Ancora sulla lista Tsipras
Sul sito web di Micromega trovo un post di Curzio Maltese, a favore della lista Tsipras per l’elezione del leader di Syriza alla presidenza della Commissione europea:
“Voterei volentieri per la sinistra riformista alle prossime elezioni europee se soltanto, in questi ultimi anni, fossi riuscito a capire quale sarebbe il progetto alternativo di Europa dei socialisti europei. Col passare del tempo le differenze rispetto alla destra sono sempre più sottili, tanto che in Germania e in Italia per l’Spd e il Pd è diventato ormai naturale governare con la destra, sulla base di un’agenda economica fondata sull’austerità e i dogmi liberisti delle banche centrali e dell’Fmi. Quanto alla Francia, non pare proprio che Hollande abbia segnato una svolta rispetto alle politiche europee di Sarkozy, soprattutto nel rapporto privilegiato con la Germania della signora Merkel.
Esiste dunque il rischio concreto che le elezioni europee di maggio, forse le più importanti dalla nascita dell’Unione, si riducano a uno scontro fra chi difende l’Europa così com’è e un fronte anti europeo eterogeneo ma accomunato da retoriche populiste e da nostalgie nazionaliste. Insomma, come si sarebbe detto in altri tempi, un confronto fra conservatori e reazionari. In altri termini […] stiamo assistendo a uno scontro fra un’idea di Europa già fallita nei fatti nell’ultimo decennio, e un ritorno alla sovranità nazionale che è fallita assai più tragicamente nel secolo scorso.
La proposta di Tsipras è l’unica possibilità di un futuro diverso, di un’Europa ricostruita sul valore della solidarietà e non dei parametri economici”.
Ho trovato condivisibile la prima parte dell’articolo, dove Maltese riconosce – bontà sua – l’omogeneità politica e ideologica dei partiti istituzionali: CDU-SPD in Germania, FI-PD in Italia, UMP-PS in Francia. Sulla seconda parte ho avuto qualche obiezione, e infatti ho obiettato. Il mio commento ha ricevuto, per quel che vale, un buon numero di “mi piace”, e due repliche di altri lettori alle quali ho risposto.
Trascrivo di seguito il tutto:
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Mio commento:
La Corte costituzionale tedesca (sentenza del 30 giugno 2009), ha acutamente osservato che “il popolo europeo non esiste e l’UE resta un’organizzazione internazionale i cui trattati rimangono proprietà degli Stati che vi hanno aderito: il Parlamento europeo non è il luogo di rappresentanza di un Popolo sovrano europeo, ma un luogo di rappresentanza di differenti popoli, i diritti dei quali possono essere garantiti solo dai rispettivi Stati nazionali”.
Vale a dire che la principale funzione del Parlamento europeo – a parte deliberare sulla scadenza delle mozzarelle – è quella di conferire ai popoli europei l’illusione di vivere in una democrazia: il voto, in questo senso, è solo un potente sedativo.
Lei stesso, qualche tempo fa, scrisse: “…Per quanto riguarda l’Italia, dovrebbe essere evidente a tutti che dopo Monti non ci sarà un governo politico vecchio stile […] ma un gabinetto tecnico il cui teorico presidente del consiglio dovrà in ogni caso fare i conti con l’autentico premier, il Governatore Mario Draghi. Questo sarà la politica dei prossimi anni, il resto sono slogan“ (La Repubblica, 13 aprile 2012).
Non ho mai capito se la sua era un’amara considerazione o l’accettazione pragmatica di una situazione di fatto: i “vincoli esterni”, dalle parti del suo giornale, La Repubblica, sono molto popolari.
In ogni caso il punto rimane: questa Europa, con l’Euro che ne è principale strumento, non è un sistema democratico. Personalmente lo considero paternalistico e autoritario , cioè sostanzialmente fascista.
Valga per tutti il metodo con cui decisioni rilevanti per la vita di interi popoli vengono portate avanti, che Jean-Claude Junker (presidente Eurogruppo 2005-2013, uno che di queste cose se ne intende) descrive in questi temini: “Prima decidiamo qualcosa, poi la lanciamo nello spazio pubblico. In seguito aspettiamo un po’ e guardiamo cosa succede. Se non fa scandalo o non provoca sommosse, perché la maggior parte delle persone non si sono neanche rese conto di ciò che è stato deciso, continuiamo, passo dopo passo, fin quando non sia più possibile tornare indietro” (Der Spiegel, n 52/1999).
