Indipendenza contro secessione
di Marco Trombino
C’è un equivoco che serpeggia in alcuni paesi facenti parte dell’Unione Europea e dove le spinte autonomistiche o secessioniste sono ancora molto forti; ossia che i soggetti politici, partiti o movimenti, che promuovono la secessione di una qualche regione di uno Stato aderente alla UE siano “indipendentisti”. Non ce ne sono in Europa attualmente; forse se ne trovano in altri continenti, ma non da noi. Ciò perché in praticamente tutti i casi si tratta di movimenti che vogliono mantenere la propria regione nell’ambito dell’Unione Europea.
Gli esempi principali (ma non unici) sono i secessionisti scozzesi e quelli catalani. I secessionisti catalani non hanno mai posto la questione della loro separazione dal Regno di Spagna nei termini di un’allontanamento dall’Unione Europea, dentro la quale sono determinati a restare; quindi sono secessionisti, ma non “indipendentisti”, perché non vogliono che la futura Catalogna diventi “indipendente” ma vogliono che resti “dipendente” dalla UE. Non te ne fai molto di un’indipendenza se poi le tue politiche economiche, le leggi di bilancio, le leggi sul lavoro e l’intervento pubblico in economia sono strettamente vigilate da istituzioni – come la Commissione Europea, per citarne una a caso – che i tuoi cittadini nemmeno eleggono; sicuramente a quel punto non puoi dire di essere “indipendente”, ma “dipendente” da qualcun altro.
Il caso dei secessionisti scozzesi è ancora più sfrontato: è un loro obiettivo dichiarato l’abbandonare la Gran Bretagna per rientrare nell’Unione Europea, quindi intendono semplicemente cambiare padrone. Qualcuno potrebbe filosofare sul fatto che un padrone sia meglio dell’altro, ma almeno usiamo le parole giuste: questi non vogliono l’indipendenza, ma vogliono “dipendere” da altri che deciderebbero le leggi al posto del loro popolo.
Essere “indipendentisti” è tutta un’altra faccenda.
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