La costruzione dell’Alleanza antieuropeista e per la Costituzione procede alla grande.
di STEFANO D’ANDREA
La costruzione dell’Alleanza antieuropeista e per la Costituzione è un processo lento e denso di ostacoli, il quale, perciò, richiede sofisticatezza, disciplina, pragmatismo e anche la necessaria riservatezza.
Se così non fosse, qualunque gruppo di cretini o comunque di uomini privi di ogni attitudine e qualità, riuscirebbe, anche a livello nazionale, a costruire l’alleanza o il partito, e vi sarebbe riuscito in tutte le altre occasioni elettorali. Ma così non è e non è mai stato.
Basti pensare che in Italia, dal 1948, sono state costruite centinaia di grandi imprese, anche multinazionali, ma soltanto 4 partiti nuovi (Partito Radicale, Lega, Forza Italia e M5S) – gli altri, i partiti nati da scissioni e aggregazioni di classi dirigenti non vanno presi in considerazione, avendo diversa natura – e soltanto uno di essi per un processo di alleanza, tra l’altro tra soggetti territorialmente definiti (la lega lombarda che si allea e assorbe altre leghe e diventa lega nord). Un conto sono le alleanze politiche locali, agevoli da costruire e delle quali, infatti, dal 1948 ne sono state realizzate migliaia e migliaia. Un conto è costruire un’alleanza politica nazionale.
Il processo è lento perché la formula per raggiungere l’obiettivo non è “sedersi tutti intorno a un tavolo” e dar vita all’alleanza anzi all’unità, come crede la parte più ingenua, per fortuna minoritaria, della nostra area di riferimento.
Sono sicuro che le persone che suggeriscono questo metodo, se sono attori e decidono di costruire una compagnia teatrale, se sono avvocati o commercialisti e decidono di dar vita ad un’associazione professionale, se sono imprenditori e decidono di dar vita ad una società, non invitano 7-9 attori o professionisti o imprenditori davanti a un tavolo e propongono ad essi il progetto di compagnia teatrale, di studio professionale o di società commerciale, bensì individuano il collega più affine e rivolgono a lui una proposta. Poi i due, uniti da un accordo preliminare, rivolgono la proposta, che già comincia ad avere contenuti più definiti, a una terza persona, che a loro parere potrebbe dare un valido apporto e che ad essi appare affidabile sotto il profilo dell’intelligenza, della serietà, dell’affidabilità e così via.
Insomma, la formula ovvia per la costruzione dell’alleanza, non è quella che fa passare magicamente da zero a 10, bensì 1 + 1=2; poi 2 + 1=3; e così via fino al punto in cui la condizione ottimale è stata raggiunta (ma sul punto tornerò).
Dunque chi dice “sedetevi tutti attorno a un tavolo e fate un patto”, salvo i pochi casi in cui si tratti di persone davvero inette, sta proponendo un metodo che non gli viene nemmeno in mente di adottare nella sua vita personale. Anzi nemmeno lo prende in considerazione, tanto è assurdo. Vi è dunque ingenuità nel proporre e addirittura nel dare per scontato un metodo che nemmeno è considerato nelle vicende personali da chi lo propone.
Si comprende, pertanto, come sia importante anche una certa sofisticatezza (che maggiore è e meglio è). Scegliere di rivolgere una proposta prima a Tizio o prima a Caio o prima a Sempronio, non è indifferente ma addirittura fondamentale.
Intanto perché dopo che si è rivolta la proposta a Tizio, ed è stato raggiunto un primo accordo, si perde totalmente la libertà. Infatti, dopo questo accordo preliminare, i due soggetti collettivi non hanno più nessuna possibilità di fare passi da soli, perché ormai sono vincolati l’un l’altro in un percorso di costruzione di una più vasta alleanza.
Perciò nel rivolgere la prima proposta bisogna essere sofisticati nella scelta dell’alleato migliore, ossia più sofisticato, riflessivo, disciplinato utile e capace.
Se si sceglie il gruppo sbagliato, dopo poco tempo, il percorso è interrotto: sorgono fastidi, per azioni unilaterali intraprese da uno dei gruppi o per rapporti paralleli intrattenuti con estranei al patto, cominciano a serpeggiare dubbi, scetticismo, nascono sospetti anziché svilupparsi la fiducia, si verificano momenti di rottura e l’avventura finisce in un precoce fallimento.
