Pubblifobi e pubblifili in Francia: il recente divieto della pubblicità sui canali televisivi pubblici
di Tonino Fabbri
Da qualche mese un cruccio s'annida nelle menti dei pubblicitari francesi e spagnoli. Un cruccio senza apparenti pretese, che si carica di rabbia e si scarica in critiche alle iniziative del presidente della Repubblica francese Nicolas Sarkozy, il cui torto sarebbe quello di aver dichiarato, a partire dal 2008 (http://dailymotion.virgilio.it/video/x3zqjs_sarkozy-supprimer-la-publicite-sur_news), di voler abolire completamente la pubblicità sulle reti televisive pubbliche francesi a partire dal 2011. Da qualche mese anche il Premier spagnolo Zapatero si è allineato alle iniziative antipubblicitarie di "Sarko".
Dal cinque gennaio 2009, come primo passo delle scelte del Presidente della Repubblica la pubblicità sulle reti pubbliche della televisione francese (France Television costituita principalmente dalle reti France 2 e France 3, seconda e terza rete anche nell'audience) scompare a partire dalle 20.00 di sera. Quindi, dopo il Tg, inizia subito la prima serata, alle 20.35, e, grazie all'assenza di interruzioni pubblicitarie la seconda serata inizia, in genere, poco dopo le 22.00. Un confronto con il principale canale privato, TF1, il canale più visto in Francia, mostra le differenze. Su TF1 la prima serata inizia, in genere, alle 20.45 e la seconda dalle 22.40 alle 23.30, in genere, in base ai programmi; perlopiù comunque dopo le 23.00.
Il Presidente Sarkozy, in una conferenza stampa, l'8 gennaio 2008, affermava che si doveva "prendere in considerazione l'abolizione della pubblicità sui canali pubblici" poiché detti canali avrebbero una funzione culturale particolare per cui non sarebbero compatibili con la presenza di spot pubblicitari. Questa vera rivoluzione culturale, secondo il Presidente sarebbe stata finanziata da risorse aggiuntive per la televisione pubblica provenienti da una tassazione del 5% sugli investimenti pubblicitari.
I soliti analisti hanno subito stimato che tali investimenti valutabili in circa 30,5 miliardi di euro, avrebbero portato alle casse delle televisioni pubbliche circa 1,5 miliardi di euro, mentre, attualmente la raccolta pubblicitaria della France Television (la televisione pubblica francese) raggiunge solo i "700 milioni" di euro. La tassa a sostegno della "depubblicizzazione" delle rete televisiva pubblica sarebbe applicata anche agli Internet Service Provider e agli operatori di telefonia mobile.
L'iniziativa del Presidente della Repubblica Francese ha provocato delle reazioni negative, soprattutto perché si è osservato che, subito dopo la conferenza stampa di Sarkozy, il prezzo delle azioni di TF1 (principale canale privato francese) e M6 Metropole TV (altro canale privato francese) alla Borsa di Parigi, sono salite rispettivamente fino all'8,38% e al 6,86%, nel contesto di una borsa che saliva solo dell'0,84%. I maligni si sono quindi affrettati a sostenere che l'iniziativa del Presidente fosse rivolta ad "aiutare" gli "amici" delle televisioni private, tanto più che in Francia, contestualmente all'abolizione della pubblicità nelle reti pubbliche è stato aumentato il tetto dell'affollamento pubblicitario, che è passato da 6 minuti di pubblicità per ora a 9 minuti di pubblicità per ora (minuti di pubblicità di cui si giovano i canali privati TF1 e M6), per riassorbire parte della comunicazione pubblicitaria che non troverà più spazio nelle reti pubbliche (France 2 e France 3).
Tanto per stimolare qualche riflessione si pensi che in Italia l'affollamento nelle reti Mediaset è del 18% ogni ora con richiesta di arrivare al 20% di affollamento per ogni ora.
L'iniziativa del presidente Sarkozy non nasce nel vuoto culturale. Il dibattito sull'abolizione della pubblicità sulle reti pubbliche francesi si è vivacizzato a partire dall'inizio del millennio, quando si è iniziato a riflettere sul fatto che gli investitori pubblicitari avrebbero spostato i loro interessi su Internet abbandonando le televisioni dette "generaliste".
Lo spostamento degli investitori su Internet è diventato più evidente negli ultimi anni (e nell'ultimo anno la crisi ha accelerato i disinvestimenti in spot televisivi), per cui, evidentemente a fronte dello stesso numero di canali televisivi la raccolta pubblicitaria per ogni canale decresce piuttosto rapidamente.
Fin qui, sembrerebbe che le scelte del Presidente Sarkozy seguano solo gli interessi privati dei gruppi proprietari delle televisioni private francesi, ma il tema non si esaurisce solo tenendo conto degli interessi economici.
Le parole del Presidente, forse per mera abilità dialettica, riprendono dei temi cari al movimento dei pubblifobi. Il concetto di pubblifobia in Italia semplicemente non esiste, quindi non esiste nemmeno il termine, come si constata consultando i dizionari di italiano. Traduco con pubblifobia il termine francese publiphobie, termine che deriva da una lunga elaborazione concettuale contro la pubblicità che si è diffusa a partire dagli anni sessanta in Francia.
