L’idea di nazione (II parte)*
Pubblico la seconda parte della sintesi del corso accademico di Federico Chabod, dedicato allo sviluppo storico dell'idea di nazione. La prima parte, che si può leggere qua, si concludeva così: "La narrazione diventa la patria: e la patria diviene la nuova divinità del mondo moderno. Nuova divinità: e come tale sacra". Questa seconda parte è molto importante, perché in essa è segnalata la peculiarità del pensiero italiano, che svolge l'idea di nazione decisamente su basi volontaristiche, in particolare rispetto al pensiero germanico, che svolge l'idea di nazione su basi naturalistiche e dunque etniche.
***
Lo dice, per primo, Rouget de Lisle nella penultima strofe della Marsigliese: Amour, sacré de la patrie conduis, soutiens nos bras vangeurs.
E lo ripete, quindici anni più tardi, il nostro Foscolo, proprio nella chiusa dei Sepolcri: Patria, sacra; sangue versato per essa, santo.
Ed ecco che allora, effettivamente, voi sentite parlare di martiri per l'indipendenza, la libertà, l'unità della patria… Gran mutare del senso delle parole! Per diciotto secoli, il termine di martire era stato riservato a coloro che versavano il loro sangue per difendere la propria fede religiosa; martire era chi cadeva col nome di Cristo sulle labra. Ora, per la prima volta, il termine viene assunto ad indicare valori, affetti, sacrifici puramente umani, politici: i quali dunque acquistano l'importanza e la profondità dei valori, affetti, sacrifici religiosi, diventano religione anch'essi. La "religione della patria", cioè della nazione. I due termini sono equivalenti: infatti, nell'unico Stato anazionale europeo, l'Impero austro-ungarico (svizzeri e belgi si sentono nazione non meno delle altre), la religione della patria fu sostituita dal culto della dinastia, l'unica forza morale che riusci' a tenere insieme, a lungo ancora, quell'agglomerato di popoli vari (p. 62 s.).
[…]
Come è ovvio, l'idea di nazione sarà particolarmente cara ai popoli non ancora politicamente uniti… Quindi sarà soprattutto in Italia e in Germania che l'Idea nazionale troverà assertori entusiasti e continui; e, dietro a loro, negli altri popoli divisi e dispersi, in primis, i polacchi.
In Francia… Solo dopo il '70, dopo la perdità cioè dell'Alsazia-Lorena, solo allora il principio di nazionalità diviene fermento vivo e operante nella cultura francese, proprio perché solo esso può legittimare la protesta contro l'occupazione tedesca di quelle due regioni e consentire le speranze nella "rivincita". La celebre conferenza che Ernesto Renan tenne al Collège de France sulla nazionalità (Qu'est ce qu'une Nation?), e dov'è una delle più alte formulazioni della nazionalità stessa, è del 1882: molto tarda, cioè.
[…]
Trasformare la nazione culturale in nazione territoriale: ma proprio i titoli culturali servono da documenti giustificativi per il sorgere, anche, della seconda…. nella celebre Orazione inaugurale del corso di eloquenza presso l'Università di Pavia, Foscolo incalza "o Italiani, io vi esorto alle storie": perché nella storia passata della nazione italiana ci sono i titoli della sua gloria, che sono anche il pegno per il suo avvenire (pp 65-68).
[…]
Senonché, se queste sono caratteristiche comuni ai due movimenti, l'italiano e il tedesco, occorre però avvertire che per altri riguardi i due movimenti sono, invece, sostanzialmente, profondamente diversi. Tanto diversi, e su problemi così sostanziali, che il giudizio complessivo dello storico non può non essere questo: che tra il movimento nazionale germanico e quello italiano, nonostante talune affinità e somiglianze, c'è, sostanzialmente, una assoluta diversità, quando non addirittura opposizione….
Orbene, sin dall'inizio in terra di Germania la valutazione etnica (cioè naturalistica) si fa avvertire. Pensiamo allo stesso modo di Herder di considerare la nazione come un fatto "naturale", ai caratteri fisici "permanenti" ch'egli assegna alle varie nazioni, sulla base del "sangue" (la generazione) e del "suolo" a cui quel determinato sangue rimane attaccato.
E poi, all'inizio del secolo XIX, ecco Federico Schlegel, nelle sue lettere filosofiche del 1804-1806, ribattere l'importanza del fattore etnico: "quanto più puro e antico è il ceppo, tanto più lo sono i costumi; e quanto più lo sono i costumi, quanto maggiore e più vero è l'attaccamento ad essi, tanto più grande sarà la Nazione". E logicamente quindi anche in lui, come già nel Moser e nello Herder, ostilità ad ogni mescolanza con sangue straniero, chiusura, per così dire, del proprio mondo contro ogni influsso dal di fuori.
Lo dice, con grande convinzione, Federico Schiller: il quale, in un frammento preparatorio di una lirica poi denominata Grandezza tedesca (probabilmente del 1801), esclama: "Anche se il mondo ha disposto diversamente, bisogna che colui che forma lo spirito, sebbene da principio sia dominato, finisca per dominare. Gli altri popoli saranno stati il fiore caduco, questo sarà il durevole frutto dorato. Gli inglesi sono avidi di tesori, i francesi di splendore" ai tedeschi spetta in sorte il destino più alto: "vivere a contatto con lo spirito del mondo… Ogni popolo ha la sua giornata nella storia: la giornata dei tedeschi sarà la messe di tutte le età" (p. 68-70).
Il pensiero italiano svolge, invece, l'idea di nazione su basi decisamente volontaristiche. La formula bellissima della nazione come di un "plebiscito di tutti i giorni" fu trovata dal Renan: ma la sostanza di essa è già nel Mazzini, come in Pasquale Stanislao Mancini.
