Non mi riconosco
di Gabriele Toma
In questa umanità
fatta da figli al guinzaglio
che portano a passeggio i genitori,
da nonne che trascinano
bambini con l’iPhone,
da padri che minacciano
insegnanti
di alunni come utenti
reclamanti il disservizio
indotto da politiche
omicide,
recepite in nome
di una nuova umanità.
Mi spiace,
ma non mi riconosco
nell’ostentatio fluida,
talvolta di un esplicito volgare,
senza sacro né pudore,
senza ossequio silenzioso
per gli archetipi ancestrali
di cui i poeti hanno (s)vestito
nei secoli
Amore,
non mi riconosco
nel silenzio degli amici,
sobillato e sobillante,
di fronte ad un’idea,
apparentemente forte.
Segno questo di un pensiero
debole,
che liquida il confronto.
Non mi riconosco
nel fastidio un po’ sprezzante
di fronte a un commerciante
che chiede col sorriso
“Hai pranzato?”
E intanto ti fa dono
per la strada
dell’aroma dolceamaro di grigliata.
Non mi riconosco
in chi non mette insieme i pezzi,
in chi abbaia dal divano
pretendendo che qualcuno
faccia il popolo dall’alto.
Non mi riconosco in chi introietta la censura,
ingoiando le proprie urla
per paura
del giudizio
del suo clan.
Non mi riconosco nelle masse inebetite
dalla logica da stadio,
dal pro-o-contro semplicista
che divide,
a vantaggio
di un imperio incontrastato.
Non mi riconosco nelle élites “liberali”
per cui lo “stato di natura”
corrisponde al loro status
e gli altri, sfortunati,
sono gleba, destinati.
Non mi riconosco
negli afflati indignati
di fronte a battagliucole
indotte ed innocenti
per cui gettare strali su di un gruppo
senza scomodare
mai
i potenti.
Non mi riconosco
nell’uomo multi-tasking:
ripudio la nevrosi
che per mezzo dell’alienazione
annacqua la concentrazione,
e smussa
la lama più affilata
dell’intelletto umano:
intenzionare il mondo
con il fuoco invitto
di un sogno collettivo,
alto e nitido e forse
non così lontano.
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