La Decrescita arriverà a razzo
di Claudio Martini
Come ben sappiamo l'economia europea non versa nelle migliori condizioni, in particolare nei paesi mediterranei. L'arbitraria e unilaterale decisione, presa dalla BCE questa primavera, di elevare i tassi di interesse da 1 a 1,5 ha dato i suoi frutti in estate: facciamo i conti con la drammatica crisi di solvibilità dei paesi cosiddetti eurodeboli, essenzialmente gli iberici e la Grecia, caratterizzati da una fragile struttura produttiva e da un profondo deficit del bilancio commerciale, specie nei confronti della Germania. E anche la nostra Italia sta entrando nel vortice, e corre seri rischi di uscire presto dall'esclusivo club dei paesi più ricchi del mondo.
Potrebbe andare peggio? Ma certo.
In questi mesi, anzi in questi anni, abbiamo preso dimestichezza con oggetti quali il mercato dei mutui, la speculazione, i derivati, il quantitative easing, le fluttuazioni di borsa, i bund, i cds, gli swap, lo spread e financo il default. Ma questo lessico da broker rischia di distrarci dal tenere d'occhio l'economia, quella vera, che è fatta di petrolio, di macchinari, di campi coltivat,i di bastimenti e catene di montaggio.
Ora, facendo astrazione da innumerevoli dettagli, importantissimi ma pur sempre dettagli, ad uno sguardo d'insieme l'Europa appare come un immenso collettore di materie prime, le quali vengono consumate o trasformate in prodotti finiti. Poiché i cittadini europei sono generalmente benestanti (almeno rispetto alla media dei popoli del mondo), il nostro continente costituisce anche un fondamentale mercato di sbocco per le eccedenze di numerosi paesi, soprattutto dell'Asia.
Se questi imponenti flussi di merci, grezze o lavorate che siano, si interrompessero, i risultati potrebbero essere talmente catastrofici da far sembrare la crisi dei debiti sovrani un pacato diverbio tra gentiluomini.
Ma cosa potrebbe interrompere quei flussi? Ragioni molto solide, concrete. Ragioni che si trovano fuori dall'abito della finanza, ma ben dentro a quello della geopolitica.
Mentre qua in Europa ci trastullavamo con le patrimoniali e con gli eurobond, in Medio Oriente la situazione irrancidiva. La sequenza degli avvenimenti è implacabile e inquietante.
Le danze sono state ufficialmente aperte il 4 aprile scorso, quando il più noto tra i candidati alla presidenza dell'Egitto, Mohamed El Baradei, ha dichiarato in una intervista che se lui fosse al governo, non esisterebbe a "dichiarare guerra al regime sionista in caso di attacchi a Gaza". Questo, per la cronaca, sarebbe il candidato moderato. Nelle settimane sucessive l'annunciata apertura della parte egiziana del valico di Rafah e il sussegurisi di manifestazioni, via via più imponenti, dei movimenti islamisti al Cairo ha determinato un drammatico peggioramento delle relazioni tra Egitto e Israele; peggioramento che ha raggiunto l'apice quando, a fine agosto, un commando pesantemente armato ha aperto il fuoco su un autobus che trasportava militari israeliani. Tsahal ha reagito nel solito modo, sparando a casaccio: nei successivi bombardamenti aerei su Gaza hanno perso la vita almento 14 palestinesi, mentre un razzo partito da un elicottero israeliano ha incenerito 6 soldati egiziani di guardia alla frontiera. L'indisponibilità di Netanyahu a chiedere scusa ha determinato un travaso di bile nelle masse cairote, le quali hanno assaltato, il 10 settembre, la locale ambasciata israeliana. Sempre questa curiosa reticenza per le scuse, stavolta per la faccenda della Mavi Marmara (9 attivisti uccisi) ha offerto il destro al primo ministro turco, Erdohan, per rompere le relazioni diplomatiche con Tel Aviv, sospendendo anche Svariati accordi commerciali e di cooperazione militare. Lo stesso Erdohan ha in questi giorni minacciato di rompere qualsiasi collaborazione con l'Unione Europea qualora Cipro ne assumesse la presidenza di turno. Cipro è al centro anche di un altro fronte di crisi: la marina turca è stata schierata al largo dell'isola per "sorvegliare" la trivellazione del fondale marino, alla ricerca di gas, da parte di una imoresa israelo-americana. La Grecia ha annunciato che "prenderà provvedimenti". Useranno i sommergibili che la Germania gli ha appena venduto? Inutile dire che le relazioni tra Atene e Tel Aviv si sono molto infittite negli utlimi mesi… sempre in tema di gas, l'unico punto in comune tra tutte le formazioni politiche egiziane è l'intenzione di rivedere quella parte del trattato di pace di Camp David che regola la vendita sottocosto la vandita di gas egiziano a Israele. Tira davvero una brutta aria.