Il Mazzini, com'è noto, non è un sistematico… Nel 1835: "Una nazionalità comprende un pensiero comune, un diritto comune, un fine comune: questi ne sono gli elementi essenziali… Dove gli uomini non riconoscono un principio comune, accettandolo in tutte le sue conseguenze, dove non è identità di intento per tutti, non esiste Nazione, ma folla ed aggregazione fortuita, che una prima crisi basta a risolvere" (Nazionalità. Qualche idea sopra una costituzione nazionale; Scritti editi ed inediti, Edizione nazionale, VI, pp. 126-26).
Nel 1859: "la Patria è una Missione, un Dovere comune. La Patria è la vostra vita collettiva, la vita che annoda in una tradizione di tendenze e di affetti conformi tutte le generazioni che sorsero, operarono e passarono sul vostro suolo… La Patria è prima di ogni altra cosa la coscienza della Patria. Però che il terreno… i confini… e la favella…non sono che la forma visibile della Patria: ma se l'anima della Patria non palpita in quel santuario della vostra vita che ha nome Coscienza, quella forma rimane simile a cadavere senza moto ed alito di creazione, e voi siete turba senza nome, non Nazione; gente, non popolo. La parola Patria scritta dalla mano straniera sulla vostra bandiera è vuota di senso com'era la parola libertà che alcuni dei vostri padri scrivevano sulle porte delle prigioni. La Patria è la fede nella Patria. Quando ciascuno di voi avrà quella fede e sarà pronto a suggellarla col proprio sangue, allora solamente avrete la Patria, non prima" (Ai giovani d'Italia; Scritti editi ed inediti, LXIV, pp. 165-166).
Nel '71: "La Nazione è, non un territorio da farsi più forte aumentandone la vastità, non un agglomerato di uomini parlanti lo stesso idioma… ma un tutto organico per unità di fine e di facoltà…".
Assai più organico e netto il Mancini, che nella celebre prolusione al corso di diritto internazionale, tenuta all'Università di Torino il 22 gennaio 1851, sul tema Della Nazionalità come fondamento del diritto delle genti, disse: "…Questi elementi sono come inerte materia capace di vivere, ma in cui non fu spirato ancora il soffio della vita. Or questo spirito vitale, questo divino compimento dell'essere di una Nazione, questo principio della sua visibile esistenza, in che mai consiste? Esso è la Coscienza della Nazionalità, il sentimento che ella acquista di se medesima e che la rende capace di costituirsi al di dentro e manifestarsi al di fuori. Moltiplicate quanto volete i punti di contatto materiale ed esteriore in mezzo ad una aggregazione di uomini: questi non formeranno mai una Nazione senza la unità morale di un pensiero comune, di un'idea predominante che fa una società quel ch'essa è, perché in essa viene realizzata… Nulla è piu' certo dell'esistenza di questo elemento spirituale animatore della Nazionalità; nulla è più occulto e misterioso della sua origine e delle leggi cui obbedisce. Prima che esso si svolga, una Nazionalità non può dirsi esistente: con lui la Nazionalità sembra estinguersi e trasformarsi per rinascere a nuova vita: altra volta col solo oscurarsi ed assopirsi di quel sentimento cade una Nazione nell'avvilimento e nella straniera soggezione, e traversa un periodo di dolori e di vergogne, senza coscienza né desiderio de'suoi diritti: ma più tardi, e talora dopo una lunga notte di secoli, un debole raggio di luce torna a splendere sull'anima di quel popolo, comincia di nuovo a sprigionarsi dal fango della servitu' quel divino senso che aveva sonnecchiato per tante età, e non di rado ripigliando lena si desta più forte, ed impaziente di ostacoli infrange le catene degli oppressori, e fatta risorgere la Nazione dal funebre lenzuolo in cui giacevasi avvolta, la riconduce radiante di vita e di maestà sulla scena del mondo".
E nell'estate del '70: Il medesimo principio che nel diritto pubblico interno si chiama sovranità nazionale, e si realizza nel suffragio universale, è quello che nel diritto internazionale, chiamasi principio di Nazionalità"
Unica eccezione, in Italia, il Crispi e il gruppo dei suoi amici, raccolti intorno a "La Riforma". Il quale giornale, intervenendo nella polemica fra i giornali italiani di Destra e i giornali tedeschi sulla questione dell'Alsazia-Lorena, espone la dottrina che il carattere della nazionalità è di natura anteriore e superiore a ogni volontà singolare e collettiva, che il principio di nazionalità è un a priori, un diritto naturale vivente in ogni italiano, che la volontà dei cittadini deve essere interrogata per la forma dello Stato, ma non per altro, mentre sarebbe ingiusto ed assurdo far decidere da una parte della nazione se intende essere italiana, tedesca francese.
Ma la voce del Crispi era, in allora, voce completamente isolata, e la dottrina italiana della nazionalità rimane quello che si è detto: dottrina che tutta riposa su fattori spirituali, sull'anima, sulla volontà, sulla fede, e che vede nei fattori materiali esterni – razza, territorio, la stessa lingua – dei semplici contrassegni o indizi della nazionalità (pp. 68-75)
(continua nella terza e ultima parte)
*Tratto da Federico Chabod, L'idea di nazione, Torino, 1961 – si tratta della pubblicazione di un corso universitario svolto nell'anno accademico 1943/1944. Il corso fu ripetuto nell'anno accademico 1946/1947. Il volume riporta, nel capitolo "Varianti", le modeste modifiche rispetto al primo corso. Le citazioni sono tratte dal corso del 1943/1944.
Commenti recenti