L’Unione Europea e la sovranità popolare perduta
Giampiero Marano Nazione Indiana
“Voi non potete immaginare quale angoscia e quale rabbia invada l’animo vostro, quando degli inetti si impadroniscono di una grande idea, che voi da gran tempo venerate, e la danno in pasto ad altri imbecilli uguali a loro, in mezzo a una strada, e voi la ritrovate al mercato della roba vecchia, irriconoscibile, infangata, messa a gambe all’aria, assurdamente, senza proporzione, senza armonia, ridotta a giocattolo per bambini stupidi!”. Queste parole piene di amarezza che Stepan, nei Demoni di Dostoevskij, pronuncia tra i sospiri (non sappiamo quanto sinceri) sono, proprio perché così amare, sempre veritiere e attuali. Oggi, per esempio, offrono una descrizione perfetta dell’Unione Europea. L’antica e alta aspirazione a unire i popoli d’Europa superando rivalità secolari ha avuto sostenitori come Dante, Novalis, Mazzini, Hugo; poi però la “grande idea” è finita nelle mani di uomini spiritualmente “inetti” che l’hanno uccisa e sfigurata: i burocrati e i tecnocrati dell’UE, vuoti e arroganti come il premier non eletto Mario Monti.
“L’altissimo merito di quest’ultimo”, chiariva Piergiorgio Odifreddi all’indomani della nomina a senatore a vita, “è di essere stato commissario europeo con deleghe economiche, dal 1994 al 1999 per nomina del primo governo Berlusconi, e dal 1999 al 2004 per nomina del primo governo D’Alema. Oltre che di essere stato presidente della famigerata Commissione Trilaterale, una specie di massoneria ultraliberista statunitense, europea e nipponica ispirata da David Rockefeller e Henry Kissinger. Ci voleva un ex sedicente comunista dell’area migliorista, per formalizzare attraverso la persona di Monti il ruolo extraparlamentare dell’economia liberista che sta condizionando l’Europa intera attraverso le politiche della Banca Centrale (oggi presieduta da Mario Draghi, ex collega di Monti come consulente della Goldman Sachs), del Fondo Monetario Internazionale e delle borse. È probabile che la nomina di Monti sia un giochetto da Prima Repubblica, per poter presentare a giorni la sua promozione a primo ministro come ‘istituzionale’”.
D’altro lato, il destino del continente era segnato fin dall’inizio (anni Cinquanta, Trattati di Parigi e Roma), cioè ben prima di Maastricht, come aveva intuito Pasolini (per La rabbia, 1963): “Le piccole borghesie fasciste sono pronte all’unità d’Europa in nome della comune aridità”. In nome della comune aridità sono state concepite autentiche mostruosità come l’euro, “una moneta senza Stato” e senza precedenti nella storia (Sapelli), e come le stesse istituzioni dell’UE, modelli addirittura smaccati di oligarchia. Si legge in un recente documento di Rifondazione Comunista:
“Nell’Unione Europea decide ormai una vera e propria oligarchia, che risponde ai ‘voti’ del mercato finanziario (…) Il Consiglio Europeo ha confermato e rafforzato la costruzione, ormai in stato di forte avanzamento, di un edificio che, senza precedenti nella storia delle democrazie, ha distrutto le fondamenta dello stesso Stato borghese, quelle costruite sulla base del no taxation without rapresentation. Si sta realizzando un sistema monetario, fiscale e bancario in funzione di un’economia di mercato che deve essere altamente competitiva sulla scena del capitalismo globalizzato. E se ne affida la direzione ad una struttura tecnocratica del tutto priva di un mandato popolare e sottratta a ogni forma di controllo, anche delle istituzioni rappresentative”.
Danilo Zolo commentava in questi termini il varo della Costituzione Europea, in seguito confluita nel Trattato di Lisbona: “Non è ragionevole aspettarsi, io penso, che il varo della Costituzione possa offrire un contributo rilevante a favore dell’unificazione europea (…) nel senso (…) della creazione di un soggetto politico dotato di una forte coesione e identità collettiva, e pertanto capace di una politica estera unitaria, tale da modificare lo scenario internazionale. È illusorio pensare che la nascita di un ‘popolo europeo’ possa essere stimolata da più robuste protesi istituzionali e da un surplus di normazione costituzionale. La mia opinione è che sono i popoli a fare le Costituzioni e non, come credono i burocrati di Bruxelles e di Strasburgo, l’inverso. Ed è abbastanza evidente che oggi non esiste un popolo europeo. Non esiste, neppure all’interno della old Europe, una ‘società civile europea’: e cioè un’opinione pubblica, una lingua, una comunicazione multimediale europea. Mancano editori, emittenti radiofoniche e televisive europee, mancano movimenti, associazioni civili, sindacati, partiti politici su scala europea (…) Ci sono inoltre profondi dissensi su temi cruciali come la politica estera (il rapporto con gli Stati Uniti, in particolare), la tutela dei diritti fondamentali dei cittadini europei e, last but not least, l’alternativa fra un modello intergovernativo e un modello federalistico-comunitario del processo di integrazione regionale”.
