Ritengo Stefano Fassina un uomo intimamente sincero. A differenza di tanti suoi colleghi, pervicaci fino alla morte nel difendere l'indifendibile, se messo alle strette ammette.
Lo ricordo durante un talk show, tempo fa (Servizio pubblico, febbraio 2013). Argomento era l'euro e le conseguenze di essere agganciati a una moneta senza averne la sovranità, quindi senza possibilità di realizzare alcuna politica monetaria. Incalzato, riconobbe: "Non potendo svalutare la moneta, si svaluta il lavoro". Un esito largamente previsto dagli economisti non omologati, funzionale agli imperativi etici del mercantilismo tedesco: la svalutazione "competitiva" è immorale, la deflazione "competitiva" è cosa buona e giusta.
Un esito, tuttavia, che gli eurosostenitori trascurano generalmente di evidenziare. Perciò l'ammissione di Fassina è rimasta famosa fra i più attenti, e la rete al solito ne serba
imperitura memoria.
Ma i più attenti, sventuratamente,
non sono i più. Altrimenti, davanti alla confessione che la permanenza nell'eurozona è una scelta consapevole di impoverimento delle classi lavoratrici (una categoria che non comprende solo i salariati, ma artigiani, commercianti, imprese – come le migliaia di fallimenti attestano), il bacino elettorale del PD avrebbe seppellito per sempre la propria classe dirigente. Una classe dirigente che a parole continua a richiamarsi a idealità progressiste, mentre nei fatti è sostenitrice incondizionata di un sistema brutalmente neo-liberista che in pochi anni ha liquidato la secolare cultura solidale europea.
(Ricordiamoci che della maggioranza che sosteneva il governo Monti, la quota PD era quella che più convintamente esprimeva un sostegno "senza se e senza ma"; ricordiamoci che il nostro attuale Presidente del consiglio, naturale successore di Monti, è autore di un libretto dall'eloquente titolo "Euro sì. Morire per Maastricht", un titolo quanto mai profetico).
Ho rivisto Fassina alcuni giorni fa, di nuovo ospite di un talk show (Omnibus, 23/11/2013). Lo ascoltavo difendere il governo di cui è vice-ministro dalle accuse di scarsa produttività. I "risultati" che andava sciorinando erano così irrisori che gli interlocutori avevano buon gioco a liquidare la sua arringa con qualche risolino di compatimento. Punto sul vivo, Fassina ha sbottato:
"Inviterei tutti alla consapevolezza delle difficoltà. Perché se uno guarda alla drammaticità delle emergenze è evidente che dice che è insufficiente, ma deve anche essere consapevole degli spazi che un governo nazionale ha oggi. Oggi nessun governo nazionale ha la possibilità di dare le risposte che servono per ribaltare la direzione di marcia dell'economia".
Fassina, dunque, vede le criticità dell'eurozona, eccome; e da uomo sincero qual è le
ammette. Senz'altro un passo avanti rispetto alla maggior parte dei suoi colleghi, che le ignorano ostentatamente. Il suo problema è che un passo avanti non basta: dovrebbe farne un altro, e incominciare a porsi delle domande. Per esempio: che senso ha – per un uomo che si dichiara di sinistra – sostenere un sistema che implica l'impoverimento e l'emarginazione delle classi lavoratrici; che senso ha per un politico sostenere un sistema che lo priva della ragion d'essere, impedendogli di
fare Politica (decidere indirizzi, prendere decisioni, operare delle scelte) attraverso la sistematica predazione di degli strumenti senza i quali nessun governo nazionale, appunto, "ha la possibilità di dare risposte per ribaltare la direzione di marcia dell'economia".
A differenza di Fassina, Michele Serra alcune domande se le comincia a fare. Nella sua Amaca del 24/11/2013, su Repubblica, scrive a proposito dell'AMT di Genova:
"Nella vicenda di Genova l’aspetto più sconvolgente non è la rabbia sociale (capita, è sempre capitato, capiterà sempre), non sono le speculazioni politiche. È l’ammontare della cifra per la quale la municipalizzata di una delle città più grandi e importanti d’Italia rischia il collasso: otto milioni di euro. Non voglio fare demagogia (dovrei comunque mettermi in coda), ma è una cifra ridicola se raffrontata alle montagne di quattrini elargite alle banche, che avevano accumulato “buchi” cento volte più grandi; è una cifra pari, o inferiore, alle liquidazioni e alle stock option di molti manager privati, e non sempre a fronte di brillanti risultati; è una cifra che nella foresta dell’economia finanziaria fa la figura di un cespuglio in mezzo alle sequoie.
Se nell’Italia del 2013 otto milioni di euro diventano un macigno in grado di far naufragare la città di Genova, significa che
il concetto stesso di “servizio pubblico” è stato defalcato a zavorra residuale, a impiccio antistorico; e
viene da chiedersi quando toccherà agli ospedali, alle scuole, alla cultura, a tutto ciò che non crea immediato profitto. Il concetto (squisitamente ideologico) che merita di sopravvivere solo ciò che rende quattrini significa, né più né meno, che i poveri saranno considerati colpevoli di povertà, e i ricchi potranno comperarsi l’assoluzione".
Michele Serra è un passo avanti rispetto a Fassina: si fa delle domande.
Ancora un piccolo sforzo e presto riuscirà perfino a darsi delle risposte.
Mauro Poggi ARS Liguria – pubblicato anche su http://mauropoggi.wordpress.com/
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