Un discorso identico si pone al momento in cui i due gruppi che hanno raggiunto per primi l’accordo, scelgono il terzo possibile alleato. Anche in questo caso, i due presidenti o segretari delle due associazioni politiche devono scegliere il terzo soggetto collettivo, valutando sia il soggetto collettivo che il leader e dovranno scegliere il gruppo che sia capeggiato da persona sofisticata, ragionevole, pragmatica e disciplinata e che sia a capo di un gruppo che almeno 90% lo seguirà, perché si tratta di gruppo strutturato, organizzato, che ha delegato al segretario o presidente la partecipazione al tentativo di costruire l’alleanza.
E poi bisognerà che i tre leader si vedano, frequentino, che tra essi vi sia completa fiducia e stima reciproca per le qualità che gli altri hanno. Altrimenti si sta costruendo sulle sabbie mobili.
Non è detto, tuttavia, che l’alleanza debba comprendere necessariamente tutti i possibili soggetti collettivi, come pure con enorme ingenuità sostengono alcuni. Anzi è certo che non deve comprendere tutti i soggetti collettivi che si trovano, per così dire, sulla piazza.
Evidentemente, le persone che sostengono questa assurda tesi (“unitevi tutti”) non si rendono conto delle possibili conseguenze di ciò che affermano.
Infatti, bisogna costruire un’alleanza che duri per una intera fase politica, o nella forma dell’alleanza o addirittura nella forma del partito unico. E se si aggregano soggetti collettivi troppo diversi, allora vuol dire che si sta proponendo, con consapevolezza o senza consapevolezza, una semplice alleanza elettorale una tantum, un’accozzaglia elettorale, anzi, piuttosto che una alleanza.
Vediamo per esempio, tre possibili problemi che possono sorgere se, senza usare il cervello, si tenta di unire tutti.
Consideriamo, in primo luogo, i militanti del PC e i militanti di Italexit. Essi sono molto diversi, per storie, culture, modi di ragionare, priorità. Nessuno può ragionevolmente affermare che, per molti anni e per una intera fase politica, la cui durata è in genere di vent’anni, possano stare assieme, in cene, riunioni, assemblee, banchetti, manifestazioni, alleanze locali e strutture di coordinamento.
Mentre, è forse possibile che una alleanza composta anche dal PC candidi Paragone come indipendente, in un collegio importante, o che una alleanza composta da Italexit candidi Rizzo come indipendente, in un collegio importante, o che si abbia qualche lista civica locale che comprenda militanti o simpatizzanti di entrambi i partiti, non ha alcun senso proporre un’alleanza strutturata tra i due partiti, perché significherebbe desiderare nichilisticamente la grande accozzaglia elettorale, destinata con immediatezza a sfasciarsi, ossia l’ennesimo nulla.
E credo che si debba ammettere francamente che, se il popolo italiano, dopo aver prodotto e dato fiducia al nulla pentastellato (il nulla pentastellato era già nel modello del 2009, per chi aveva capacità di analizzare), producesse un secondo nulla, allora bisognerà cominciare ad avanzare l’ipotesi che il popolo italiano, in questo momento storico, non valga nulla, perché non è in grado di partorire nulla di valido. Serve perciò che l’alleanza sia costruita da persone che comprendono questi elementari concetti e che siano dotate di sufficiente pragmatismo.
Un secondo enorme problema sorge quando si domanda se aggregare nell’alleanza anche soggetti collettivi fluidi, privi di un centro capace di decidere per tutti, aggregazioni pluriregionali (non nazionali), che “associano” (ma in senso molto relativo e non tecnico) aggregazioni regionali, che “associano” (ancora in senso molto relativo e non tecnico) aggregazioni locali. “Soggetti” collettivi, dunque, che non hanno voluto o non hanno saputo darsi una organizzazione partitica e che quindi non sono autonomi “soggetti”.
