Il dramma di Quinto Vicentino, ovvero: la Pal Zileri/Forall e il contesto (istituzionale)
di HERVÉ BARON (FSI-Riconquistare l’Italia Vicenza)
Il 9 dicembre 2020 si apriva una grave crisi economica e sociale in Provincia di Vicenza. La Direzione Aziendale di Forall, proprietaria dello storico marchio Pal Zileri, attivo nella produzione di abiti da uomo di pregio, che sino ad allora occupava più di 400 persone, comunicava la volontà di procedere con la chiusura dell’attività produttiva. Secondo i dati forniti dall’azienda, la pandemia Covid-19 avrebbe aggravato pesantemente la peggior crisi che abbia mai colpito il settore dell’abbigliamento formale maschile di alta gamma. La stima è che la domanda potrebbe ridursi globalmente di un ulteriore 45%.
Secondo Forall: «Nello stabilimento di Quinto Vicentino si registra ormai un eccesso di capacità produttiva di quasi due terzi e anche la struttura amministrativa non è più sostenibile sotto il profilo dimensionale. A livello finanziario, la drastica riduzione delle vendite e, quindi, degli incassi, ha causato una notevole sofferenza per Forall, acuita dalla difficoltà sempre crescente di reperire finanziamenti dal ceto bancario». Inoltre, sempre secondo Forall: «Il supporto dell’azionista, ininterrotto sin dal 2014 e pari a decine di milioni di euro ogni anno per sostenere liquidità e investimenti dell’azienda, non è più sufficiente a garantire la continuità dell’attività produttiva».
Il 16 dicembre, il caso Pal Zileri/Forall arrivava a Palazzo Balbi. Nel pomeriggio di quel mercoledì, infatti, vi fu un incontro con l’Unità di crisi della Regione Veneto richiesto con urgenza dalle organizzazioni sindacali. Erano presenti l’assessore al Lavoro Elena Donazzan, i vertici aziendali, la Femca e Filctem Vicenza e Veneto, Cisl e CGIL Vicenza, il sindaco di Quinto Vicentino in rappresentanza anche dei Comuni limitrofi. Chi scrive, ritiene illuminanti alcune dichiarazioni rilasciate, in quell’occasione, dall’assessore regionale Donazzan.
Innanzitutto:
«Questa è un’azienda che oggi non è indebitata e, quindi, potrebbe essere interessante per il mercato alla ricerca di un nuovo investitore industriale questo è oggi l’obiettivo dell’Unità di Crisi. Abbiamo chiesto all’azienda di ritirare l’ipotesi di chiusura, di utilizzare gli ammortizzatori sociali, che oggi sono aperti e sono ulteriori rispetto agli ammortizzatori ordinari. Quindi, non vediamo l’urgenza di aprire una procedura di cessazione dell’attività».
E poi:
«La terza richiesta è stata un appello a Confindustria Vicenza in primis, Veneta in generale, affinché si trovi un investitore, perché non possiamo pensare che un’azienda di questo genere cessi la produttività. Chiediamo di attivare questa ricerca che, appoggiando sul sistema imprenditoriale vicentino, veneto e italiano offra la possibilità concreta di trovare un partner industriale».
Infine:
«La Regione del Veneto ha investito in formazione su questa azienda sul fronte delle risorse umane, nel 2018 finanziammo, attraverso la Direzione Lavoro un progetto di 456.000 euro per sostenere la capacità manifatturiera delle maestranze, che, oltre al nome, è un valore distintivo di Pal Zileri da non disperdere».
Vediamo dunque che la Regione Veneto, dopo aver utilizzato risorse pubbliche per sostenere l’azienda, nel momento in cui l’intervento pubblico (diretto) sarebbe veramente indispensabile non sa fare altro che immaginare una “soluzione di mercato” per un’impresa che oggi “non è indebitata”.
La preferenza per una “soluzione di mercato” è evidente anche nella (eventuale) decisione di utilizzare il Fondo per la gestione della crisi d’impresa, istituito con il Decreto Rilancio per tutelare i lavoratori e i marchi storici italiani. La proposta è stata avanzata il 5 gennaio 2021 dall’allora sottosegretaria al Mise, Alessandra Todde; a riferirlo sono state le senatrici vicentine Daniela Sbrollini (Iv), Barbara Guidolin (M5S) ed Erika Stefani (Lega), presenti all’incontro come uditrici.
Tuttavia, le senatrici uditrici precisano, in una Nota congiunta: «Sia chiaro che l’utilizzo del fondo dev’essere collegato a un valido piano industriale, l’investimento da parte dello Stato può esserci solo in presenza di una reale prosecuzione e rilancio dell’attività. Lo strumento permetterebbe allo Stato, attraverso Invitalia, di entrare nel capitale dell’azienda in difficoltà per un periodo non superiore a 5 anni e con un tetto massimo di 10 milioni di euro. L’intervento nel capitale di rischio dovrà essere accompagnato da un apporto di investitori privati per almeno il 30%. Solidarietà e vicinanza ai lavoratori coinvolti in questa pesante crisi aziendale, è nostra intenzione tenere accesi i riflettori sulla vertenza e non lasciarli soli».
