Cresciuti all'ombra del Colosseo
Cari lettori, l'articolo di questo 25 Luglio è un personale contributo alla lotta per il “risveglio” dei nostri cittadini, azione che non necessariamente deve passare per azioni eclatanti o scelte coraggiose, spesso occorre rispolverare aspetti sconosciuti della nostra cultura per essere capaci di avere uno sguardo obbiettivo sul presente.
I recenti Mondiali di calcio in Brasile hanno riaperto la consueta polemica sul gioco del calcio e su quanto si perda tempo nei dibattiti quotidiani, dal bar all'ufficio, passando per il TG e le pagine del giornale. Lungi da me il tentativo di analizzare la vittoria della Germania in finale, i pochi contributi prodotti nel web, hanno dimostrato come esistano 3 dimensioni conflittuali tra di loro di attenzione sul tema: ci sono quelli che “ il calcio non è politica “, poi quelli che “ il calcio è politica” ed infine quelli che “ il calcio non mi interessa”.
Oggi è di mia intenzione provocare il vostro immaginario e raccontarvi un pezzo del Filo d'Arianna perduto con la nostra storia culturale, partendo da uno dei maggiori simboli che ci rappresenta: l'Anfiteatro Flavio, detto anche Colosseo.
Panem et circenses
Decimo Giunio Giovenale ( 55/60 d.c – 127 d.c. ) fu un poeta Romano che tra i suoi tanti scritti e aforismi ci lasciò in eredità una frase famosa, spesso usata per indicare l'abitudine dei nostri paesani ( sia quella miscelaneea di genti che erano i cittadini romani del I secolo D.C. sia i nostri compaesani di oggi ) di accontentarsi del “ cibo e degli spettacoli”, dimenticandosi i problemi che affliggono la società.
Del resto il commento di Giovenale era una critica alla classe dei governanti dell'epoca che amavano elargire grandi investimenti per svaghi, giochi al Circo o all'Arena, utili a “addomesticare” il popolino. Troveremo nel corso dei secoli analoghi sistemi di controllo e propaganda, fino alle “dimostrazioni di forza” degli Stati moderni nelle competizioni sportive internazionali come le Olimpiadi.
Oltre a questa caratteristica, il richiamo del popolo alla partecipazione collettiva delle rappresentazioni del Circo o Colosseo aveva in se delle funzioni ben precise, collocate all'interno della cultura dell'epoca e non andrebbero, con il dispiacere dei mortificatori della cultura italiana, sempre e solo considerati strumenti in uso dal potente governatore di turno ma piuttosto una ritualità, che dall'epoca dei Romani non ha mai abbandonato la sua terra d'origine ma anzi, ha contaminato e si è a sua volta fatta contaminare, dall'evoluzione dei concetti di appartenenza nella società Occidentale.
Traccerò ora una linea continua tra passato e presente, cercando di non aprire troppi temi e di essere chiaro sul senso di questo articolo, per farlo vi pongo una domanda che anni fa , un caro amico scrittore, rivolse a me e ai suoi commensali durante una cena.
“ Qualcuno di voi conosce il motivo per cui usiamo la definizione Stelle del Calcio, quando parliamo di grandi giocatori del nostro tempo ? “
Forse ignoriamo il senso di questa espressione o diamo delle valutazioni prive di un’ analisi della simbologia annessa, perche chiamare in causa quei bagliori e luci perdute nell'Universo, che fin dalla notte dei tempi hanno incuriosito l'essere umano, per dare una definizione di un Campione sportivo ?
La risposta a questa domanda sta nella cultura Indoeuropea e nella sua filosofia che prevede una forma di riconoscimento di uno spazio Sacro posto sopra la propria testa, il Cielo appunto, che nella sua rappresentazione notturna è disseminato di costellazioni che già da secoli erano soggetti di studio per i popoli Mediterranei. Perche allora associare a un astro le prestazioni di un Uomo ?
Il Gladiatore diventa “giocatore” di una parte ( ci vorrà la dissoluzione dell'Impero Romano e la 2° parte del Medioevo per vedere proliferare le “squadre” ) di interessi messi in gioco ( I gladiatori non sono sempre schiavi, ma anche professionisti assoldati per prestigio da potenti uomini dell'epoca o liberi professionisti ), nell'arena compie azioni che spaziano dal crudo combattimento corpo a corpo alla rappresentazione e rievocazione di vittorie storiche dell'Impero fino alla violenza e l'umiliazione di nemici ridotti in schiavitù.