Infatti, il tavolo dell’alleanza si troverà a prendere molte decisioni. Elenco le prime che mi vengono in mente: andiamo con un simbolo unico che raccoglie elementi dei vari movimenti o con un simbolo radicalmente nuovo? quale nome diamo all’alleanza? a chi affidiamo la scrittura della bozza del programma che poi i leader, anche tramite iscritti ai partiti, correggeranno e limeranno? come discipliniamo il finanziamento comune? Ci facciamo la concorrenza ovunque o cerchiamo di assicurare almeno un rappresentante ad ogni gruppo, nel caso si entri in Parlamento? I candidati dovranno tutti parlare un linguaggio comune che sarà fissato in una ventina di pagine, che conterranno prese di posizione su svariati problemi (anche se ovviamente non su tutti)? E si potrebbe continuare all’infinito.
E’ evidente che l’alleanza si può fare soltanto con soggetti collettivi che siano strutturati e che diano agli alleati, da un lato, la sicura affidabilità che le decisioni che saranno prese al tavolo dell’alleanza saranno seguite, senza discussioni, critiche e litigi dal 90% dei partecipanti a quei soggetti collettivi (ogni gruppo, alleandosi, può ben perdere un 10% di iscritti simpatizzanti e fiancheggiatori, senza che sorga alcun problema per l’alleanza, che anzi si rafforza), dall’altro, la certezza che dinanzi ad ogni questione da risolvere, il rappresentante del movimento fluido abbia il potere di decidere e non debba rimettersi ad assemblee, oppure a deliberazioni di coordinamenti, nazionali, regionali, locali, reali o virtuali o a interminabili telefonate.
Prendiamo la questione tipica delle candidature e immaginiamo che vi siano al tavolo dell’alleanza 7 persone fisiche che rappresentino 7 partiti o movimenti. Ipotizziamo che proseguendo un ordine che si sono dati, e che stanno percorrendo, tre dei rappresentanti scelgano un capolista in un collegio plurinominale in Emilia Romagna (sono tre i collegi plurinominali) e altri tre in Toscana (dove pure i collegi plurinominali sono tre). Vi sarà un soggetto collettivo (il settimo) che dovrà accettare la certezza di non eleggere nessun rappresentante in Emilia Romagna e in Toscana. Poi, ipotizziamo, questo soggetto sceglierà per primo in Veneto, dove sceglierebbe uno dei quattro collegi plurinominali.
Ipotizziamo che questo soggetto collettivo sia fluido e non strutturato, un movimento, dunque non un partito. E’ sicuro che un soggetto collettivo fluido, non strutturato, senza un centro decisionale solido e da tutti delegato e rispettato accetterebbe la decisione? Gli attivisti toscani ed emiliani di questo soggetto fluido darebbero ugualmente il finanziamento e si impegnerebbero nella raccolta delle sottoscrizioni e nella campagna elettorale? O si scatenerebbe una guerra con accuse e allontanamenti?
E se non si ha la certezza della prima ipotesi, ha senso un patto con un soggetto fluido? I soggetti fluidi sono per definizione allergici ai patti di ferro. Nell’esempio recato, non sarebbe forse meglio allearsi direttamente soltanto con i veneti del movimento fluido? E chi deve prendere queste decisioni, e prima ancora fare queste valutazioni e ragionamenti, se non i rappresentanti dei gruppi che hanno già raggiunto l’accordo di allearsi? Solo i mentalmente pentastellati, ossia i cretini, i fanatici e gli ingenui, potrebbero preferire assemblee virtuali, e chiacchiere su facebook, alle quali magari parteciperebbero persone che non hanno mai dato una mano e nemmeno la darebbero in campagna elettorale e la cui unica “attitudine” è teorizzare ciò che gli altri devono fare.
Infine, un terzo tipo di problema. Esistono o possono esistere differenze politiche che sono insormontabili. Se alcuni gruppi sono antieuropeisti e credono che quello dell’Unione Europea sia il problema fondamentale – al quale tutti gli altri si collegano – e che il compito principale dell’Alleanza sia di mostrare a milioni e milioni di italiani che tutto ciò che loro desiderano è ostacolato o impedito dall’Unione Europea, allora è evidente che questi gruppi non devono allearsi con soggetti collettivi che siano semplicemente euroscettici o euro-critici o per “un’altra Europa”, perché questi ultimi soggetti sono avversari politici dei primi. Non è che non possono allearsi: non devono. Gli “avversari” possono fornire, se vogliono, qualche candidato indipendente, che abbia personalmente idee antieuropeiste o possono sostenerci nella campagna elettorale, credendo che l’alleanza antieuropeista che stiamo formando sia la formazione “meno peggiore” tra quelle che si presentano agli italiani. Ma non possono far parte dell’alleanza.
