La condizione di consumatore è la moderna forma di asservimento.
di Stefano D’Andrea
Se ai miei figli fosse concesso di bagnarsi nel fiume limpido della nostra valle! Ma il fiume non è limpido; e anzi è maleodorante.
Se ai miei figli fosse concesso, almeno, di giocare nei campetti! Ma i campetti non ci sono più e i bambini sono iscritti alla scuola calcio.
Se almeno ai miei figli fosse concesso di frequentare una scuola pubblica, fondata sulla scrittura e la lettura e non sui video; sulla storia e la filosofia e non sulla cronaca e l’attualità! Una scuola che ambisse, magari fallendo, a formare l’uomo e non a informare e preparare al lavoro l’uomo moderno!
Che cosa è alla base di questi ed altri simili fenomeni di “scomparsa dell’uomo libero” ? Libero di bagnarsi in acque limpide, di giocare senza dover pagare, di avere la possibilità, almeno astratta, di sviluppare una forza e una potenza intellettuale titaniche?
E’ la libera iniziativa economica e quindi la possibilità della proprietà privata dei mezzi di produzione? Non credo. L’ingenua esaltazione e quasi divinizzazione della libertà di iniziativa privata ha inciso sulla tendenziale scomparsa dell’uomo libero ma non è la causa prima.
E’ il dominio, culturale e politico, della nazione dominante, ossia dell’impero statunitense? Nemmeno lo credo. Esso ha inciso notevolmente; ma nemmeno è la causa prima della tendenziale scomparsa dell’uomo libero.
La causa prima è nella nostra condizione di consumatori. Il consumatore non desidera bagnarsi nelle acque limpide della sua valle; bensì recarsi all’estero, magari contraendo debiti, per bagnarsi in acque viste in fotografia o sul grande schermo. Il consumatore non desidera che i propri figli giochino soli e liberi nei campetti; bensì che frequentino la scuola calcio e diventino come i suoi “miti”, visti anch’essi sullo schermo. Il consumatore non desidera divenire come Croce o Gramsci o Gentile o Gobetti o Marchesi o anche Calamandrei; né come Mazzini, Garibaldi o Duccio Galimberti, bensì come Berlusconi o come uno dei tanti personaggi televisivi.
Il consumatore, prima ancora che essere titolare di diritti e quindi di situazioni giuridiche soggettive attive (la cosiddetta tutela del consumatore) è titolare di situazioni giuridiche soggettive passive. In particolare è assoggettato alla pubblicità. Meglio: il cittadino assoggettato alla pubblicità diviene consumatore.
L’uomo assoggetto alla totalità pubblicitaria e al quale è fornito gratuitamente o quasi l’intero contesto di simboli attorno al quale si sviluppa il pensiero è di regola – salvo coloro che attuano una strenua strategia di resistenza – un consumatore. La condizione di consumatore è la moderna forma di asservimento, la quale non diversamente da quelle che storicamente l’hanno preceduta, contiene in sé anche la “volontà dell’asservito”.
L’ arma del nemico, che ci asserve o tenta di asservirci, è la pubblicità. E’ per mezzo della vendita di essa (ossia delle nostre menti e dei nostri occhi) ai titolari dei marchi pubblicizzati che il nemico ci intrattiene e così ci trattiene, ci tiene in pugno e ci conforma
Non è tanto la pubblicità in sé a conformarci, a suscitare i desideri, a creare mode, a costituire il contesto delle nostre riflessioni. Certo, la pubblicità svolge anche un ruolo autonomo di condizionamento. E tuttavia, ciò che maggiormente ci conforma sono i film, le trasmissioni televisive di intrattenimento o di approfondimento, gli eventi sportivi, le cronache, i personaggi pubblici, il gossip e tutto ciò che pur essendo “merce”, perché è prodotto sostenendo costi per essere venduto ad un prezzo superiore a quei costi, ci viene fornito in forma apparentemente gratuita o in cambio di spese minime.
Il capitale detentore del marchio paga per noi. Perché?
Per quale ragione accettiamo questi doni? Dovremmo voler pagare per “introiettare la merce”. Solo ciò che è reso dall’autore liberamente fruibile e che non è destinato a procurare ad esso denaro, direttamente o indirettamente, dovrebbe essere gratuito. Questi doni e queste forniture, quasi tutte seriali (il film del lunedì; la trasmissione politica del martedì; la trasmissione gossip del primo pomeriggio; il venerdì de La Repubblica; la partita di calcio quotidiana; e così via all’infinito) sono le mele avvelenate con le quali il grande capitale ci assoggetta o cerca di assoggettarci.
Si deve dunque indagare quale tutela ha il cittadino nei confronti della pubblicità e quale dovrebbe pretendere. L’ordinamento prevede una tutela del cittadino dalla pubblicità o una tutela della pubblicità destinata a formare il consumatore? Sarà il tema di un prossimo articolo.
