Giorgio Napolitano: "Una cariatide yankee e guerrafondaia al quirinale"
Pubblico l'articolo che segue perché contiene informazioni interessanti. Resto tuttavia convinto della assoluta buona fede di Giorgio Napolitano. Egli è stato un comunista che prima di altri è diventato socialista. Quando poi gli ex comunisti sono andati al governo, ormai non erano più comunisti e non erano nemmeno socialisti ma "liberali". Nella metà degli anni novanta quasi tutti diventarono liberali. Ricordo che persino Bertinotti dichiarò a un certo punto di essere un "comunista liberale". Napolitano da lungo tempo era un socialista liberale e poi un liberale vagamente socialista. Insomma, credo che Napolitano abbia perseguito gli obiettivi politici nei quali credeva e che non sia stato una pedina di uno scacchista che eseguiva le mosse seduto in un ufficio ubicato negli Stati Uniti. Napolitano è davvero un moderato; un europeista convinto; un sostenitore dei rapporti transatlantici. Nessuno può essere rimproverato perché sostiene coerentemente e sinceramente le idee in cui crede. Si possono contestare soltanto le idee (SD'A).
di A.D.G. La voce del corsaro
Immaginate un uomo dallo scarso carisma, dall’irrilevante risolutezza, attaccato un giorno sì e un giorno no per il suo effimero decisionismo; un uomo dall’aspetto cariatideo e dal passo trascinato che a secondo dell’opportunità viene tirato per la giacca da qualsiasi schieramento politico. Immaginate anche che un bel giorno, quest’uomo, si risvegli dal suo letargico torpore e su una questione di fondamentale importanza e delicatezza, imponga la sua linea strategica e d’azione. Quest’uomo – se non l’avete ancora capito – è il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano!
Infatti, quest’ultimo, ha dimostrato grande risolutezza nell’imporre la sua linea riguardo l’intervento nella “questione” libica. Il 19 marzo 2011 dichiara: “occorre un impegno che è necessario per la pace, per la solidarietà e per i diritti e la libertà dei popoli"; e poi continua: “la pace è ancora un obiettivo difficile; in Europa l’abbiamo costruita e consolidata, ma non è così nel resto del mondo".[1] Il 21 marzo chiarisce quale ruolo deve avere l’Italia all’interno della “crisi” libica: “l'Italia è un membro importante della Comunità internazionale e della Alleanza atlantica e non può non dare il proprio contributo alla soluzione della crisi libica; il nostro Paese non può sottrarsi alle sue responsabilità".[2] Parole sagge, dalle quali si intuisce il grande senso della solidarietà, della pace e della giustizia per i popoli che il nostro Presidente possiede. Egli prende ad esempio la consolidata pace democratica europea, da esportare nei luoghi del mondo dove ancora non c’è.
Ma vediamo, secondo il nostro caro Giorgio, in Europa e in buona parte del mondo, cosa ha consolidato la pace nel passato più o meno recente.
E’ il novembre 1956, Giorgio è un giovane dirigente del Partito Comunista Italiano, e all’indomani della repressione della “rivoluzione ungherese”, da parte delle truppe sovietiche, che portò alla morte di quasi 3000 ungheresi, l’odierno Presidente tuonò: “l’intervento sovietico ha evitato che nel cuore d’Europa si creasse un focolaio di provocazioni e ha impedito che l’Ungheria cadesse nel caos e nella controrivoluzione, contribuendo in maniera decisiva a salvare la pace nel mondo”.[3] Ora, sembrerà chiaro che secondo la visione “guerrafondaiopacifista” di Giorgio, la pace e la democrazia si esportano solo con le bombe che piovono dal cielo o con i carro armati che entrano nelle città. Naturalmente, questa visione, si allinea perfettamente con le linee guida delle “comunità internazionali” delle quali Giorgio di volta in volta fa parte o si sente idealmente affine, indistintamente per l’URSS e per la NATO. Detto ciò, mi sembra necessario parlare della storia politica e personale di Napolitano, per capire davvero chi è “l’anonima” e mite figura che siede nelle stanze del Quirinale.