Per chiarire il concetto di pubblifobia conviene partire da definizioni accademiche. Philippe Malaval e Jean-Marc Décaudin, autori di un bel manuale di teoria e tecnica della comunicazione (un manuale forse non così "globale" come pretendono e pubblicizzano), chiariscono che lo studio dell'attitudine, o predisposizione, nei confronti della pubblicità (dall'inglese "Aad" attitude toward the advertising) cerca di comprendere le reazioni favorevoli o sfavorevoli all'esposizione alla comunicazione pubblicitaria. Sempre secondo gli autori, la Francia è considerata un paese tipicamente pubblifilo al contrario dei paesi anglosassoni che sarebbero invece dei paesi dove predominerebbe la pubblifobia. In Francia, paese pubblifilo, i dati, diffusi nell'aprile del 2009, di una indagine condotta su un campione di 1049 cittadini francesi mostra che il 56% dei rispondenti (contro il 44%), dichiara il suo "amore per la pubblicità". Ma, a fronte di questo amore, il 94% del campione ritiene la pubblicità "spesso ingannevole" e l'89% che è "troppo invadente". Nonostante che sia ingannevole, il 74% dei francesi riterrebbe la pubblicità una fonte d'informazione sui prodotti e sui servizi e il 69% la riterrebbe "indispensabile all'economia". I pubblifobi francesi inoltre (cioè coloro che certamente non amano la pubblicità) cambierebbero opinione di fronte a delle campagne pubblicitarie innovative nella forma e nel contenuto, curate nella forma e divertenti. (fonte: ). .opinion-way.com
La pubblifobia è, prima di tutto, la reazione personale ostile nei confronti della comunicazione pubblicitaria. Questa reazione negativa si è trasformata, in Francia, in un movimento. L'odio verso gli spot riesce ad aggregare dei gruppi sociali ostili all'utilizzo della pubblicità. L'esempio più significativo sono le "brigade Anti Pub" (publicité in Francia è abbreviata in Pub) (http://bap.propagande.org).
I più radicali pubblifobi sostengono che la pubblicità sarebbe "inquinante" per l'ambiente sociale poiché sarebbe aggressiva e creerebbe confusione mentale; che la pubblicità sarebbe ingannevole; in quanto arte della menzogna creerebbe frustrazioni comunicando solo apparenze, distruggendo la vera arte; che la pubblicità opererebbe spersonalizzando gli spettatori, lavandogli il cervello, annullando il pensiero critico; che la pubblicità distruggerebbe il diritto al silenzio; che la pubblicità depraverebbe la lingua; che la pubblicità renderebbe i bambini obesi; che la pubblicità ucciderebbe.
Nell'iperbole antipubblicitaria, la pubblifobia tende a perdere la capacità di critica.
Nell'iperbole pubblifila invece la pubblicità sarebbe una forma d'arte; secondo Franco Speroni (voce "Arte e pubblicità" nel Dizionario della pubblicità), per esempio, si dovrebbe ribaltare il rapporto tra arte e pubblicità nel rapporto pubblicità-arte quest'ultima intesa come "arte colta" la quale «non può più prescindere dall'estetizzazione che media e cultura di massa in genere hanno capillarmente diffuso nella società, intervenendo sulla qualità dei consumi individuali e ponendo in primo piano il "piacere corporeo della fruizione"»
Torniamo ora all'iniziativa di Sarkozy. Se essa è stata dettata, come mostrerebbero alcuni fatti, dalla necessità di dare una risposta alle richieste, implicite o esplicite delle aziende televisive private, l'abilità del politico ha saputo trasformare un interesse economico in un'espressione di un valore morale; facendo questo però ha anche attirato le critiche dei pubblicitari. Infatti per i pubblicitari, la scomparsa degli spot sulle emittenti televisive, limitando il mercato pubblicitario, limita anche le opportunità di lavoro. La reazione corporativa non si è fatta attendere. Le critiche alla nuova politica pubblicitaria del presidente francese sono di tre tipi: la più ingenua è quella secondo la quale la mancanza degli introiti pubblicitari comporterebbe una caduta della qualità dei programmi; ma a questa obiezioni si replica notando che la mancata degli introiti pubblicitari è ampiamente compensata dagli introiti delle nuove tasse. In questo caso la polemica si è spostata sull'opportunità morale di introdurre delle tasse sulla raccolta pubblicitaria (azione intrapresa anche da Zapatero).
Una seconda critica all'iniziativa del presidente francese è quella secondo cui la presenza degli spot nelle trasmissioni televisive non avrebbe alcuna connessione con la possibilità delle televisioni di svolgere un'attività di pubblico servizio. In breve: il telespettatore non sceglierebbe i programmi televisivi in base agli spot pubblicitari che vi sono inseriti. Anche in questo caso però si può replicare che gli spot non hanno alcuna valenza educativa o informativa quindi sarebbero semplicemente in contraddizione con molti dei programmi televisivi tipici di una Tv di servizio. Si pensi, per esempio a un programma a difesa dei consumatori che potrebbe avere uno spot i cui contenuti sono in contrasto con quanto sostenuto nelle trasmissioni stesse.
