Exit, oltre l'euro: vademecum per riprenderci il futuro
Sono felice di poter fare pubblicità ad un libro che è uscito pochi giorni fa, in occasione del convegno di Chianciano dell’11 e del 12 gennaio. Io ho scritto solamente un capitolo (“Debito pubblico e Sovranità monetaria”), mentre il grosso del lavoro editoriale di coordinamento e sviluppo del progetto è stato svolto da Gennaro Francione e Loredana Signorile, a cui vanno i miei più sinceri ringraziamenti. Si tratta di un libro molto particolare, che spero possa aprire la strada ad altri progetti simili di divulgazione e informazione: un libro che parla di economia, di storia e di politica e che però è stato scritto da semplici cittadini e professionisti, che non hanno particolari specializzazioni nei campi in questione. Nessun titolo da esibire in pubblica piazza, ma tanta, tanta passione e volontà di intervenire efficacemente e in prima persona nel dibattito in corso. Un dibattito dai cui esiti dipendono le nostre vite e quelle dei nostri figli e a cui nessuno dovrebbe mai sottrarsi. E’ il massimo esempio insomma di partecipazione attiva alla vita democratica del proprio paese, senza delegare ad altri o ai soliti specialisti del mestiere questioni accessibili a tutti con un po’ di impegno e determinazione.
Il titolo e il sottotitolo sono già abbastanza eloquenti riguardo le principali chiavi di lettura su cui si sviluppa il libro: oltre l’euro non c’è nessun baratro, nessuna catastrofe irrimediabile, ma c’è soltanto un futuro che tocca a noi riscrivere e immaginare. E infatti prima di riprendercelo il nostro futuro, dobbiamo essere bravi ad immaginarlo. In caso contrario ci faremo incastrare, con o senza euro, in una nuova gabbia da cui sarà sempre più difficile e complicato sfuggire. La propaganda di regime, oggi più agguerrita che mai, cerca di congelare il dibattito su una presunta salvifica idea di stabilità, da cui per spontanea inerzia dovrebbero venire chissà quali miracoli. Tuttavia se un paese è in crisi profonda e non fa nulla per venire fuori dalla crisi, cullandosi in un fragile immobilismo, è chiaro che la crisi non potrà che peggiorare. Non sappiamo il motivo esatto per cui gli attuali governanti continuano ad assistere impassibili alla distruzione del paese e alla sofferenza del popolo. Opportunismo, servilismo, sudditanza, incompetenza, corruzione, malafede, volontà di controllo e di dominio di una massa di gente sfiduciata, impoverita, disperata. Molte possono essere le cause. Ma nessuna di queste giustifica il nostro immobilismo, quello di noi semplici cittadini che siamo le vittime sacrificali del massacro.
Studiando a fondo i dati economici e tecnici, molti di noi, supportati dalle analisi dei migliori specialisti del mondo, sono arrivati alla conclusione che siano l’euro e i rigorosi vincoli di bilancio imposti dai trattati europei le principali cause del misfatto. Ma ciò non significa che crediamo che uscendo dall’euro tutti i problemi verranno risolti come per magia. Anzi. Il dibattito attuale nel fronte no-euro si sta infiammando su ipotetiche uscite da destra o da sinistra, a cui sinceramente io non credo. Essendo più che mai convinto che esista una sola via di uscita dall’euro: quella costituzionale. Non è forse la Costituzione italiana il miglior compromesso possibile al mondo fra le due principali linee guide di politica economica? Quella liberale e quella dirigista? Fra la giustizia e l’equità sociale e la libertà individuale? Fra i compiti inderogabili dello Stato e i vantaggi del libero mercato? Fra le posizioni più conservatrici e quelle più progressiste? Fra la tutela delle classi lavoratrici e le ambizioni delle classi dirigenti? E allora perché sforzarsi così tanto per inventare qualcosa che esiste già? Perché, a mio modo di vedere, siamo ancora impelagati nella convinzione che tutto ciò che è nuovo e innovativo è anche sinonimo di modernità ed efficienza. Il pensiero unico neoliberista da cui siamo stati ammorbati da più di trenta anni ci ha inconsapevolmente contagiato anche in questo.