Giorgio aderisce giovanissimo al Partito Comunista nel 1945, e viene eletto per la prima volta alla Camera nel 1953. Svolge durante gli anni ’60 diversi incarichi all’interno della direzione nazionale del partito, ed assumerà maggiore prestigio negli anni ’70 quando sarà responsabile della politica economica del partito.[4] E’ proprio durante gli anni ’70 che Napolitano diventerà una figura importante all’interno dei giochi politici e di potere (internazionali).
E’ il gennaio 1978, il Dipartimento di Stato americano comunica attraverso un “report” al Foreign Office che la nuova amministrazione USA è preoccupata per una probabile partecipazione del PCI al governo Andreotti, che proprio in quei giorni era entrato in crisi. Una delle soluzioni alla “questione” che venne presa in considerazione, fu quella di spaccare – tramite un’operazione segreta – il PCI, ma questa idea venne scartata e accantonata. Fatto sta, che nel marzo del 1978, con il rapimento di Aldo Moro, che stava preparando un esecutivo con i comunisti, l’idea di un governo col PCI venne definitivamente accantonata.[5] Nell’aprile dello stesso anno scende in campo il nostro caro e amato Presidente. Infatti, in quel periodo, fu il primo comunista italiano ad ottenere il visto per poter entrare negli Stati Uniti, allo scopo di presenziare a importanti “conferenze”. Il tour di conferenze (di facciata) di Giorgio, comprendeva alcune delle più importanti università americane: Princeton, Harvard, Yale, Georgetown e John Hopkins University, ma il vero e proprio “meeting” riservato dagli americani per Napolitano era al “Council on Foreign Relations”.[6]
Il Council on Foreign Relations è uno degli organi più rappresentativi della politica estera americana; esso è sostenuto da fondazioni economiche internazionali e da privati facoltosi, e agisce come un organo di studio di “strategie globali”, che divengono molto spesso direttive di politica internazionale per il governo americano. Tra i suoi finanziatori troviamo alcuni dei maggiori gruppi economici a livello globale, e cioè: American Express, American Security Bank, Cargill Inc., Chase Manhattan Bank, Coca Cola, Exxon Corp., General Electric Foundation, ecc.[7]
E’ proprio al Council on Foreign Relations che la visita negli States di Napolitano raggiunge il suo apice. Davanti ad una platea composta da grandi avvocati, banchieri e dirigenti industriali di portata internazionale, Giorgio inizia il suo discorso affermando che: “Il Pci non si oppone più alla Nato come negli anni Sessanta, mentre lo scopo comune è quello di superare la crisi, e creare maggiore stabilità in Italia». Il suo discorso continuò ricordando alla platea le mozioni unitarie votate in Parlamento da Pci e Dc nell’autunno del ’77 sul rafforzamento della Comunità europea, sul contributo comune da dare per la distensione, la riduzione degli armamenti, e la piena attuazione dell’Atto di Helsinki. In conclusione parlò di economia italiana e internazionale. Tutto il suo discorso fu accompagnato dal beneplacito della platea, che vedeva in lui “l’uomo giusto” da tenere all’interno del PCI.[8] Infatti, grazie a “George”, gli americani finalmente trovarono il contatto ideale all’interno del Partito Comunista. Gli States erano alla ricerca di contatti all’interno del PCI già dal 1969, e nel 1975 anche l’intelligence statunitense si mise alla ricerca di qualche “interlocutore privilegiato”, secondo quanto afferma il “rapporto Boies”, per il crescente timore di una vittoria dei Comunisti in Italia.[9]