Che non si tratti di una battuta è sotto gli occhi di chiunque abbia voglia di vedere: la struttura autoritaria dell’Unione europea è stata costruita in questo modo. Anche grazie alla compiacente distrazione dei media e al conformismo della gente, molto più disposta ad appassionarsi per un rigore negato che per un pareggio di bilancio imposto in Costituzione.
Un esempio recente è il famigerato bail-in di Cipro, che se riletto passo passo fino alle odierne decisioni sull’Unione bancaria europea, non può che esser visto come la diligente, ennesima applicazione di questo metodo.
La proposta Tsipras di riforma dell’Europa verso valori di solidarietà e cooperazione – quella solidarietà e cooperazione fra i popoli con cui ci è stato venduto il brand Unione Europea – è solo velleitaria, e perciò colpevolmente “sedante”. Eccole alcuni perché:
Perché non esiste una coscienza europea e quindi non esiste solidarietà. Altrimenti qualcuno dovrebbe spiegare come mai in cinque anni nessuno si è mosso a protestare contro il disastro perpetrato nei confronti del popolo greco: non gli altri popoli, che hanno assistito inerti; non le classi dirigenti delle altre nazioni, e men che meno le classi dirigenti delle nazioni “Piigs”, intente a sgomitarsi per entrare nel “salotto buono” europeo, se non per accomodarsi almeno per restarvi in piedi, ossequienti. (Ricordiamo il maramaldeggiante scatto d’orgoglio di Napolitano, quando a Helsinki, nel febbraio 2012, ebbe a dichiarare “L’Italia non è la Grecia”, parafrasi capovolta di un ben più pregnante “Ich bin ein Berliner” pronunciato in altri tempi da ben altro capo dello stato).
Perché la solidarietà, in concreto, suppone che i paesi “core”, Germania in primis, accettino trasferimenti verso i paesi “piigs” stimati intorno all’8-12% dei loro PIL per almeno 10 anni (cfr Sapir e Artus): qualcosa di economicamente insostenibile per questi paesi, ma anche politicamente improponibile – visto che il narrato della loro classe politica ai loro cittadini è sempre stato che i paesi periferici sono brutti, sporchi e cattivi e meritano di versare nelle condizioni in cui versano, fino a completa espiazione dei loto peccati.
Perché per definizione un regime autoritario, finalizzato alla tutela delle élites finanziarie, non è riformabile. Inutile, ha detto qualcuno, chiedere ai poteri di riformare il potere.
Tsipras finirà per essere omologato nella confortevole insignificanza del Parlamento europeo, dove potrà alzare la propria voce a piacere, ma in una sala politicamente insonorizzata.
Da questa Europa occorre solo uscire, perché – nonostante le apodittiche e reiterate accuse di populismo alle posizioni anti-europeiste, restarvi significa accettarne lo spirito reazionario e antisociale; un po’ come quei signori che si illudevano di riformare il fascismo dall’interno, accettandone le regole, senza rendersi conto (ma davvero non se ne rendevano conto?) di contribuire a perpetuarlo.
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Replica primo lettore:
Se non si va a Bruxelles con l’intento di completare la costruzione dell’Europa è evidente quanto sia insufficiente quanto costruito fin’ora. Se non guardate sulle carte geografiche e geo-economiche quanto pesino nella oramai aperta (anche se non ci piace) comunità mondiale entità come Cina, USA od India, non capirete certo quanta necessità di Europa abbiamo. Se non richiamate alla memoria la storia europea dalla fine dell’impero romano, zeppa di guerre e distruzioni, fino al 1945, non vi renderete conto di quale promessa sia l’Europa. Non abbiamo alcuna certezza che Tsipras od altri ci garantiscano questo futuro ma non possiamo rinunciare alla speranza.
Mia risposta:
Lei come molti altri continuate a pensare che l’Europa è quel progetto ideale che ci è stato raccontato (l’Europa di Spinelli, semplificando), e che il sistema attuale è solo un incidente di percorso più o meno facilmente redimibile. Io e tanti altri pensiamo che il sistema comunitario attuale non sia un incidente di percorso, ma la realizzazione di un preciso progetto autoritario finalizzato alla distruzione dello stato sociale e alla redistribuzione della ricchezza a vantaggio di pochi, una super-classe di finanzieri e tecnocrati.
Mi pare che le evidenze, a oggi, danno ragione a noi. E se noi abbiamo ragione, allora non mi pare il caso di aspettarsi che chi è al vertice di questo sistema accetterà di buon cuore di rinunciarvi, tanto meno se a chiederlo sarà qualcuno (Tsipras) che ha già detto che comunque vada non intende mettere in discussione l’euro: con ciò dichiarando di fatto che la sua pistola è caricata a salve.