Diventa quindi un personaggio “pubblico” ma la sua esistenza è temporale come quella di tutti gli altri essere umani di quei tempi, ecco che la sua dipartita quindi può avere un riconoscimento Sacro da parte dei suoi sostenitori e la sua scomparsa non può che non avere un riconoscimento di carattere apicale: il Gladiatore sale al cielo e si colloca in quei puntini luminosi e misteriosi, accanto agli Dei ma non diventa Dio, resta profondamente radicato nella dimensione di mezzo tra Divino e Umano, il Mito appunto.
Per capire questa forma di venerazione dell'uomo che spicca per prestazioni fisiche prendo in prestito la storia dell'Atleta di Taranto, storia legata al ritrovamento nel 1959 di una prestigiosa sepoltura cerimoniale risalente alla Magna Grecia del V secolo A.C.
Nella tomba furono ritrovati, oltre ai resti dell'atleta, numerosi reperti che testimoniavano una sorta di venerazione collettiva degli abitanti della città fondata da coloni Spartani. Nelle ricerche sui vasi e sulle raffigurazioni si è riuscito a ricostruire la storia di un atleta che vinse, per quattro volte, i Giochi Panatenaici di Atene e poteva sfoggiare un fisico d'altri tempi, 170 cm ( un gigante per i coloni greci) di altezza per, probabilmente, 77 kg e che morì all'incirca sui 30 anni, stremato dagli sforzi fisici o avvelenato da un rivale.
L'Atleta di Taranto era un vanto “nazionale” per le nuove colonie della Magna Grecia, un qualcosa per cui andar fieri di fronte alle grandi città Greche, in procinto di decadere, come se al Mondiale vincesse la piccola nazionale figlia di un passato da colonia contro le grandi ex potenze coloniali del' 800. Era un simbolo e la sua dipartita, come quella di altri che non conosciamo, aveva una collocazione negli astri, ecco appunto come nel corso dei millenni questo concetto sia tornato, in una forma nuova e contestualizzata, nel linguaggio comune riguardante la dimensione moderna del Colosseo, lo stadio appunto.
Da Giovanni delle Bande Nere a Genny a'Carogna
un paese in balia dei Capitani di Ventura
Facciamo un salto di qualche secolo, passando sopra l'epoca Buia ( che buia non fu ) del primo medioevo, quello appunto creato dalla dissoluzione dell'Impero Romano. Nel XII secolo accadde qualcosa di eccezionale, per la prima volta si sta radicando negli uomini del feudalesimo europeo un concetto nuovo, quello dell'Individuo, vengono meno ( il cambiamento non è radicale ma ben spalmato nei successivi due secoli) i grandi sentimenti Imperiali e nella battaglia culturale tra Guelfi e Ghibellini iniziano ad affacciarsi nuovi concetti, come i Comuni, le Banche le Compagnie di Ventura.
Siamo a un cambio radicale, l'Europa dell'epoca è un costante conflitto tra signorie e baronie minori, stretti da Imperatori che tenta unificazioni difficili. L'araldica si compone di simbologie complesse ed evocative e sono i colori, ormai da secoli, che caratterizzano la “squadra”. L'arena diminuisce di capienza e si riduce alla Giostra, dove però non si trova più l'eroe popolare della cultura Classica ma il Cavaliere, con annesse dame in procinto di essere maritate e trovieri che faranno la fortuna con il Poema Cavalleresco.
Entrambi i soggetti, l'Atleta/Gladiatore dell'epoca Classica e il Cavaliere sono depositari e portatori della dimensione sociale del mito dell'Ercole Romano, cioè del Mito che conduce una vita fatta di prove fisiche e di grandi imprese.
La Guerra si riduce a eserciti professionalizzati, il caos generato dalle scelte dell'epoca crea un numero sempre maggiore di Compagnie di Ventura, non solo, all'interno dei Borghi e delle città è di costume “confrontarsi” tra Rioni in vere e proprie disfide, che oggi noi ritroviamo nella Sagra del Palio che è vera e propria difesa delle Tradizioni in questi tempi di Globalizzazione.
