L’idea di nazione*
di Federico Chabod**
Dire senso di nazionalità, significa dire senso di individualità storica. Si giunge al principio di nazione in quanto si giunge ad affermare il principio di individualità, cioè ad affermare, contro le tendenze generalizzatrici ed universalizzanti, il principio del particolare, del singolo.
Per questo l'idea di nazione sorge e trionfa con il sorgere e trionfare di quel grandioso movimento di cultura europeo, che ha nome Romanticismo: affondando le sue prime radici già nel secolo XVIII, appunto nei primi precorrimenti del modo di sentire e pensare romantico, trionfando in pieno con il secolo XIX, quando il senso dell'individuale domina il pensiero europeo.
L'imporsi del senso della "nazione" non è che un particolare aspetto di un movimento generale il quale, contro la "ragione" cara agli illuministi, rivendica i diritti della fantasia e del sentimento, contro il buon senso equilibrato e contenuto proclama i diritti della passione, contro le tendenze a livellare tutto, sotto l'insegna della filosofia, e contro le filosofie anti-eroe del '700, esalta precisamente l'eroe, il genio, l'uomo che spezza le catene del vivere comune, le norme tradizionali care ai filistei borghesi, e si lancia nell'avventura.
Fantasia e sentimento, morale e amore dell'arte, speranza e tradizioni, poesia e natura, questo il Novalis, romanticissimo, rimprovera all'illuminismo di aver cercato di soffocare; questo il Romanticismo volle rimettere in onore. Ma sul terreno politico fantasia e sentimento, speranze e tradizioni, non potevano avere, contrariamente al programma di Novalis, che un nome: nazione. La reazione contro le tendenze universalizzanti dell'Illuminismo (in politica, l'assolutismo illuminato), che aveva cercato leggi valide per ogni governo, in qualsivoglia parte del mondo si fosse, sotto qualunque clima e con tradizioni diversissime, e aveva proclamato uguali le norme per l'uomo saggio, a Pechino come a Parigi; questa reazione non poteva che mettere in luce il particolare, l'individuale, cioè la nazione singola. Dire rivincita della fantasia e del sentimento sulla ragione, significa appunto dire trionfo di ciò che v'è di più particolare e differenziato da uomo a uomo contro ciò che dev'essere valido per tutti gli uomini: la ragione può dettare norme di carattere universale, la fantasia e il sentimento ispirano ciascuno in modo diverso: "dittano" dentro con estrema varietà di tono e di ritmo. Ora, contro le tendenze cosmopolitiche, universalizzanti, tendenti a dettare leggi astratte, valide per tutti i popoli, la "nazione" significa senso della singolarità di ogni popolo, rispetto per le sue proprie tradizioni, custodia gelosa delle particolarità del suo carattere nazionale (p.17 s.).
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Dunque, libertà. Senonché, occorre pure avvertire che questa idea di libertà, cara agli esaltatori settecenteschi, svizzeri e, come vedremo, anche tedeschi della nazione, presenta alcune caratteristiche assai diverse dalla "libertà" cara, per es., ai patrioti italiani del Risorgimento. In questo senso: che, mentre per i nostri patrioti la libertà è un bene da conquistare, un ideale da attuare, buttando per aria il preesistente stato di cose, non libero, per svizzeri e tedeschi succede l'opposto: la libertà è quella avita, tradizionale, retaggio ormai di secoli, che occorre non conquistare, anzi "difendere" contro la minaccia dall'esterno. Difendere la propria libertà: ciò non solo sul terreno propriamente politico, ma anche e forse più, su quello morale, nei costumi, nelle credenze, nel modo di pensare, nella propria individualità spirituale e morale, insomma in ciò che costituisce propriamente la "nazione" (p. 33).
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"Conoscere il proprio carattere nazionale significa conoscere la propria storia: ecco perché, molti decenni prima del Foscolo, anche i patrioti svizzeri del '700 esortarono alle "storie" i loro compatrioti, fondarono società di ricerca storica, promossero la storiografia locale, con una passione di ricerca veramente mirabile" (p. 35)
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Perché Rousseau disapprova le riforme occidentalizzanti di Pietro il Grande? Perché lo zar di Russia ha pretese di creare dei tedeschi e inglesi, là dove avrebbe dovuto preoccuparsi unicamente di favorire lo sviluppo dei "russi", dai caratteri e costumi "russi".
