Verso una “Nato mondiale” anti-cinese: cos’ha deciso il G7
di INSIDE OVER (Andrea Muratore)
Il G7 di Hiroshima 2023 sarà ricordato come il più duro nelle parole con cui i principali Paesi dell’Occidente ed esponenti di quell’ottavo dell’umanità che fa riferimento alla sfera d’influenza Usa hanno colpito la Repubblica Popolare Cinese. Al netto di fattori moderanti interni allo stesso gruppo.
Pressione su Pechino
Il comunicato finale dei Sette indica la “coercizione economica” come obiettivo primario di Pechino per la sua traiettoria geopolitica e strategica su scala globale. La penetrazione cinese nei settori strategici delle economie occidentali è indicata come problematica e fonte di potenziali scossoni strategici. Viene criticata la stretta di Pechino su aziende tecnologiche, poli industriali e società di consulenza occidentali. Si mettono nero su bianco “rischi” e sfide del rapporto con Pechino.
Il comunicato finale menziona la necessità di puntare a “relazioni costruttive e stabili” con Pechino. Scompare, rispetto alla bozza proposta dagli Usa e dal Regno Unito, l’invito al “disaccoppiamento” delle economie occidentali da quella cinese nei settori critici su decisiva pressione di Emmanuel Macron. Ma si cita l’obiettivo esplicito del “de-risking”, a significare che delle problematiche esistono e vanno tenute in considerazione. L’obiettivo di sfidare le sfere d’influenza Usa con la citata coercizione economica è indicata dal G7 come una priorità da affrontare assieme alla stretta cinese sulle minoranze in Xinjiang e Tibet e al nocciolo duro della questione: la crescente militarizzazione del Mar Cinese Meridionale e le manovre di pressione su Taiwan.
La crisi tra Pechino e quella che la Repubblica Popolare chiama la “Provincia Ribelle” è indicata dal G7 come uno dei punti caldi del pianeta assieme agli scenari inaugurati dalla guerra russo-ucraina, alla crisi serbo-kosovara, al buco nero di Sudan e Afghanistan. Dunque uno degli scenari dove può essere messa a repentaglio la pace globale.
La riunione Quad
Le mosse di Macron per addolcire il comunicato finale hanno comunque prodotto un testo decisamente critico verso Pechino. A cui si è aggiunta la contemporanea presa di posizione autonoma di Giappone e Stati Uniti assieme a Australia e India, Paesi invitati a partecipare ai lavori, per il summit Quad per l’Indo-Pacifico. Joe Biden e il premier giapponese Fumio Kishida hanno ricevuto Anthony Albanese e Narendra Modi per il Quad nipponico svoltosi in parallelo al G7 che nel messaggio conclusivo ha rincarato la dose: “Ci opponiamo fermamente ad azioni destabilizzanti o unilaterali che cercano di cambiare lo status quo con la forza o la coercizione”. Il Quad ha inoltre annunciato “l’urgente necessità di sostenere reti di cavi sottomarini di qualità nell’Indo-Pacifico, che sono fondamentali per la crescita e la prosperità globali” in un senso di maggior orientamento al decoupling dalla Cina rispetto a quanto indicato dal G7.
La sommatoria tra G7 e Quad rinforza, per l’Occidente, il percorso di ampliamento verso la saldatura la sicurezza della sfera euroatlantica e quella del teatro indo-pacifico in cui le democrazie del G7 sono chiamate a cooperare con partner di varia taglia e statura geopolitica, oltre al Giappone che è parte integrante del gruppo, che vanno dall’Australia e l’India a Stati come Corea del Sud, Filippine, Indonesia, Vietnam che possono giocare un ruolo nella stabilizzazione macroregionale e nella riduzione dell’influenza a tutto campo di Pechino. Che nessuno nell’area vuole però barattare con una cambiale in bianco verso Washington. Significativo, in tal senso, l’atteggiamento dell’India che si muove su più tavoli, gioca al rilancio su difesa, sicurezza e tecnologia ma non sposa mai fino in fondo la tesi del contenimento duro e puro.
In mezzo c’è l’Europa che si muove tra pragmatismo commerciale e fedeltà alla scelta di campo. Risultando in questo caso forza moderatrice nei confronti dei fautori del contenimento duro e puro. Ma il cui operato non basta a placare le ire cinesi. Pechino nella giornata del 22 maggio ha convocato l’ambasciatore giapponese per protestare, segno del deterioramento del clima tra la Repubblica Popolare e l’Occidente.
“Visto da Pechino, l’evento di Hiroshima consolida il clima da guerra fredda che domina l’Asia nordorientale. Ma è una guerra fredda di tipo nuovo, molto diversa da quella del secolo scorso tra Stati Uniti e Unione Sovietica”, nota Internazionale, perché si gioca più sul tema economico-commerciale che su quello militare e ideologico. “Il G7 ha lasciato la porta aperta alla collaborazione con Pechino sui temi globali come il clima”, andando in direzione dei desiderata del Vecchio Continente, ma ora il bivio che si apre è complesso. Negli anni a venire gli Usa in particolare “vorrebbero ridefinire i rapporti con la Cina per trovare il modo di essere in disaccordo senza rischiare un conflitto. Ma è difficile tendere la mano e al contempo aumentare la pressione”. Il combinato disposto tra G7 e Quad mette in allarme la Cina, che sente il fiato sul collo. E si riapre una questione chiave: quanto lo scenario securitario possa evolversi verso una sorta di “Nato mondiale” anticinese e quanto, invece, la ricerca di un nemico comune sia più funzionale al consolidamento del blocco vicino agli Usa, sorpassato su scala demografica da tempo e di recente anche dai Brics per prodotto interno lordo, in una fase di appannamento dell’egemonia senza limiti di Washington.
Commenti recenti