La violenza è di casa nella “spartizione di interessi”, dove la “Compagnia” o la “Banda” non ha soli interessi di magnificenza in ambito fisico, ma veri e propri interessi economici e politici.
Ricorda qualcosa la storia di Romeo e Giulietta con Capuleti e Montecchi ?
Il XV secolo poi ci dona la razzia dei Lanzichenecchi, “bande mercenarie” di origine Tedesca che giungono in Italia per saccheggiarla e uccidere il Papa. La stessa rappresentazione estetica dei mercenari tedeschi, con uniformi vistose e gagliarde, è una celebrazione del Mito della superiorità, radicato nello sfoggiare i colori, elemento importante all'epoca per individuare il rango sociale di una persona.
Trovano sulla loro strada un uomo, non uno qualunque, ma il più Grande Condottiero dell'epoca, Giovanni di Giovanni dei Medici detto Dalle Bande Nere, indicato da Macchiavelli come l'unico in grado di difendere il suolo Italiano dalla discesa del perfido Carlo V.
Giovanni è il tipico Bullo dell'epoca, non crediate che perche nobile Fiorentino fosse chissà quale genere di uomo cortese, era irrequieto e guidava una Compagnia mercenaria fatta di rozzi e violenti combattenti a cui lui insegnò una ferrea disciplina e una fede assoluta, pur passando alle cronache come un uomo dedito alla rissa e alla spacconeria.
Andò a morire, inconsapevole, verso un declino che non riguardava solo la sua vita mortale ma un’Epoca intera, incapace di credere che i pericolosi falconetti Tedeschi ( dei piccoli cannoni d'artiglieria, i primi dell'epoca ) potessero sostituire in battaglia le pesanti armature e le cariche da cavalleria. Ferito dal colpo di uno di questi morì per colpa della cancrena qualche giorno dopo e la sua morte, annunciata in tutta Europa, creò inizialmente uno sconvolgimento morale tra i maggiori Capitani di Ventura.
breve estratto del film " Il Mestiere delle Armi" di Ermanno Olmi
Abituati a combattersi e fronteggiarsi per interessi su campi di battaglia , furono informati della morte del migliore tra di loro, Giovanni dalle Bande Nere, per colpa di un arma considerata poco onorevole. Si disse che tale fu lo shock che alcuni di questi Condottieri sottoscrissero un documento che bandiva le nascenti armi da fuoco dai conflitti, poi in tanti realizzarono che invece conveniva adattarsi ai tempi.
I secoli successivi, anche per via della scoperta di nuovi territori da conquistare, ci privano del retaggio del Mito e confinano la dimensione dell'Ercole Romano all'interno delle città, dove si sviluppa sempre di più l'appartenenza a gruppi minori che si spartiscono territori e che si appoggiano a simbologie complesse, come quelle del patrimonio storico legato alla malavita.
La dimensione del Mito dell'Ercole Romano si riduce quindi a malavita e tramonta, definitivamente nella sua forma arcaica, con la nascita di luoghi d'aggregazione come le palestre che sorgono sempre di più nel tentativo di incanalare la “gioventù”.
Miti ne abbiamo avuti anche nel 1800, ma lascio fuori Garibaldi, Pisacane e Mazzini per questo articolo.
Arrivati al 1900, con l'introduzione della materia scolastica dell'Educazione Fisica, ritorna diffusa l'esigenza di migliorare le condizioni fisiche dei giovani e con il Regime Fascista e l'esperienza Fiumana e dello Squadrismo si riaffaccia, ormai priva della sua vocazione arcaica, l'esigenza del formare gruppo, banda o squadra e di elevare, all'interno dei gruppi, il culto del Mito. Il Fascismo comprenderà bene come incanalando tutte quelle condizioni emotive che passavano dai reduci ai ragazzi di borgata, in una formazione come quella delle Camice Nere, organizzata per scopi e interessi nazionali ( viene dissolta la dimensione “squadra” per annettere totalmente tutto al regime ) ha una portata e una potenza impressionate.
Vi saranno 20 anni di culto del corpo, dell'eroismo e una rivisitazione della Cultura Romana,ma anche di tragedie e scelte imperdonabili.
Non possiamo dimenticare o far finta che in quel Ventennio non fossero stati forgiati tra i più grandi sportivi dell'epoca, uno su tutti, condannato alla Damnatio Memoriae per aver aderito al Regime, fu forse l'unica scintilla che ricordava l'Atleta di Taranto e meriterebbe ben altri riconoscimenti, parlo di Primo Carnera.
