Svalutazione, inflazione e prezzo del petrolio.
In questo articolo si analizzerà l'evoluzione del tasso di inflazione in relazione alla variazione del prezzo del petrolio e del tasso di cambio tra euro e dollaro.
Nel corrente dibattito, ogniqualvolta si paventa l'ipotesi di una rottura dell'unione monetaria, con contestuale svalutazione, si riporta in vita il fantasma dell'inflazione e dei prezzi delle materie prime che salirebbero alle stelle.
Questo terrore, molto probabilmente, è radicato nel ricordo delle crisi petrolifere degli anni 70 che furono, appunto, accompagnate da prezzi in salita del petrolio, alta inflazione e svalutazioni della moneta nazionale rispetto al dollaro statunitense.
Per meglio farci un'idea di cosa è avvenuto in passato passiamo ad analizzare l'andamento dei prezzi reali del petrolio, ovvero depurati dell'inflazione, rispetto al valore iniziale del 1970, posto convenzionalmente al valore base di 100.
Grafico 1
E' facile riscontrare come, tra il 1973 ed il 1981, ci sia stato un incremento del prezzo reale di tale bene, che è prima triplicato tra il 1973 ed il 1976 e poi ulteriormente raddoppiato, tra il 1979 ed il 1980. Le divergenze tra i tassi di crescita dei prezzi in dollari ed euro sono dovuti ad eventuali apprezzamenti o svalutazioni di una valuta rispetto all'altra, meglio descritte dal grafico 2 riguardante, appunto, il tasso di cambio tra lire italiane/euro e dollari americani.
Grafico 2
In questo grafico viene mostrato il prezzo, espresso in euro, di un dollaro americano.
Ad ogni variazione positiva corrisponde una svalutazione dell'euro o della vecchia lira nei confronti del dollaro. Per la nostra valuta fu il 1973 l'anno dell'inizio della libera fluttuazione, largamente limitata poi con l'introduzione dello SME che, tuttavia, andava solo a contenere le oscillazioni nei confronti di altre monete europee.
Grafico 3
Nel grafico 3 possiamo analizzare le serie storiche riguardanti il tasso di inflazione (in verde), il differenziale della stessa rispetto all'anno precedente (verde scuro) e la svalutazione dell'euro rispetto al dollaro (azzurro).
Ad un'attenta analisi sembra che, analizzando il periodo che va dal 1960 al 1985 la svalutazione sia successiva ai picchi di inflazione e, nella maggior parte dei casi, si sia accompagnata da un rallentamento della crescita dei prezzi al consumo. Caso emblematico quello dell'uscita della lira dallo SME dove, nel 1993, in corrispondenza di una svalutazione di circa il 30%, si riscontra una riduzione del tasso di inflazione di 0,7 punti percentuali.
Nel complesso i due fenomeni mostrano una correlazione quasi nulla, con un valore di R² (coefficiente di determinazione) prossimo allo 0 (prendendo in considerazione l'arco temporale che va dal 1970 al 1987, confrontando la serie relativa alle svalutazioni e quella relativa agli incrementi di inflazione).
Per meglio dimostrare il fatto che la svalutazione si presenti dopo un fenomeno inflativo, possiamo servirci del grafico 4, che va ad illustrare l'andamento del tasso di cambio reale dei beni italiani in termini di beni statunitensi.
[Un valore crescente della linea verde, sta a significare che il prezzo dei beni italiani, in termini di beni statunitensi, è aumentato a causa di differenziali di inflazione che vanno a cumularsi nel tempo o a causa di un apprezzamento della valuta nazionale in termini di quella estera.]
Grafico 4
Dall'analisi dei dati si può vedere come ci sia stato un apprezzamento del tasso di cambio reale italiano fin dagli anni '60, andatosi a riallineare completamente dopo due cicli di svalutazioni comprese tra il 1974 ed il 1985, e tra il 1989 ed il 2001, per poi tornare e rimanere a livelli elevati, che testimoniano un apprezzamento reale dei beni italiani, rispetto a quelli statunitensi, di circa il 40%.
Alla luce di questo, le svalutazioni susseguitesi, non possono certo definirsi competitive ma solo funzionali a ristabilire una parità di cambio reale e, quindi, di competitività nelle esportazioni, neutralizzando l'inflazione in eccesso cumulata.
Passiamo ora a verificare, tramite il grafico 5, il grado di correlazione tra il tasso di crescita del prezzo del petrolio (scala sinistra) e la variazione del tasso di inflazione (scala destra), negli anni compresi tra il 1970 ed il 1987.
Grafico 5
Qui si può notare un andamento molto più concorde e, calcolando il valore di R² tra le due serie, si ottiene un valore di 0,507.
