La lente d’ingrandimento
La lente di ingrandimento, come tutti sanno, è tradizionalmente un pezzo di vetro trasparente che, lavorato opportunamente, permette di osservare cose che avremmo difficoltà a vedere ad occhio nudo. Una formica posta sotto la lente di ingrandimento perde i suoi tipici connotati di essere minuto per offrire una serie di dettagli prima inosservabili e diventare così oggetto di studio. In senso lato la lente di ingrandimento rappresenta tutto ciò che permette di focalizzare l'attenzione su questioni altrimenti poco osservate. La lente altera la nostra normale percezione e in qualche modo ci obbliga a confrontarci con realtà a noi distanti, desuete.
Potremmo dire che è la volontà a dotarci di strumenti (la lente) e di curiosità. Ma ci sono situazioni un po' pilotate, a dire il vero, dove tale volontà è il frutto di una serie di scelte non esattamente ponderate e libere. La lente, molto più spesso di quanto ci sembri, è messa in posizione ottimale per obbligare (più che permettere) l'analisi di eventi microscopici altrimenti poco osservati. Magari con lo scopo non dichiarato di non dare il giusto peso ad eventi macroscopici che, essendo sotto gli occhi di tutti, non necessitano di lente alcuna.
Fuor di metafora esistono realtà che non sono socialmente rilevanti (ovvero ci sono pochissime possibilità che ci accadano) e altre realtà che invece sono pesantemente rilevanti. Ci sono ad esempio poche possibilità che uno dei 60 milioni di cittadini italiani sia diventato testimone di uno dei 510 delitti del 2009. E anche se in realtà il numero assoluto dei delitti si è più che dimezzato negli ultimi vent'anni, passando da 1695 ai 510 del 2009, l’impressione che si ha, grazie alle potenti lenti mediatiche, è che siano un numero esagerato ed in costante aumento.
Tale numero rappresenta le vittime di incidenti stradali nella sola Lombardia ed una frazione delle 3971 persone che in un solo anno (il 2009) hanno messo fine alla propria vita. [1] Abbiamo quindi una probabilità circa 8 volte maggiore di vedere un suicidio che un omicidio, ma la cosa non è percepita così. Ci informa l'Eurispes che ogni giorno muoiono 11 persone per incidente stradale, per un totale di 4090 decessi nel 2010. Grosso modo la stessa quantità dei suicidi e molto meno dei numeri relativi a morte per tumore (177.000) e infarto (225.000). Per non parlare di malasanità e relative stime che oscillano tra i 14.000 ed i 50.000 morti. [2]
Occorre quindi una buona lente di ingrandimento per mettere a fuoco un evento così raro come l'omicidio e dimenticare tutte le altre cause di morte. E occorre una buona dose di allenamento per abituarsi a vedere eventi statisticamente irrilevanti come importantissimi. E’ una lente che funziona benissimo nel modificare la percezione collettiva al punto che la stessa Eurispes afferma: “le notizie di cronaca nera, insieme a quelle sportive (in particolare calcistiche), sono i temi più cercati e 'cliccati' in Rete dagli utenti.” [3]
Questo significa che l’inconscio collettivo è stato riprogrammato per portare le persone “normali” ad avere interessi specifici per episodi marginali, specialmente se conditi da una buona dose di razzismo. Pensiamo alla strage di Erba, a Cogne o al recente fatto di Brindisi per esempio.
Poco importa se la possibilità che succeda qualcosa di letale stia in rapporto di 1:100 rispetto ai rischi di un banale ricovero ospedaliero: non è così che funziona l’inconscio.
Il problema, com’è facile intuire, è che le morti per tumore, infarto o incidente d'auto (sconosciute in altre epoche) non devono fare notizia. La rete di giornalisti sguinzagliata per aizzare l'interesse morboso delle masse non dev'essere qualcosa che minaccia di scardinare il potere attraverso un confronto ragionato di dati che lo inchiodano alle proprie responsabilità, ma una leva che porta a suscitare quell'emotività irragionevole che poi è la vera chiave di accesso per ogni tipo di sopruso fatto nel nome di un presunto bene comune.