In definitiva, ho il sospetto che molti tra coloro che dicono “unitevi tutti” o non si sono mai sposati e non hanno mai proposto la costituzione di associazioni e società (non sanno dunque cosa significhi creare un vincolo durevole), oppure si sono sposati e poi divorziati, hanno visto disintegrarsi la società, lo studio associato o l’associazione che avevano promosso e tuttavia, come tutti gli inetti e i depressi che rimuovono i propri limiti e non imparano mai nulla dai propri errori, anziché dare a sé stessi la colpa di aver sbagliato a scegliere il coniuge o i soci o gli associati o i colleghi, danno la colpa dei loro fallimenti agli altri. Unitevi tutti è uno slogan da pentastellati, ossia privo di senso. Esso non indica né un metodo né una strategia. E’ puro sfogo, vuoto urlo da piazza, il nulla.
Bisogna costruire un’alleanza di soggetti collettivi strutturati e non fluidi; politicamente omogenei e identici nella idea fondamentale (ricollocare la Costituzione nel posto che le spetta, liberandoci dei Trattati europei); i cui militanti abbiano un livello di diversità relativo, tale da non impedire ad essi di trascorrere assieme, nelle medesime assemblee, nei medesimi cortei, nelle medesime strutture di coordinamento, ecc., un paio di decenni. E questa alleanza deve essere in grado di raccogliere le 73.800 sottoscrizioni necessarie e di esprimere candidati di valore in tutti i collegi elettorali, uninominali e plurinominali.
Infine, è necessario anche un certo livello di riservatezza e di pazienza. Noi del direttivo di Riconquistare l’Italia abbiamo avuto dall’assemblea del 2021 l’incarico di promuovere l’alleanza tra gruppi strutturati, che abbiano dimostrato di radicarsi nei territori e di saper essere e rimanere uniti. Quindi, il direttivo non avrebbe problemi a stringere patti ufficiali e a ufficializzarli, rendendoli pubblici. Ma esistono potenziali alleati che devono svolgere congressi o che devono assumere decisioni nel rispetto degli statuti, le quali richiedono deliberazioni di organi collegiali ora ristretti, ora estesi e composti da numerose persone. Perciò, i militanti di Riconquistare l’Italia devono essere pazienti e riservati, se vengono a conoscenza di notizie ufficiose e incerte. Si procede lentamente, con pazienza, per piccoli passi, che danno luogo a iniziative unitarie, che in qualche modo rivelano la strada che si sta ipotizzando e tentando di percorrere, fin quando, nel rispetto delle esigenze statutarie di tutti i soggetti coinvolti, le ipotesi e gli itinerari percorsi diverranno patti ufficiali e pubblici.
Svolte queste considerazioni, mi sento di poter dire a tutti i militanti, i simpatizzanti e i curiosi che apprezzano Riconquistare l’Italia e vogliono darci una mano, che il direttivo di Riconquistare l’Italia, dopo aver assunto nell’assemblea del 2021, l’impegno a promuovere un’alleanza tra soggetti collettivi politicamente omogenei, strutturati e radicati su tutto o quasi tutto il territorio nazionale, sta agendo con ingegno e impegno e che l’azione sta dando risultati rilevanti.
Tra non molto annunceremo una iniziativa di carattere nazionale che vedrà come promotori i partiti che si stanno parlando, che stanno formulando ipotesi e progetti, che stanno svolgendo analisi approfondite, e che stanno cercando di creare tra i leader quel rapporto di stima, di fiducia, di affidabilità e persino di amicizia, che è indispensabile per ottenere il difficilissimo risultato di far entrare in Parlamento l’Alleanza antieuropeista per l’attuazione della Costituzione: un’alleanza che sarà popolare e democratica, e che avrà sia componenti sociali che componenti socialiste.
Sempre avanti, con intelligenza e pazienza!
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