Si può, quindi, affermare che la variazione del tasso di inflazione, nell'arco temporale 1970-1987, sia in larga misura correlata a quella del prezzo del petrolio.
Osserviamo ora le stesse serie storiche dal 1988 al 2013.
Grafico 6
Dall'osservazione del grafico, si può dedurre che la variazione del prezzo della materia prima in esame abbia, nel complesso, una incidenza molto inferiore nella determinazione del tasso di inflazione.
Fanno eccezione gli anni della recente crisi, dove l'andamento sembra avere una buona corrispondenza – sempre tenendo a mente la differenza tra i valori di scala – molto probabilmente a causa dei fattori esterni ed interni che hanno determinato lo shock deflativo del 2009 e la seconda ondata recessiva a partire dal 2011.
[E’ significativo l’aumento del prezzo del petrolio avuto tra il 1999 ed il 2000, che è sostanzialmente raddoppiato, producendo un incremento dell’inflazione di meno di un punto percentuale. Ndr.]
Per avere una conferma numerica, calcoliamo il valore di R² nei seguenti casi:
- Svalutazione e Δ t. Inflazione (1988-2013): 0,017
- Variazione % prezzo reale petrolio e Δ t. inflazione (1988-2013): 0,198
Il primo caso conferma la quasi nulla correlazione già constatata per l'arco temporale esaminato in precedenza; il secondo, invece, vede ridotta la correlazione sperimentata nell'arco temporale precedente, con R² passato da circa 0,5 a circa 0,2.
Analizziamo ora il grafico 7, dove la variazione percentuale del prezzo reale del petrolio viene messa in relazione a quella dei carburanti alla pompa.
Grafico 7
Si può constatare come mai accade che il 100% della variazione, del costo relativo alla materia prima, va a trasformarsi in aumento dei prezzi alla pompa. Ciò è facilmente spiegabile dal fatto che il petrolio costituisce solo una frazione dei costi complessivi, buona parte dei quali costituiti da tasse di vario genere.
Si rileva, inoltre, che sostanziali variazioni del prezzo alla pompa si sono susseguite anche dopo le due crisi petrolifere ma, non si è più verificata una simile accelerazione dell'indice dei prezzi al consumo (cfr. Grafico 4, 5 e 6).
Conclusioni.
Riassumendo, da quanto si può capire da questa breve analisi, è realistico ritenere che:
- la svalutazione sia un effetto che si manifesta dopo un'ondata inflazionistica e non il contrario;
- la variazione dell'indice dei prezzi al consumo, analizzando il periodo 1970-1987, mostra una buona correlazione con la variazione del prezzo reale del petrolio, fatto che, nel corso degli anni, è andato via via attenuandosi, presumibilmente per una ridotta dipendenza dell'economia nazionale dalla materia prima in oggetto;
- la variazione del prezzo del petrolio non va mai a scaricarsi al 100% sul prezzo alla pompa dei carburanti, in quanto il costo della materia prima incide solamente per un terzo del prezzo finale.
Antonello Nusca – ARS Abruzzo.
bella analisi, ma a mio parere manca la parte fondamentale:
stai mettendo come punto di riferimento una moneta svalutabile per misurare un bene che non perde valore.
Fai una prova: confronta il valore dell’oro con il petrolio dagli anni ’50 ad oggi, nel senso… se io comprassi ogni anno del petrolio pagando con 1 kg di oro, quanti barili potrei comprarne? (senza usare il dollaro come riferimento ovviamente)
una volta stabilito che i due beni (oro e petrolio) tra di loro non si svalutano, prova ad aggiungere nel grafico il valore del dollaro tenendo come punto fisso le linee quasi parallele dell’ oro e petrolio.
E vedrai che mentre oro e petrolio mantengono tra di loro il valore, il dollaro perde valore anno dopo anno soprattutto a partire del 1971.
saluti
Gentile max, il suo commento fa ovviamente riferimento alla fine del gold standard che implica che le valute abbiano tutte un prezzo espresso in termini di un’altra ma che non ci sia nessun aggancio diretto o indiretto al valore di di qualcosa. Insomma si perse riferimento ad un valore equivalente di un bene materiale “pagabile a vista”. Il prezzo delle materie prime è stabilito alla fonte dai produttori che, spesso, formano dei cartelli e agiscono in un regime di quasi monopolio. Il presunto bene che non perde valore, in realtà, ha un prezzo e non necessariamente rimane tale anche in termini di un altro bene reale. Può farsi un’idea guardando questo grafico: http://fintrend.com/wp-content/uploads/2011/09/Gold-vs-Oil.jpg
Salve sig. Nusca, vorrei avere delle delucidazioni circa il suo articolo, in merito ad una mia tesi di laurea.
Grazie della disponibilità.
Mi contatti all’indirizzo email antonellonusca@hotmail.com