza, non foss’altro per una questione di pura statistica.
Ottimo articolo, complimenti a Marco Trombino.