Apprezzo molto l'obiettivo di Stefano di indagare su «quale tutela ha il cittadino nei confronti della pubblicità e quale dovrebbe pretendere». In articoli precedenti egli ha già allarmato il lettore sul fatto che la pubblicità ha assunto da tempo una pervasività totale nella nostra vita (L’uomo assoggetto alla totalità pubblicitaria e al quale è fornito gratuitamente o quasi l’intero contesto di simboli attorno al quale si sviluppa il pensiero è di regola, a ragione della quale noi è condizionato dalla comunicazione pubblicitaria). Questa totalità come scrive Stefano «concorre a creare i linguaggi, gli stili, i desideri, i problemi, le soluzioni, le gerarchie di valori e quant’altro presiede alla vita associata del popolo» così come concorre a formare gli stessi cittadini (https://www.appelloalpopolo.it/?p=472). Questi due aspetti non possono essere lasciati in mano alle società per azioni che sono proprietarie dei medium che informano i cittadini e così formano l’“opinione pubblica” che è «uno strumento di dominio» (https://www.appelloalpopolo.it/?p=163).
La conferma degli eccessi della pubblicità e di coloro che trasmettono la pubblicità è platealmente mostrata da chi è osservatore attento e che non può essere accusato di pregiudizi politici. Ho travato interessante la seguente denuncia di Roberto La Pira:
Il 24 ottobre 2009 Rete 4 trasmette il film "Ramson il riscatto" di Ron Howard con Mel Gibson. Le interruzioni per la pubblicità sono 4. La prima arriva dopo 20 minuti e comprende 20 spot e promo, poi ne seguono altre tre. Il bilancio finale è disastroso, la visione complessiva della pellicola dura 28 minuti di più per lasciare spazio a 80 inserzioni pubblicitarie di prodotti e di programmi oltre ad un TGcom di un minuto e un meteo di 40 secondi circa. Naturalmente i titoli di coda vengono tagliati (http://robertolapira.nova100.ilsole24ore.com/2009/10/mediaset-non-rispetta-la-legge-sulla-pubblicita-in-un-film-di-90-minuti-ci-sono-84-spot-che-durano-2.html)
Cosa afferma il diritto? Lo stesso La Pira ce lo dice:
La trasmissione di messaggi pubblicitari da parte della concessionaria del servizio pubblico generale radiotelevisivo non può eccedere il 4 per cento dell'orario settimanale di programmazione ed il 12 per cento di ogni ora; un'eventuale eccedenza, comunque non superiore al 2 per cento nel corso di un'ora, deve essere recuperata nell'ora antecedente o successiva.
Come vediamo le ben note televisioni private nazionali fanno scempio del diritto dei consumatori e dei fruitori televisivi, ma come sostiene Stefano D'Andrea il tema è ignorato dai media, cioè da coloro che sono pagati dai brand e che esistono grazie ai brand.
Le uniche reazioni che emergono sono delle iniziative individuali di qualche amministratore che, per esempio può vietare la vendita di merendine o la loro diffusione gratuita fuori dalle scuole perché quei regali servono a creare la “dipendenza” dei bambini dalle merendine confezionate, esattamente come accade con le droghe; oppure le iniziative per servire ai bambini della frutta fresca (http://www.genitori.it/documento.asp?sotto=10&articolo=10402) cosa questa che peraltro è troppo associata all'idea del “prodotto biologico”.
Non possiamo limitarci alle azioni sporadiche; se la legge è violata occorre cambiare la legge per eliminare radicalmente il problema. Si tratta di fare una nuova legislazione a tutela di tutti i consumatori e degli spettatori, ma per arrivare a una nuova legge occorre discutere a partire dai principi enunciati nel manifesto: 17) La pubblicità deve essere ridotta. Una lenta ma inesorabile riduzione della pubblicità: questa è la strada e 18) Il termine consumatore deve essere bandito. Esistono soltanto il consumismo e la spesa equilibrata. Il consumismo è l’atteggiamento e l’ideologia dei drogati del consumo; il consumerismo magari fosse metadone: è la dose a basso prezzo.
Cruciani Battista
La pubblicità condiziona. Immaginate: una donna in perfetta salute entra in un supermercato per comprare i biscotti. Prende la scatola dallo scaffale e per prima cosa legge i carboidrati. 5 grammi ? " Non fa per me – pensa – Il mio limite è 3 grammi". Posa la scatola e non li compra. La campagna pubblicitaria del ministero della salute funziona e determina le decisioni di acquisto ( anche di chi sta bene ! )
Gentile Pietro, le cose stanno proprio così.
Il problema è che la liceità della pubblicità non è un dato di natura, bensì un dato normativo. E' possibile, astrattamente, limitarla, anche severamente, e vietarla, almeno in certi "luoghi" (sugli organi di informazione e intrattenimenti). Forse serviranno secoli o magari soltanto decenni. Ma non è escluso che prima o poi qualcuno la vieterà. E' stata vietata anche la proprietà privata dei mezzi di produzione. figuriamoci se non sarà vietata, prima o poi, la pubblicità!