Ritornato in Italia, Napolitano insieme ai “moderati” del PCI, come Amendola, Lama, Bufalini e Macaluso fonderà una corrente interna al Partito Comunista, detta “migliorista”. Questa corrente ebbe da subito, all’interno del partito, una certa influenza, e su molti aspetti pesarono le loro prese di posizione contro la linea portata avanti dal segretario Berlinguer. I miglioristi guardavano con buon occhio alle socialdemocrazie europee, mentre Berlinguer teorizzava la “terza via”, una via capace di andare al di là del capitalismo e della socialdemocrazia; ma solo su un punto i miglioristi furono d’accordo con Berlinguer, e cioè sulllo “strappo” da Mosca.[10] Quindi, in maniera subdola e più celata, il progetto di “spaccare” in due il PCI formalmente riuscì. Grazie a questa corrente, il Partito Comunista abbandonò sempre più celermente le “anacronistiche” posizioni rivoluzionarie e filosovietiche, per sposare la causa della NATO e dell’eurocomunismo. Fu grazie a questo spostamento dell’asset politico del PCI che si arrivò al dibattito degli ultimi anni ’80, che porterà allo scioglimento del Partito Comunista e alla formazione del Partito Democratico della Sinistra nel 1991. In questa fase storica e politica, gli interlocutori numero uno degli interessi statunitensi in Italia furono, paradossalmente, proprio gli ex PCI.
Ritornando a Napolitano, nel 1992 viene eletto Presidente della Camera dei Deputati, e nel ‘96 sarà Ministro dell’Interno nel governo Prodi. Nel 2006 la sua carriera arriva all’apice, infatti, il 10 maggio sarà eletto Presidente della Repubblica.[11] Ed è con il grande gaudio degli americani, per la sua elezione alla presidenza della Repubblica, che nel 2007 George ritorna in America, di nuovo al “Council on Foreign Relations”, dopo 29 anni dalla sua ultima apparizione. Il suo discorso verterà sull’economia italiana, e specialmente su due temi:
Scommesse per il futuro: “possiamo scommettere sull'Italia, sulle sue tradizioni storiche e sui suoi spiriti animali; spiriti animali è un riferimento alla vitalità italiana, agli spiriti animali del capitalismo di cui parlava Keynes”.
Rinnovamento dell’economia: “In Italia abbiamo bisogno di una liberalizzazione, che in passato non è stata abbastanza significativa… non per ragioni ideologiche… ma per una serie di interessi privati, di corporazioni, che resistono con molta forza a qualsiasi cambiamento che possa colpire i loro privilegi".[12]
Ora è tutto più chiaro, se negli anni ’70 – ’80 un “interlocutore privilegiato” come Napolitano, poteva servire a tenere a bada alcune istanze del Partito Comunista, ora che il pericolo “rosso” è svanito il nostro caro George può divenire con tranquillità il portavoce della politica economica americana in Italia.
Da alcuni “report” del 2009 recapitati alla Segreteria di Stato americana dall’ambasciata USA in Italia, si identifica Napolitano come l’unico interlocutore possibile nella “frastagliata” politica italiana e si elogia la sua figura: “un moderato, europeista e con un forte legame Transatlantico, è serio, un intellettuale, un’eminenza grigia. Un punto di riferimento morale nell’arena politica spesso frastagliata. Un interlocutore privilegiato”. Non mancano le accuse all’immobilismo del governo sulle “riforme” economiche, e ancora elogi all’intraprendenza del fido George: “quando Napolitano spinge a favore di “riforme economiche internazionali” per affrontare la crisi globale dell’economia, il governo italiano offre uno stimolo modesto alla crescita”. Poi sulla politica estera italiana: “il governo italiano qualche volta è stato un giocatore riluttante, ma Napolitano non rinuncia ai suoi principi, avendo collocato l’Italia nel ruolo di miglior amico di Israele in Europa”.[13]