Una terza critica vorrebbe che l'eliminazione degli spot dalle televisioni pubbliche farebbe perdere, in generale, spettatori proprio alle televisioni pubbliche, mentre il presidente Sarkozy avrebbe puntato su un incremento degli spettatori in virtù proprio dell'eliminazione degli spot. La risposta a questa obiezione è che, dopo pochi mesi, non si possono fare ancora valutazioni sullo spostamento del pubblico, come mostrano i dati dello share delle principali reti televisivi francesi (2 private: TF1 e M6, e due pubbliche France 2 e France 3).
Emittente/Settimana |
6-12 aprile |
13-19 aprile |
20-26 aprile |
27 aprile – 3 maggio |
4-10 maggio |
TF1 |
26,5 |
25,9 |
25,2 |
26,6 |
25,3 |
France 2 |
17,0 |
15,4 |
15,9 |
16,6 |
17,4 |
France 3 |
11,7 |
12,8 |
12,7 |
12,2 |
11,8 |
M6 |
10,5 |
10,6 |
10,6 |
10,5 |
11,2 |
Come si vede i dati generali degli ascolti delle principali reti in chiaro della Francia mostrano una sostanziale stabilità delle preferenze del pubblico francese. La rete privata TF1 continua ad essere la più seguita, France 2 e France 3 rimangono nelle loro percentuali e anche M6, l'altro canale privato continua ad essere visto con le stesse percentuali (in tutte le variazioni incidono i programmi specifici delle settimane di riferimento). Quindi se l'eliminazione della pubblicità dalle reti pubbliche francesi non ha fatto aumentare lo share delle televisioni pubbliche, non l'ha nemmeno ridotto; comunque è troppo presto per esprimere un giudizio complessivo per quanto riguarda i telespettatori.
In conclusione credo che gli insegnamenti da quanto avvenuto in Francia possano essere i seguenti:
- occorre dare voce e sviluppare un legittimo movimento che raccolga la spontanea ostilità agli spot pubblicitari;
- occorre modificare la legge sulla pubblicità televisiva introducendo maggiori obblighi d'informazione ai consumatori, che sono, prima che consumatori, cittadini;
- occorre sostenere l'eliminazione degli spot dalle televisioni pubbliche;
- occorre introdurre una tassazione sulla pubblicità delle reti commerciali.
molto interessante, spero seguiranno istantanee sulla situazione negli altri Paesi, a noi più o meno affini.
Lascio un piccolo contributo sulla situazione italiana e sulle sue deviazioni dovute in particolare alla commistione affaristica tra una grande editore (Mediaset-Mondadori) che è anche un grande distributore di pubblicità e prodotti di intrattenimento Tv (Pubblitalia – Medusa) e ora è pure una forza politica che tiene il governo del Paese.
Si tratta di un dossier Nielsen, di cui un estratto è stato recente pubblicato sul quotidiano Repubblica (martedì 16, p. 4), che riporta le variazioni degli introiti pubblicitari delle aziende raggruppate per categoria e della vendita degli spazi pubblicitari sui canali tv di diffusione nazionale. Il periodo preso in considerazione è il primo quadrimestre 2009 paragonato allo stesso periodo 2008.
Si può notare come la crisi comporti un forte ridimensionamento delle inserzioni e del volume d’affari corrispondente, ma come questo ridimensionamento si distribuisca in maniera assai diseguale tra Mediaset, Rai ed editoria (carta stampata + internet)
1) INTROITI PUBBLICITARI DA VENDITA DI SPAZI
MEDIASET
gen.-apr. 2008: 885.000 euro
gen.-apr. 2009: 792.000 euro
variazione %: -10,53%
RAI
gen.-apr. 2008: 467.000 euro
gen.-apr. 2009: 372.000 euro
variazione %: -20,46%
QUOTIDIANI
gen.-apr. 2008: 115.000 euro
gen.-apr. 2009: 87.000 euro
variazione %: -23,72%
2) INVESTIMENTI PUBBLICITARI DELLE GRANDI AZIENDE PER SETTORE (stesso periodo, dati in %)
SETTORE AUTOMOBILISTICO
su Mediaset: + 13,8%
su Rai: – 7,4%
SETTORE TELECOMUNICAZIONI
su Mediaset: + 5,3%
su Rai: – 7,4%
SETTORE ALIMENTARE GRANDE DISTRIBUZIONE
su Mediaset: + 7,5%
su Rai: – 4,8%
SETTORE ARREDAMENTO GRANDE DISTRIBUZIONE
su Mediaset: + 9,5%
su Rai: – 1,4%
SETTORE FARMACEUTICO
su Mediaset: + 4,5%
su Rai: – 2,0%
Al netto del fatto che magari a Mediaset sono più bravi a fare marketing (ma quanto più bravi?), ogni commento su questi dati mi sembra superfluo.
Il mercato pubblicitario italiano è drograto da un gigantesco conflitto di interessi
un saluto
Marco