Spontandoci di qualche chilometro la situazione non migliora. Sono settimane che gli eserciti turco e iraniano bombardano o fanno incursioni all'interno del territorio del Kurdistan iraqeno. Questa regione, di fatto del tutto autonoma dopo l'invasione americana dell'Iraq nel 2003, è dominata da spregiudicate fazioni kurde legate da decenni a Israele, e per i generali di Ankara e Teheran si è recentemente trasformata in un "santuario" dei guerriglieri curdi operanti in Turchia e Iran. Così, nel silenzio del mondo, i cannoni e gli aerei di questi due paesi vomitano bombe sui villaggi di confine, trasformando migliaia di civili in profughi.
E poi, la mazzata finale. Come saprete il 23 settembre il Consiglio di Sicurezza dell'Onu si esprimerà sull'ammissione diun nuovo stato membro, la Palestina. Il veto USA è sicuro al 99%, ma i sauditi hanno fatto sapere, per bocca del loro ex ambasciatore negli States, Turki Al-Faisal, che il mancato sostegno all'iniziativa palestinese comporterà non solo un declino della credibilità e dell'influenza americana nella regione, ma anche un ulteriore deterioramento (dopo le dimissioni di Mubarak, caldeggiate da Obama) dei rapporti con Riyadh.
Faisal ha affermato senza mezzi termini che la monarchia saudita sarà obbligata ad assumere una posizone più indipendente in politica estera, soprattutto per non perdere terreno nei confronti dell'Iran, il grande concorrente nel ruolo di paese guida del Medio Oriente. L'ossessione principale dei sauditi rimane appunto l'Iran, ed è per questo che serpeggia nel regno il timore che un eventuale veto USA sarebbe un enorme regalo agli Ayatollah.
Quella tra Riyadh e Teheran non è una diatriba da sottovalutare. I sauditi hanno una paura del diavolo dell'espansionismo persiano, il quale può contare su diversi avamposti, tutti collocati attorno al Regno: Iraq, Sudan, Qatar, shiiti in Yemen e Bahrein, Hamas e Hezbollah… per premunirsi contro il "serpente iraniano" (la definizione è dell'attuale monarca saudita) che tira le fila dell'inquietante "mezzaluna shiita" (questa invece è del Re di Giordania) le petromonarchie del golfo hanno speso nel 2010 più di sessanta (60) miliardi di dollari in armamenti. Più o meno quanto il Regno Unito.
Insomma , le tensioni non fanno altro che moltiplicarsi. Una guerra tra Turchia, Iran e Egitto da una parte, Israele, curdi e Arabia Saudita dall'altra, con contorno di Iraq, Giordania, principati del golfo, Hezbollah e magari Grecia non è più un evento improbabile. Anzi.
Cosa significherebbe per noi, se un simile conflitto divampasse?
Semplicemente, la catastrofe. Perché si interromperebbero quei famosi flussi di merci da cui dipende la nostra vita.
Un conflitto in Medio Oriente porterebbe alla chiusura del canale di Suez e dello stretto di Hormuz. Il traffico di merci tra il mediterraneo e l'Asia si ridurrebbe drasticamente, la disponibilità di petrolio neanche a parlarne. Il prezzo di qualunque cosa riusciate a immaginare espoderebbe. E come pensate che potrebbe reagire la BCE di fronte ad una improvvisa infalzione, magari a due cifre? Come ha sempre fatto: con politiche monetarie restrittive, alzandi i tassi di interesse, scambiando la causa con l'effetto e condannandoci ad una vera, grande depressione.
Ho la netta impressione che quanto viene perorato dai decrescisti, ossai ridurre i consumi di merci, diventerà realtà in poco tempo. Ma non per via di una scelta consapevole. Per via di circostanze disastrose.
Spero davvero di sbagliarmi, perché la maggior parte dei miei maglioni ormai mi sta piccola, e non ho tanta voglia di battere i denti questo inverno. Ma il quadro è oggettivamente fosco. E non ci possiamo fare nulla, accidenti.
Certo che sei i miei analisti mi avessero presentato in modo convincente questo fosco quadro, qualche mese fa, magari mi sarei sbrigato ad invadere la libia…
Interessante. Dev'essere lo stesso calcolo della Francia. Tu che stato sei?