Quindi non bisogna stupirsi del totale e disarmante asservimento del Presidente George alle direttive d’oltreoceano; la missione in Libia è solo il naturale evolversi dei rapporti che contraddistinguono il nostro Paese con gli amici a stelle e strisce. Non bisogna neanche stupirsi che nelle odierne politiche antinazionali, dove i poteri vengono sempre di più demandati ad “entità” ed organismi sovranazionali, uomini come Giorgino, dalla personalità quasi inesistente, riescano ad avere così tanti consensi fuori dai propri confini. Riesce difficile comprendere, comunque, come l’opinione pubblica possa scagliarsi contro l’ambiguità palese di quest’uomo, solo nelle questioni di mera importanza, per “firme” messe o non messe su leggine di poco conto e rilevanza per la vita delle persone. Nessuno ha aperto gli occhi sulla vera natura dell’uomo Giorgio Napolitano, un uomo che ha giocato da sempre nei balletti politici internazionali che hanno interessato il nostro Paese, defraudandoci della nostra sovranità, sempre alla mercé dei poteri economici e finanziari. Per questo, diffidiamo dalle belle parole enfatizzate dai giornali “compiacenti”, di questi uomini che parlano di libertà, pace, giustizia e altre amenità simili; l’unica certezza è che le azioni di questi “grandi” uomini, da Giorgino in poi, non sono certamente eseguite per il “nostro interesse”, ma per gli interessi che hanno da sempre condizionato, in maniera fraudolenta, la vita del nostro Paese.
A.D.G. LA VOCE DEL CORSARO
note:
[1] http://www.wallstreetitalia.com/article/1098236/libia-nap…
[2] http://www.mainfatti.it/Giorgio-Napolitano/Napolitano-Lib…
[3] http://www.ilgiornale.it/interni/quando_disse__ungheria_l…
[4] http://www.quirinale.it/qrnw/statico/presidente/nap-biogr…
[5] http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubbli…
[6] http://www.30giorni.it/articoli_id_17702_l1.htm
[7] http://www.agoravox.it/Chi-domina-il-Mondo-Council-on.html
[8] vedi nota 6
[9] vedi nota 6
[10] http://www.ilgiornale.it/cultura/cosi_miglioristi_peggior…
[11] vedi nota 4
[13] http://infosannio.wordpress.com/2011/03/11/wikileaks-in-i…
Non è vero che Napolitano sia stato prima comunista e poi socialista. Napolitano è stato prima fascista e filo nazista e poi per convenienza si è traghettato sul piroscafo comunista, sostenendolo oltre ogni ragionevolezza (sua la linea dura a favore dei carrarmati russi in Ungheria).
“L’ Operazione Barbarossa civilizza i popoli slavi” non fu un'affermazione di qualche gerarca fascista o nazista. Fu proprio lui ad affermarlo nel lontano 1941 (Giorgio Napolitano – “BO’ “, Luglio 1941, giorn. univ. del GUF di Padova). Insomma già in tenera età se ne intendeva di imperialismo e sapeva come sostenerlo. Nei giorni nostri ha dimostrato identica perorazione nei confronti della Libia. Quelli sono barbari da civilizzare a suon di bombe, proprio come i slavi. Gli unici che si salvino sono gli ariani.
Provo a sintetizzare qualche dubbio che il post mi ha fatto venire. innanzitutto non condivido in toto quanto affermato da Tonguessy: tanta gente e' stata fascista nel ventennio anche per necessita', e non dimentichiamo che c'e' stato chi da fascista e' passato nelle fila della Resistenza e ci ha rimesso la vita. Non mi convinvce in particolare l'accenno al "socialismo" di Napolitano. Sembra quasi che con cio' si voglia giustificare l'accettazione supina e meschina dell'ideologia americana da parte di questo squallido personaggio con il fatto di essere diventato socialista. E non mi convince perche', come viene spiegato, lui fa carriera anche all'interno del partito. Allora mi chiedo? Come mai nessuno si fosse mai accorto nel PCI di avere un "interlocutore privilegiato" degli americani? Che i socialisti da almeno un centinaio di anni siano socialisti solo di nome, penso che non ci siano dubbi, almeno per chi ha studiato un po' la storia di quel partito. La vicenda di Napolitano, che e' solo l'ultima di una lunga serie, forse ci mostra che vi era qualcosa che non andava anche nel partito nuovo togliattiano.