Da ciò non discende naturalmente che la Costituzione debba essere venerata come un libro sacro di dogmi e verità immodificabili. Tuttavia i suoi principi fondamentali, le sue intenzioni di fondo espresse magnificamente nei primi articoli della carta costituzionale, quella struttura istituzionale che garantisce uno sviluppo equilibrato e interclassista della nazione, quel connubio perfetto fra diritti individuali, politici e sociali, non solo non possono e non devono essere modificati, ma devono anzi essere rafforzati nel tempo. Poi intorno a questi principi possiamo fare ruotare tutto il resto, le indicazioni di destra o di sinistra, gli strumenti economici più classici o quelli più innovativi, le riforme sociali più urgenti e necessarie. Ma non ci si può dividere sui principi. Sarebbe un errore colossale che interromperebbe sul nascere qualsiasi velleità politica di un nuovo movimento aggregatore e unitario di lotta alla dittatura eurista. Rimanere pietrificati di fronte alle minacce di nazionalismo o protezionismo paventate dalla propaganda, significa aver dimenticato che senza l’euro l’Italia non era né un paese autarchico, né nazionalista, né isolato, né protezionista, ma aveva una notevole apertura nei confronti dei mercati internazionali, unita ad un controllo efficace dei movimenti dei capitali. Fra i due estremi assoluti, il liberismo sfrenato dell’euro e il protezionismo becero, esistono parecchie vie di mezzo discrezionali e sostenibili da poter mettere in campo. Esiste per esempio il metodo del protezionismo intelligente (o in maniera esattamente speculare, del liberismo dal volto umano) basato sui regolamenti igienico-sanitari o sulle numerose restrizioni di conformità di prodotto e di processo produttivo, che spingerebbe una competizione al rialzo e non al ribasso della qualità e della tutela dei lavoratori. Due settori, quello della qualità produttiva e dei diritti umani, in cui l’Italia per tradizione e per prestigio potrebbe in breve tempo riprendersi il posto che le spetta a livello internazionale.
Ovviamente poi c’è modo e modo per modificare la nostra Costituzione. L’invocata riforma del Titolo V, che sulla spinta emotiva degli scandali scoperchiati con tempismo sospetto in quasi tutte le regioni italiane, dovrebbe rimettere ordine nei rapporti fra Stato centrale ed enti locali, potrebbe infatti nascondere l’ennesima fregatura per i cittadini italiani. E’ stato lo stesso Renzi a ribadire pubblicamente che oltre a modificare il sistema dei trasferimenti, la gestione contabile e gli ambiti di competenza, la riforma intende rimettere ordine nei metodi di erogazione dei servizi ai cittadini, nel settore cruciale e molto ambito delle cosiddette utilities: energia, trasporti, rifiuti e perché no anche acqua, a dispetto del referendum (non sarebbe la prima volta che in Italia verrebbe ignorata la volontà dei cittadini). In un periodo di crisi come questo, le utilities rappresentano un lucroso investimento certo e garantito per tutti i grandi gruppi nazionali e internazionali che intendono continuare a depredare le ricchezze e i risparmi degli italiani. Si chiama captive demand, domanda imprigionata, perché bene o male, ricchi o poveri, tutti noi siamo obbligati ad utilizzare i servizi essenziali. E considerando che in città metropolitane come Milano o Roma, le aziende interamente pubbliche o a prevalente partecipazione pubblica come A2A, ATM, ACEA, ATAC, fanno girare quantità di capitali da capogiro, è chiaro a chi veramente interessa la riforma del Titolo V della Costituzione. Gli avvoltoi insomma sono in attesa di planare su questo ennesimo pasto succoso offerto dai nostri inqualificabili politici. A noi non resta che tenere gli occhi bene aperti e continuare pazientemente ad organizzarci per riprenderci il nostro paese, la nostra sovranità. E il nostro futuro.
Piero Valerio (ARS Sicilia)
Bel lavoro piero. Il tuo capitolo é molto completo e interessante :)