La lingua mimetica e cosmetica

La lingua mimetica e cosmetica

di Luciano Del Vecchio

«Si piglia gioco di me?» interruppe il giovine. «Che vuol ch’io faccia del suo latinorum?» (1). È la frase che Renzo pronuncia quando don Abbondio gli enumera in latino gli impedimenti dirimenti. E oggi, quale è il moderno latinorum adoperato da chi intenzionalmente non vuole farsi intendere? Chi vuol negare, impedire l’esercizio dei diritti civili e sociali dei cittadini comuni? Chi oggi non parla come mangia e costruisce in malafede discorsi con parole oscure, involute e troppo tecniche?

A cavallo tra gli anni ’70 e ’80, i politici e i mass-media, entrambi proprietà di banche e finanzieri, hanno dato spazio ai “tecnici”; ai chierici dell’economia, che dopo la mano si son presi il braccio fino a pretendere e a ricevere incarichi di governo senza investitura democratica elettorale. Oggi una ristretta cerchia di tecnici, allargatasi indebitamente in funzioni e competenze, di fatto esercita la “governanza” europea direttamente, o tramite politicanti servi che comunque appartengono culturalmente e professionalmente alla sfera dei banchieri e degli economisti finanziari. Gli organi disinformativi di massa si sono impadroniti e impratichiti del loro linguaggio, cioè dell’inglese economico finanziario, che ci hanno imposto come moderno latinorum di manzoniana memoria per buggerare i semplici: “L’inglese operazionale dello spread e della deregulation, della governance e dell’austerity, ossia dei simboli del nuovo Leviatano, il nomos dell’economia transnazionale (2).

Con l’uso dell’inglese i “tecnici” indorano la pillola, cosmetizzano ipocritamente l’origine ideologica e politica di provvedimenti in materia economica e fiscale, che spacciano come misure tecnico-contabili e finanziarie, ma invero applicative di dottrine economiche liberiste, mercatiste, monetariste di provenienza nordamericana, le stesse che sono a fondamento dell'Unione europea. Contrabbandano l’aggressione sociale contro il tenore di vita delle classi meno abbienti e dei cittadini meno garantiti come scelte obbligate, come misure tecniche richieste dalla scienza economica, che ovviamente parla solo inglese. Il “non si poteva fare altrimenti” fa il paio con il “ce lo chiede l'Europa”. Definendo e titolando in inglese le leggi di taglio alla spesa pubblica e di cesoiate all'occupazione, alzano una cortina fumogena su una brutale azione di guerra contro la scuola, la sanità, la previdenza, in breve contro lo stato sociale del popolo italiano. E così il nascondimento linguistico di odiose decisioni politiche riempie la bocca di schiere di politici, giornalisti, dirigenti ministeriali, quadri amministrativi, esecutivi ed euroidioti con i suoni stranieri della spending review; e fra non molto balbetteranno di job act e di one size fit all, altre anglo-ciance per nascondere la riduzione del costo del lavoro senza creare nuovi posti. “Solo così, del resto, si spiega quel paradosso oggi lampante che si esprime, in generale, nella coazione alla rinuncia alla propria lingua nazionale (nel nostro caso, la lingua di Dante e di Leopardi) e nella convergente adesione irriflessa all’inglese operazionale dei mercati finanziari, non certo a quello di Shakespeare o di Wilde. Quest’ultimo aspetto rivela, se ancora ve ne fosse bisogno, la nostra incapacità di intendere e di parlare un’altra lingua che non sia quella dell’economia”. (3)

In questi ultimi decenni, l’uso di un gergo mimetico è una pratica ricorrente non solo in politica sociale e fiscale, dato che la stessa ipocrisia linguistica è stata adoperata anche in politica estera e militare, campo in cui hanno inventato l’espressione eufemistica “exit strategy” per evitare una più realistica e convincente “disonorevole ritirata” da disonorevoli guerre. L’uso mimetico e cosmetico dell’inglese ha invaso ogni attività ed è soltanto un aspetto di un fenomeno più generale che è il progressivo abbandono della lingua nazionale, volutamente spinta verso l’estinzione dal ceto dirigente politico, accademico e in genere intellettuale, specie a sinistra, che maschera con i tecnicismi stranieri una totale incomprensione della realtà sociale ed economica dell’Italia. Il germe di una gonfiata egemonia dell’inglese, diffuso dai media e non motivato da bisogni espressivi e comunicativi che non siano già soddisfatti dalla lingua italiana, sta lentamente e tragicamente infettando il nostro vocabolario. Ogni anno scompaiono dall’uso scritto e parlato decine di parole, non sostituite da altri neologismi italiani o dialettali, ma da vocaboli di lingue straniere, soprattutto anglo-americani. Quando la lingua si fossilizza, quando viene progressivamente abbandonata, muore, e con essa muore la nazione. (4)

La progressiva erosione linguistica ha accompagnato il depauperamento della nostra economia, della nostra democrazia, delle nostre istituzioni: lingua minima, democrazia minima, e Stato minimo, che è l'obiettivo dell'economia liberista. Il fenomeno è speculare e parallelo alla inarrestabile erosione della sovranità nazionale. “La seconda morte della Patria” cominciò quando gli Italiani si arresero alla americanizzazione degli stili di vita in politica, economia, cultura, lingua e diritto: un abbandono cominciato molti anni avanti il crollo del muro di Berlino, ma che dopo questo evento conosce uno sviluppo e una accelerazione che sa molto di progetto telecomandato da centri stranieri di potere economico-finanziario, rintanati nei covi dell'Unione europea. Dopo averci privato della sovranità popolare e nazionale e averci imposto governi di banchieri o di loro sottoposti, che rispondono non ai cittadini ma ad organismi sopranazionali incontrollati e illegittimi, completeranno l'opera: una mansueta e affidabile colonia è tale se privata di lingua, cultura e civiltà.

1. A. Manzoni, I promessi sposi, cap. II

2. La dittatura dell’inglese di Diego Fusaro, Fonte: lospiffero

3. La dittatura dell’inglese di Diego Fusaro, Fonte: lospiffero

4. Una nazione che si estingue di Luciano Fuschini, Fonte: giornaledelribelle

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