Scrive Angelo che Napolitano fornisce la prova che vi era qualcosa che non andava nel PCI. E’ un problema comune a TUTTE le forze politiche di un certo peso. Vedi un po’ come sta andando con il PDL ora. La chiara visione di un programma politico viene spesso contrastata da chi ne condivideva lo spirito iniziale salvo poi allontanarsene per una serie di motivi. Fini, ad esempio. E non è detto che allontanare quella corrente sia cosa utile e saggia. La DC aveva importanti correnti eppure riuscì a dominare incontrastata la scena politica per lunghi decenni. Forse il PCI pensava di fare lo stesso. Doveva forse spezzare l’unità politica collassando come partito? Con il senno del poi si vede che il collasso è avvenuto comunque, e dall’interno; quindi avrebbero solo anticipato quello che la Bolognina ha poi sancito.
Parlando del senno di poi è questo il mio riferimento sul commento di Napolitano razzista e nazista. La sua storia personale è una lunga attività per stabilizzare e rinvigorire le istanze imperialiste. Certo, all’epoca in cui scriveva quei commenti deliranti sull’Operazione Barbarossa aveva 16 anni. Ma adesso che ne ha 86, in cosa è cambiato?
Caro Tonguessy,
la polemica contro i fascisti e non contro il fascismo, proprio lo la capisco.
Togliatti insisteva sistematicamente, durante i lavori dell'assemblea costituente, che si doveva essere antifascisti nel senso di contrari al fascismo; non antifascosti nel senso di contrari ai fascisti.
Tutti erano stati fascisti, compresa Nilde Iotti; compreso il comandante Bulov della garibaldi (era stato capo manipolo! Un guerriero è un guerrioro) compreso Longo (futuro segretario del PCI), compreso Vittorini, compreso Ingrao, compreso Dario Fo, compreso Mario Alicata, compresi Moro e Fanfani (i giovani fascisti cattolici erano antiebraici ed è dato rinvenire frasi apertamente razziste di entrambi). Soprattutto i giovani erano stati quasi tutti fascisti.
Il fascismo aveva avuto un consenso pressoché totale. Se lo conquistò e poi lo perse. Gli antifascisti amano da sempre snocciolare le ragioni per le quali lo perse. Non amano interrogarsi per quale ragione raggiunse un consenso totale (diciamo nel 1935). Il partito unico, non è un blocco monolitico comandato da un capo che ti getta ai coccodrilli se non ubbidisci (così gli Usa descrivevano Saddam). Il partito unico (qualsiasi partito unico) è la struttura che unifica la pluralità delle posizioni. E dura quando la struttura, l'organizzazione, le elite e il capo sono di alto livello. Il partito unico serve ad evitare l'ostruzionismo, il c.d. parlamentarismo, le finte battaglie di uno schieramento contro l'altro, tipiche della democrazia. Il partito unico non è l'eliminazione del pluralismo. Anche se, ovviamnte, è un pluralismo che si iscrive all'interno di dati principi.
Tieni conto che tutti i futuri intellettuali di sinistra che gravitavano attorno a Bottai scrivevano su una rivista che doveva proprio servire a teorizare il valore e l'importanza della guerra.
Dunque, la posizione di Togliatti era giusta, logica, opportuna, pratica, sensata e incontestabile.
Perciò mi sembra che rimproverare frasi fasciste pronunciate da un giovane di allora sia comunque un errore dovuto a mancanza di senso storico. In fondo qualche cosa di ingiusto. Perché il 95% di noi allora (non nel 1943, quando la guerra stava mostrando le sue atroci conseguenze!) sarebbe stato fascista. Salvo credere che i giovani di oggi sono migliori di quelli di ieri.
