Lettera aperta al dott. Renato Mannheimer
Egr. dott. Mannheimer,
le scrivo per chiederle di porre ai lettori del Corriere della Sera o agli spettatori di Rai Uno una domanda, un po’ diversa da quelle che solitamente lei formula.
Non le scrivo perché l’ammiro; e nemmeno perché la stimo. Al contrario, su di lei ho un cattivo giudizio e voglio lanciarle una sfida. Perciò, prima le spiego perché ho deciso di sfidarla; e poi formulo gentilmente la domanda che vorrei lei ponesse ai lettori del Corriere della Sera.
Al tempo in cui lei cominciò a divenire un personaggio pubblico, non mi stava simpatico; e posso garantirle che non soffro di antipatia. Non sapevo perché. Non indagavo. Non m’interrogavo sulla funzione che lei svolgeva e svolge. O meglio lo facevo ma non con la necessaria profondità. Eppure provavo avversione.
Poi, mentre chiacchieravo con un Maestro, tentando di elencare svariati fenomeni assurdi della contemporaneità, il Maestro mi interruppe e aggiunse quella che, a suo dire, era un’altra assurdità: “e quel Mannheimer?”. Lei per il Maestro era l’assurdo.
Decisi allora di riflettere sul compito e sulla funzione che lei svolge, nell’ignoranza pressoché generale. Quell’ignoranza nella quale io ero a lungo restato per la pigrizia del mio pensiero, che fino ad allora aveva in certo senso deciso di trascurare il ruolo dei sondaggisti: il male che fanno; l’inganno che attuano; la figura di pastori del gregge che incarnano.
Non è la sua singola azione a recare del male alla società italiana; in sé stessa la singola domanda che lei pone non è ingannatrice; non traccia la strada per il gregge. E’ l’attività continua che lei svolge a dover essere vietata. E’ un enorme potere privato, esercitato grazie a giornali privati e TV pubbliche, e posto al servizio del potere, privato e pubblico. Lei lavora per due padroni. Le hanno affidato l’esercizio di una funzione rilevantissima: formare l’opinione pubblica. Lei non sonda l’opinione pubblica. Lei la forma.
Non so se si è reso conto del ruolo che svolge. Sollevate sul principale quotidiano nazionale o sulla prima rete della RAI, le sue domande danno sistematicamente per scontato, e finiscono per far apparire scontato, un presupposto: che le domande che lei pone siano importanti; che sono complessivamente le più importanti che sia dato ipotizzare; che non sono complessivamente domande stupide; che non sono domande svianti.
Ha mai riflettuto che per coloro che non riconoscono alcun valore all’attuale potere pubblico e intendono sottrarsi, nella misura possibile, al potere privato, quelle domande potrebbero non avere importanza? Se fossero un continuo sviamento? Se fossero parte di un inganno? Se formassero un gregge? Se concorressero a conformare il “pensiero comune”? Se ipnotizzassero le coscienze? Se arrugginissero i cervelli? Se fossero tossiche?
Ha mai pensato che lei potrebbe risultare una delle persone che ha arrecato più male a una parte rilevante del popolo italiano? Ci pensi. Magari un giorno mi risponderà.
E vengo alla domanda.
“Secondo voi, nell’attuale contesto storico, l’Italia ha più bisogno di un Bersani, di un Berlusconi, di un Monti, di un Andreotti, di un Fanfani, di un Craxi, di un Togliatti, di un De Gasperi, di un Mussolini, di un Garibaldi, di un Cavour o di un Mazzini?”
Non le sembra interessante sapere come risponderebbero i sondati a questa domanda? Intanto c’è il confronto fra passato e presente. E poi vi è la possibilità che il più votato sia un Garibaldi, ossia un guerriero. O un Mazzini, un patriota rivoluzionario e “terrorista”. O un Mussolini: un dittatore. Non è interessante sapere se Togliatti gode di più o meno stima rispetto a Bersani? Non è curioso sapere se la distanza tra passato e presente nel giudizio dei cittadini è abissale?
Mi auguro vivamente che lei esaudirà il mio desiderio.
Cordialmente
Stefano D’Andrea
Grande Stefano! Questo articolo è veramente divertente! Ma l'hai inviato anche al Corriere dove spesso scrive Mannheimer?
Comunque riguardo il ruolo dei sondaggi è stato istruttivo anche vedere cosa succedeva in Grecia, come ad un certo punto dicevano tutto e il contrario di tutto con evidente fine manipolatorio.