Naturalmente, nessun “capitalista salvatore” si è ancora presentato. E dunque, il 19 gennaio 2021 i dipendenti dia Pal Zileri/Forall sostenuti dai sindacati decidono di mantenere lo stato di agitazione sindacale e proclamare un primo pacchetto di 16 ore di sciopero. Mentre il 27 gennaio è stato indetto un ulteriore sciopero di 8 ore. I lavoratori si dicono (giustamente) preoccupati per la fine della cassa integrazione COVID, prevista per marzo.
A questo punto, potrebbe essere istruttivo il confronto con una situazione analoga, ma avvenuta in un altro momento e in un’altra Regione.
La Pignone, punto di forza della meccanica fiorentina, era stata acquistata nel 1946 dalla Snia Viscosa, leader nazionale nella realizzazione di fibre naturali e sintetiche, che l’aveva convertita da fabbrica di turbine in produttrice di telai tessili. Nell’autunno del 1953 l’amministratore della Snia, Franco Mariotti, denunciando la concorrenza di macchinari e prodotti americani, presenti sul mercato italiano grazie al Piano Marshall, la stretta creditizia effettuata dalle banche ed il mancato arrivo di commissioni statali, quali concause alla impossibilità di investire nell’azienda, decise di licenziare i 1.750 lavoratori di Pignone.
I lavoratori risposero con l’occupazione della fabbrica. La Pira si schierò dalla parte degli operai e contro il licenziamento. Il 19 novembre 1953, il Consiglio Comunale solidarizzò ufficialmente con l’azione di difesa dell’azienda e costituì un fondo di solidarietà per i lavoratori. Contemporaneamente, il sindaco si attivò presso le istituzioni nazionali affinché si trovasse un’alternativa ai licenziamenti.
Il forte richiamo di La Pira alle istituzioni politiche perché intervenissero a scongiurare i licenziamenti gli mossero, dalle pagine di numerosi quotidiani nazionali, le critiche dei fautori dell’assoluta inviolabilità dell’iniziativa economica privata. Famoso fu, nei mesi successivi, il dibattito tra La Pira e Don Sturzo: quest’ultimo, che non vedeva alternative possibili al capitalismo liberale accusò il sindaco di “comunismo bianco”.
Pur in tale clima di tensione, tuttavia, La Pira non si perdette d’animo e si rivolse con risolutezza all’allora Ministro degli Interni, Fanfani, affinché trovasse una soluzione che garantisse il rinserimento di tutti i lavoratori. Fanfani ebbe l’intuizione di coinvolgere la neonata ENI di Enrico Mattei. La Pignone, infatti, tornando alla sua vocazione produttiva originale, avrebbe permesso all’ENI di rendersi capace di produrre per proprio conto le turbine necessarie all’estrazione del petrolio (e Mattei, accettando, sarebbe riuscito a legarsi alla DC, legame indispensabile per le sue attività imprenditoriali). Fu così che, nel gennaio del 1954 nacque la Nuovo Pignone.
Il raffronto di quanto avvenuto allora con quanto sta avvenendo oggi è impietoso. Certamente, questo dipende innanzitutto dalla caratura politica dei personaggi coinvolti – e chi scrive, pur essendo sempre stato avverso dalla Democrazia Cristiana, non ha problemi nell’ammettere questa verità (peraltro auto-evidente).
Tuttavia c’è qualcos’altro da considerare: il contesto istituzionale.
La vicenda della nascita di Nuovo Pignone si svolse in un contesto istituzionale in cui la nostra Costituzione rappresentava il vertice dell’ordinamento dello Stato. Il dramma di Pal Zileri/Forall, al contrario, si svolge in un contesto istituzionale in cui la parte economica della Costituzione risulta inapplicabile, poiché sono i trattati europei che finiscono per prevalere (cfr. ad esempio qui).
Oggi, dunque, non sarebbe possibile nessun intervento di un’industria pubblica (qual era l’ENI di Mattei, nel frattempo debitamente “privatizzata”) per salvare l’occupazione e garantire un rilancio industriale. Poiché il tutto sarebbe prontamente stigmatizzato come “aiuto di Stato”. Quindi noi del FSI–Riconquistare l’Italia Vicenza, oltre a schierarci risolutamente dalla parte dei lavoratori di Pal Zileri/Forall e a impegnarci a portar loro la nostra solidarietà attiva, vorremmo anche ribadire che, senza una rimessa in discussione radicale del contesto istituzionale in cui l’Italia si trova immersa, ben poco si potrà, concretamente, fare.
Detto in altri termini: l’UE nuoce gravemente al nostro diritto al lavoro (nonostante esso sia costituzionalmente garantito)
PS: Facebook, invece, nuoce gravemente alla nostra salute.
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