Una costituzione politica non è buona in sé, in astratto o in generale, osserva egli nel suo scritto sopra il governo della Polonia e la sua progettata riforma: una costituzione è buona in quanto si adatta ai costumi, al carattere, alle tradizioni, alle virtu', perfino ai pregiudizi e ai difetti della nazione che è destinata a sorgere; in quanto cioè si adatta al carattere nazionale. Vi sono soltanto costituzioni "nazionali", non una "costituzione" universale.
Nel Rousseau poi v'è meno profondo che nello Herder il senso della "individualità" nazionale e storica, è assai più vivo e forte il senso politico, la volontà di azione collettiva. L'appello alla volonté générale è qualcosa di nuovo che mancava completamente negli scrittori qui esaminati. Dalla constatazione di un fatto, creato soprattutto nel passato, la nazione, si comincia a trascorrere alla "volontà" di "creare" un nuovo fatto, vale a dire uno Stato fondato sulla volontà popolare, e quindi – il trapasso è inevitabile – ad uno "Stato nazionale".
Novità di straordinaria importanza. … La nazione, prima semplicemente "sentita" è"voluta" (p. 55 s.)
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Paragonate la politica settecentesca, l'arte di governo dei maggiori rappresentanti del secolo, di un Federico II di prussia, di un Kaunitz, ministro di Maria Teresa, a quella dei grandi politici dell'800, un Cavour e perfino un Bismark; paragonate il modo con cui il popolo assiste allo svolgersi degli eventi politici nell'una e nell'altra età: e avrete l'esatta misura dell'abisso che separa le due età.
Nel 700, avete il trionfo del calcolo "aritmetico", com'è stato recentemente detto, cioè di una diplomazia che cerca di predisporre tutto e di prevedere quanto è possibile prevedere, sulla base di un calcolo puramente razionale, considerando l'Europa "come una scacchiera su cui le figure e le pedine si muovono secondo norme ben determinate", le figure essendo le grandi potenze, le pedine i piccoli e medi Stati che sono "oggetto" della politica internazionale; di una diplomazia che prescinde in modo assoluto da ogni considerazione sentimentale, che ignora totalmente cosa siano "aspirazioni dei popoli", "passioni nazionali" e simili cose, e che, in omaggio al criterio dell'equilibrio delle forze in Europa, procede di volta in volta ai "compensi", cioè attribuisce a questa o a quella potenza una fetta di territorio tagliata in questa o quella parte, per "controbilanciare" l'aumento di forza di un altro Stato, in altro settore, senza darsi minimamente fastidio se tali scambi e baratti incontrino o no il gradimento delle popolazioni… Puro calcolo politico razionale, che prescinde in modo assoluto dalle "passioni": "il cittadino", dice Federico il Grande, re di prussia, "non deve accorgersi che il re fa la guerra".
Il secolo XIX conosce, insomma, quel che il settecento ignorava: le passioni nazionali. E la politica… diviene con l'Ottocento assai più tumultuosa, torbida, passionale; acquista l'impeto, starei per dire il fuoco delle grandi passioni; diviene passione trascinante e fanatizzante com'erano state, un tempo, le passioni religiose…
Ora, da che deriva questo phatos se non proprio dal fatto che le nazioni si trasferiscono, potremmo dire, dal piano puramente culturale, alla Herder, sul piano politico? Come abbiamo già più volte detto, la nazione cessa di essere unicamente sentimento per divenire volontà; cessa di rimanere proiettata nel passato, alle nostre spalle, per proiettarsi dinanzi a noi, nell'avvenire; cessa di essere puro ricordo storico per trasformarsi in norma di vita per il futuro. Così, parimenti, la libertà, da mito del tempo antico, diviene luce che rischiara l'avvenire; luce a cui occorre pervennire, uscendo dalle tenebre.
La nazione diventa patria: e la patria diviene la nuova divinità del mondo moderno.
Nuova divinità: e come tale sacra.
(continua)
*Tratto da Federico Chabod, L'idea di nazione, Torino, 1961 – si tratta della pubblicazione di un corso universitario svolto nell'anno accademico 1943/1944. Il corso fu ripetuto nell'anno accademico 1946/1947 Il volume riporta, nel capitolo "Varianti", le modeste modifiche rispetto al primo corso. Le citazioni sono tratte dal corso del 1943/1944.
** La biografia di questo grande storico italiano si legge qua
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