L’UE, in sostanza, altro non è che uno spaventoso laboratorio consacrato alla sperimentazione selvaggia di pratiche di mercato radicalmente incompatibili con il dettato costituzionale della Repubblica Italiana, come spiega il giurista Stefano D’Andrea: “’La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme e applicazioni’, ‘aiuta la piccola e media proprietà’, ‘provvede alla tutela e allo sviluppo dell’artigianato’ (artt. 37, 45), mentre l’Unione Europea impone la deflazione salariale e la precarietà, come unico strumento per aumentare la produttività e reggere la competizione internazionale; spinge verso le liberalizzazioni a vantaggio del grande capitale (…) schiaccia gli agricoltori (…) nell’interesse della grande distribuzione e dell’industria agroalimentare; costringe i commercianti a soggiacere al capitale marchio (…) e penalizza i piccoli esercizi commerciali. ‘La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme’ (art. 47, primo comma), mentre l’Unione Europea incoraggia l’indebitamento privato per l’acquisto di beni e servizi di consumo. ‘La Repubblica favorisce l’accesso del risparmio popolare… al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del paese’ (art. 47, secondo comma), mentre l’Unione Europea impedisce all’Italia ogni vincolo di destinazione del risparmio degli italiani, sancendo la assoluta libertà di circolazione dei capitali. La Costituzione ammette, in presenza di determinate condizioni, monopoli pubblici o collettivi, sia originari, sia derivanti da espropriazioni con indennizzo (art. 43). L’Unione europea promuove la concorrenza in ogni campo dell’attività economica e impedisce all’Italia di introdurre monopoli anche in alcuni dei casi previsti dalla Costituzione. La Costituzione italiana non vieta e quindi ammette il ricorso al protezionismo e anzi promuove limitazioni della libertà di circolazione dei capitali (art. 47, secondo comma: ‘La Repubblica… favorisce l’accesso del risparmio popolare… al diretto ed indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del paese’). La Costituzione Italiana promuove la piena occupazione (art. 4, primo comma) e quindi salari dignitosi, ammettendo, a tal fine, un’inflazione modesta o relativamente modesta. L’Unione Europea impone un’inflazione bassissima, impedisce la piena occupazione e promuove la deflazione salariale. La Costituzione non pone limiti al debito pubblico e al deficit pubblico e consente allo Stato di prevedere che i titoli invenduti siano acquistati dalla banca d’Italia. L’Unione Europea prevede precisi limiti al debito pubblico e al deficit, impedisce alla BCE e alle banche centrali nazionali di acquistare titoli del debito pubblico e vuole imporci l’introduzione del pareggio di bilancio nella Costituzione. In generale, l’Unione europea abbatte i confini degli stati europei, anche nei confronti dei paesi terzi e crea un mercato aperto nel quale deve vincere la logica del più forte. Al contrario, l’art. 41, terzo comma della Costituzione prevede che ‘la legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali’. L’Unione europea sopprime tutti i possibili poteri degli stati e quindi dei popoli di disciplinare l’economia, affidando il sistema economico alla pura concorrenza tra imprese e gestori dei grandi capitali internazionali”.
A fronte dell’inesistenza della politica e del popolo europei, è concreto il pericolo che il malcontento sempre più diffuso (il numero complessivo dei disoccupati e sottoccupati si aggira oggi intorno ai sessanta milioni) presti il fianco a facili strumentalizzazioni in senso sciovinista e razzista, come è avvenuto in Grecia con “Alba dorata”, o in altri casi crei e alimenti aspirazioni secessioniste all’interno dei singoli Stati, verosimilmente foriere di guerre civili (altro che Nobel per la pace!). In assenza del popolo europeo, in che modo l’UE potrà mai essere riformata per diventare quello “spazio di civiltà” che auspica Vendola? Quale democrazia senza demos? Il crollo dell’UE e dell’euro, inevitabile secondo Latouche, non sarà un evento indolore ma almeno renderà possibile un’Europa di paesi sovrani e solidali che guardi finalmente al Mediterraneo come al suo centro.
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