Ad Angelo dico che anche i componenti della Brigata Maiella furono interlocutori privilegiati degli americani (i quali acconsentirono che la brigata risalisse l'Italia e combattesse con loro); anche Garibaldi e Mazzini furono interlocutori privilegiati degli inglesi; allo stesso modo Cossutta fu interlocutore privilegiato dell'URSS; e Osama Bin Laden degli Usa. In politica ciascuno, per perseguire i propri obiettivi, si appoggia ad alcuni gruppi (e ne combatte altri). quando ciò avviene in buona fede, non vedo rimproveri che si possano muovere. Se Napolitano voleva un avvicinamento al PSI; che il PCI diventasse un partito di governo; e credeva che rassicurare gli stati uniti potesse essere utile, non mi sembra che possa essere contestato. Salvo, appunto, per le idee che aveva.
Altrimenti cadiamo nel terribile errore di chi dice che Garibaldi e Mazzini erano marionette degli inglesi; che Osama Bin Laden è stato una marionetta della Cia; e allo stesso modo che Cossutta è stato una marionetta dell'URSS, Napolitano degli Stati Uniti e allora, perché no, Ettore Troilo marionetta degli alleati.
Mi sembra più vero che Garibaldi e Mazzini utilizzarono inglesi e massoneria per i loro obiettivi; Osama Bin Laden la Cia per combattere l'URSS; Cossutta l'unione sovietica per influenzare in senso staliano il partito comunista (con tempo ho rivalutato questa idea); Napolitano rassicurò gli Usa per cercare di realizzare il suo obiettivo (il partito laburista); Troilo combatté al fianco degli alleati per liberare l'Italia dai tedeschi e dai fascisti della Repubblica sociale.
Caro Stefano,
non ho ben capito il senso del tuo intervento. E’ verissimo (e non l’ho mai negato) che una forte presenza di antifascisti venissero dal fascismo. Per me esiste un fil rouge che lega quella frase infelice sulla campagna di Russia alla “missione umanitaria” fatta di bombardamenti contro i libici. Si tratta pur sempre di culture “altre” da riportare nell’alveo della Modernità e del Progresso.
Sulla questione del partito unico come “struttura che unifica la pluralità delle posizioni” dissento fortemente. Tu stesso hai scritto ottimi articoli al riguardo e anche interessanti commenti ultimamente sul fatto che, ad esempio, il maggioritario non offre sufficienti garanzie di rappresentatività. Non riesco a capire quindi perchè da una parte tu abia in odio il partito unico proprio perchè NON PUO’ rappresentare tutte le istanze sociali mentre dall’altra tu lo sostenga. Per me la storia è sempre stata chiara: ho votato CONTRO il maggioritario, consapevole com’ero che sarebbe stato il trampolino di lancio per una politica in puro stile USA: due contendenti che dagli angoli opposti del ring urlano gli stessi slogan.
Per quanto riguarda le ipotetiche percentuali, devo ammettere che la mia storia personale (intendo con questo anche la storia dei miei genitori e nonni) è sempre stata all’interno di quel misero 5%. Ne ho parlato nell’ultimo mio articolo quando ho spiegato che mia madre doveva elemosinare del cibo ai soldati perchè suo padre era in campo di concentramento. Lì non ci andavano a finire i fascisti (seppure per temporanea convenienza), ma gli antifascisti.
Forse se ci fosse andato a finire anche Napolitano si sarebbe fatto un’idea diversa di cosa sia l’imperialismo.
Infine: il fascismo non è un’entità astratta che vive di ontologia propria. Il fascismo è fatto di fascisti, ovvero persone che hanno abitudini, mentalità e modi di relazionarsi di un certo tipo, storicamente identificabili. Non combatto certa metafisica, preferisco combattere specifici atteggiamenti fascisti. Mi sembra una battaglia più sensata.