Replica secondo lettore:
Al sig. Poggi vorrei dire che i cambiamenti si promuovono o stando dentro le istituzioni assumendosi i rischi e le responsabilità di una fronda attiva (Cavour, Grandi, Gorbaciov) o imbracciando le armi (Napoleone, Garibaldi, Che Guevara) o producendo idee e proposte innovative (Gesù, S. Francesco, Voltaire, Mazzini, Marx).
Sono tutte opzioni degne e potenzialmente efficaci ma non ne vedo altre.
Certamente non produce cambiamenti limitarsi dire “la situazione è questa e, per quanto spiacevole, non possiamo farci niente”. Questo tipo di atteggiamento è utile per far carriera in ogni campo, ma non a cambiare almeno un po’ le cose né a vivere degnamente il proprio tempo. Se il problema è la mancanza di solidarietà tra le nazioni uscire dall’Europa a cosa può servire?
Forse a fondare un Unione europea parallela? Costruire un esercito e riprovare unificare l’Europa con le armi?
Qual’è, insomma, il Piano di quanti propongono di fare a meno di quel poco di Europa che abbiamo solo perché quel poco non è abbastanza?
Conosciamo, invece, purtroppo, e molto bene, i piani degli antieuropeisti veri: chiudere il mondo fuori dall’uscio di casa e farsi gli affaracci propri al riparo da ogni vincolo di solidarietà non dico europeo, non dico nazionale, ma nemmeno municipale. Costoro coltivano il sogno di una vita senza tasse, senza debiti, senza doveri verso il prossimo e verso le generazioni future. Il sogno di Don Giovanni, il sogno di Pinocchio e Lucignolo dal quale ci si risveglia con addosso le orecchie dell’asino.
Mia risposta:
Chi come me propone di fare a meno di questa Europa non lo fa perché “questa Europa non è abbastanza” ma perché questa Europa è “tutt’altro”: non è l’Europa di Spinelli, né quella che ci è stata venduta successivamente come ideale di solidarietà e cooperazione, ma un sistema anti-solidale, individualista, fortemente competitivo fra nazioni.
Non so se ci ha fatto caso, ma da quel sogno che ci avevano raccontato, per cui si doveva tutti insieme essere una grande squadra che avrebbe giocato nel grande campionato mondiale, siamo passati ad una realtà in cui si gioca tutti contro tutti in un campionato regionale dove per di più a stabilire le regole è la squadra più forte.
Non so se ci ha fatto caso, ma in nome di magici numeri stabiliti arbitrariamente (3% di deficit, 60% rapporto Debito/PIL… ma dov’è scritto, nella Bibbia?) si devasta la vita di milioni di persone (in Grecia, in Portogallo, in Spagna, in Italia) senza che nessuno alzi un dito a dire basta.
Trovo la sua conoscenza dei “piani anti-europeisti” piuttosto rozza. Ma se il suo concetto di “vincolo di solidarietà” si riconosce nella realtà di questa Europa, allora sono d’accordo sul fatto che abbiamo modi completamente diversi di immaginare la fratellanza fra i popoli.
Mi pare anche che proprio la metafora di Pinocchio si attagli perfettamente alla situazione: siamo entrati festanti in quello che ci raccontavano essere il Paese del Balocchi, ma passata la festa ci ritroviamo a essere tanti ciuchi ai quali vengono imposte busse e sacrifici a beneficio di una superclasse di finanzieri e tecnocrati. Si rilegga il seguito della storia: Pinocchio, a differenza di Lucignolo che vi morì, riuscì a salvarsi in circostanze fortunose fuggendo da quel luogo di orrori. La fiaba non dice se in seguito Pinocchio abbia mai vagheggiato di tornare al Paese dei Balocchi per riformarlo. Io scommetto di no.
Aggiungerei che non e' vero che l'Unita' Europea stabilisce e conserva la pace. Durante la Guerra Fredda l'Europa, piaccia o no, resto' in pace grazie all'equilibrio di forze (anche militari) tra l'Occidente-NATO e l'URSS. Ora, come dice l'autore, si devasta la vita di milioni di persone (in Grecia, Italia ecc.). Spingere la gente al suicidio e' piu' comodo; e' una guerra con altri mezzi.
Tranquilli, era uno dei soliti articoli stairici di Curzio Maltese! Peccato che stavolta la comicità fosse involontaria :-)
Oggi la UE non solo NON conserva la pace, provoca pure le guerre sotto il brand NATO insieme agli USA. Oppure pensate che le "rivolte democratiche" in Libia, Egitto, Siria e Ucraina siamo frutto di congiunzioni astrali?