Ricostituire la partitocrazia
di STEFANO D’ANDREA (Presidente di RI)
Fin quando una minoranza di Italiani, magari esigua ma non troppo, non si convincerà che per anni ha sostenuto tesi sbagliate e ripetuto innumerevoli volte argomenti insensati, perché catturata dalle mode e dagli slogan della classe dominante e del ceto intellettuale sub-dominante, che l’hanno indotta ad assumere e diffondere posizioni politiche masochistiche, non potrà esservi miglioramento della situazione e nemmeno previsione di un miglioramento.
Una delle tante posizioni sballate e masochistiche, a lungo sostenuta, e tuttora largamente diffusa, è che si dovesse combattere la partitocrazia. In realtà, è abbastanza agevole, se si ragiona, arrivare alla conclusione che, o vi sono partiti popolari, promotori di una ideologia sociale, o non vi è democrazia, perché il popolo ha un solo strumento per far valere i suoi interessi: l’esistenza di validi partiti popolari.
Invece dagli anni Ottanta abbiamo vissuto due diverse ma largamente omogenee situazioni.
La prima era caratterizzata dall’esistenza di partiti popolari non validi ma decadenti, in decomposizione, privi ormai di ideologia o meglio con una ideologia ancora declamata, che tuttavia contrastava con gli indirizzi politici concretamente sostenuti. Una scissione tra parole e azione.
La seconda, iniziata con la seconda repubblica, da un lato ha visto rimanere strutture organizzative che non erano più nemmeno partiti decadenti, ma alleanze mobili di centri di potere periferici con centri di potere nazionale . Mobili perché la periferia ricattava i centri nazionali, non meno di quanto fosse vero l’inverso ed era disposta a stipulare patti con altri centri di potere nazionale, se non vedeva soddisfatte le sue esigenze. Dall’altro, ha visto emergere palesemente non partiti (falsi partiti), organizzati attorno a singole persone.
E i due profili si sono spesso mescolati. Ne è derivato che siamo passati da partiti decadenti a non-partiti. In entrambi i casi non vi è stata nessuna elaborazione teorica e nessuna ideologia popolare e sociale.
Dinanzi a questa realtà orribile, si è diffusa la tesi che si debba combattere la partitocrazia. Ma la realtà orribile era costituita da partiti decadenti e da non partiti, dominati da imprenditori o parenti di imprenditori (Berlusconi, De Benedetti il piccolo Casaleggio, mi riferisco al padre, non al piccolissimo, gli esportatori leghisti, Colaninno, ecc.) che per interesse hanno ceduto tutto il potere decisionale alla Banca d’Italia, la quale, dai tempi di Guido Carli, è centro del pensiero neoliberale, e dunque antistatalista, antipartitocratico, antipopolare e antisociale, nonché luogo di uomini che volevano esercitare il potere liberi dai partiti popolari e anzi, appena ne fosse stato possibile, in sostituzione di essi.
Sicché un’analisi sensata avrebbe avrebbe dovuto giungere alla conclusione che i partiti non c’erano o erano decadenti; che si dovesse ricostituirli; che la democrazia o è partitocrazia o è finzione che maschera il dominio assoluto dell’ideologia neoliberale e del grande capitale; che i non partiti (o partiti falsi) sono una degenerazione dei partiti decadenti, che sono una degenerazione dei partiti di valore; che il compito di chi vuole impegnarsi politicamente e avversa le teorie neoliberali, elitiste e ultra-capitaliste, è quello di ricostituire partiti di valore.
Non dunque contrarietà alla partitocrazia. Ma ricostituire la partitocrazia.
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