Il plastico di Erba a Porta a Porta è in qualche modo l'emblema di tutta questa deriva statistica, dove ciò che è marginale assurge a vette di visibilità e attenzione, innescando nel pubblico una spirale di patologica e ossessiva ricerca di casi analoghi, similmente innocui per il potere. Diventa così, per l’inconscio collettivo, molto più pericoloso frequentare una strada con degli extracomunitari che mettersi in macchina. Ovviamente se non c'è di mezzo un autista extracomunitario come nel caso della morte di Lady D.
Il messaggio subliminale contenuto in queste criminali scelte mediatiche è chiarissimo: esistono episodi che, per loro stessa natura, sono da imputarsi ad incertezze che nessun sistema, per quanto ben organizzato, riesce a neutralizzare. Chiamiamolo rumore, noise. Su tali incertezze (statisticamente irrilevanti e causate da persone assolutamente al di fuori di ogni logica di potere) si deve fondare la campagna di sensibilizzazione. Le persone si devono sentire vulnerabili, devono capire che “così è la vita” e “questa è la malvagia natura dell'uomo” (tanto meglio se l'uomo è di colore). Ogni tentativo di organizzare un argine contro episodi così marginali viene necessariamente visto come un palliativo, e l'unica soluzione rimasta è quella individuale. Per fortuna oggi c’è Facebook.
La morte diventa così un evento mediatico che nulla ha a che vedere con l'interiorità e l'elaborazione privata del lutto. Il rito, giunto alla totale profanazione, è sostituito dai network sociali. Facebook viene indicato sempre più spesso come ‘il nuovo cimitero on line’ (fonte Eurispes).[3]
I social network cioè ricalcano esattamente il copione dei media e spettacolarizzano quanto di macabro accade attorno a noi. La lente diventa diversivo sociale, come i circenses romani. La morte come divertimento ed esaltazione.
Mentre l'esercito di giornalisti si affida ai propri microfoni e telecamere per banalizzare ad uso spettacolarizzazione la morte violenta di un parente (“cosa prova in quest'attimo” è la domanda di rito), e vengono spese ore di trasmissione nel posizionare la lente d'ingrandimento sui più macabri di quei 500 omicidi annuali, nessuna voce (o quasi) si leva dai media per rilevare ciò che si colloca ben al di sopra della soglia di rumore e denunciare gli errori di sistema strettamente collegati ad una cattiva gestione del potere. Il tipo di vita che siamo obbligati a sostenere (respirare le PM10, mangiare cibi sempre più chimici e relative patologie, morti sul lavoro, vittime di un sistema di trasporti, etc.) chiederebbe radicali cambiamenti, ma un patologico disturbo percettivo impedisce una giusta valutazione. E’ rilevante solo quanto viene ingrandito dalla lente.
Che gli ingrandimenti siano funzionali all’apparato elitistico lo dimostra anche un altro fatto di percezione comune: i rischi cui sono sottoposti le forze dell’ordine.
Chi lavora come poliziotto, militare (magari in Afganistan) o Vigile del Fuoco ha 40 volte in meno la possibilità di essere ucciso rispetto ad un agricoltore, e 25 in meno rispetto ad un addetto alle costruzioni. [4]
La lente di ingrandimento viene accuratamente posizionata sotto i pochi casi di morte da lavoratore della sicurezza mettendo così in secondo piano le morti di chi lavora per sfamarci o per costruire le nostre case. Funerali di Stato per chi ritorna in bara dalla discutibile missione di peace keeping all’estero e trafiletto nella pagina delle cronache locali per chi resta schiacciato dal trattore. Esaltare l’abnegazione di chi mantiene inalterati i processi sociali in atto da Bolzaneto a Kabul e ignorare chi, con costi umani nettamente superiori, ha dedicato la propria esistenza a sfamarci; falsare la percezione comune e riprogrammare l’inconscio: a questo serve la lente d’ingrandimento.
[1]http://www.istat.it/it/archivio/58063
[2]http://malasanita-violenza.myblog.it/archive/2011/03/12/malsanita-90-morti-al-giorno-per-errori-dei-medici-o-cattiva.html
[3]http://www.eurispes.it/index.php?option=com_content&view=article&id=2605:sintesi-rapporto-italia-2012&catid=40&Itemid=135
[4]http://www.vegaengineering.com/osservatorio-sicurezza-sul-lavoro-infortuni-mortali/
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