La sua Vittoria a New York nel 1933 come Campione del Mondo di Pugilato rese un prestigio mondiale all'Italia.
Amato dal popolo, usato come strumento del Regime e che ha finito i suoi giorni in silenzio, con lo sguardo perso nel vuoto come le statue di Ercole nei templi Romani.
Il dramma è un elemento che forse pareva estraneo o secondario a questo mio testo ma che invece ha dei testimoni nella storia sportiva del '900, come quel Jasse Owens nel 1936 che anticipava quasi di un decennio la vittoria contro la Germania Nazista, vincendo quelle Olimpiadi di Berlino davanti alla “dimostrazione di forza” voluta da Hitler con le celebrazioni di quell'evento.
Questo esempio dovrebbe mettere a tacere per sempre la constatazione “ lo sport non c'entra nulla con la politica”, quella foto di Owens sul podio, con in un gradino più in basso l'atleta tedesco con il braccio teso, anticipava i tempi.
Arrivò poi il dopo guerra e la voglia di tornare a essere felici, lo stadio non era più luogo di rappresentazioni di regime ma iniziò a riempirsi sempre di più, perchè gli Azzurri ( questo costante richiamo ad un elemento di carattere celeste è o non è retaggio di quel sentimento antico di venerazione verso il semi-divino posto nei cieli ? ) vincevano e il calcio italiano spodestava quello sud-americano dei primi del '900 e quello storico anglosassone.
Arrivò però il dramma collettivo, il funesto incidente di Superga del 1949 dove morirono i giocatori del Grande Torino e che Indro Montanelli amò ricordare con queste parole:
« Gli eroi sono sempre immortali agli occhi di chi in essi crede. E così i ragazzi crederanno che il Torino non è morto: è soltanto "in trasferta". »
E poi fu un crescente di drammi e felicitazioni, compresa l’euforia del Presidente Pertini ai Mondiali del '82, indimenticabile momento di gioia collettiva. I tempi riportarono in voga l'esigenza della divisione per “colori” e così nacque e crebbe il movimento Ultras, tema che non toccherò perche non ho fatto parte del mondo degli Ultras e non voglio ne fare critiche ne analisi, alla luce poi anche dei recenti avvenimenti di cronaca. Di certo riconosco però al mondo Ultras una certa continuità storica con il mondo delle Compagnie di Ventura.
Ecco perchè, il gesto del capo curva del Napoli Genny a'Carogna ( guardate come si consuma la continuità del Mito, il Mito è sopratutto rivestirsi di una nuova identità, assunta anche attraverso un nuovo nome o un soprannome, come Dalle Bande Nere ) di interferire nello svolgimento della partita di calcio ( come fecero già altri in precedenza, compreso l'Ultras serbo Ivan ) è una prova di forza, guidata da interessi di chi ha in libro paga determinati capi curva, che nel governare migliaia di Ultras hanno dalla loro un piccolo esercito privato.
Che dire dei Berlusconi, degli Agnelli e dei Moratti ? Crediamo che il motivo per cui sono o sono stati proprietari di squadre di calcio sia perchè avevano piacere di portare i nipotini allo Stadio ? Oppure sapevano che potevano muovere dei “voti” o meglio dei “sentimenti”.
Saadi Gheddaffi, figlio del Rais di Libia, giocò nel campionato italiano di calcio tra il 2003 e il 2007. Ciò che fece non è molto distante dal destino che spettava a quei 2° o 3° figli di un monarca del Medioevo, costretti a “cercare fama e successo” con attività come quelle della Compagnia di Ventura dei giorni nostri.
E il funerale dell'Ultras del Napoli, Ciro Esposito, ucciso in un agguato a colpi di pistola da un altro Ultras, nel suo compimento di rituale funebre non vedeva Ultras di squadre da tutta Italia ( spesso contrapposte tra di loro ) giunti al suo capezzale, senza colori e araldiche sfoggiate, a rendere omaggio ad un caduto come fecero quegli Uomini d'Arme dell'epoca con Giovanni dalle Bande Nere ?
Le manifestazioni culturali e sociali possono conoscere, come gli animi e lo spirito degli uomini, lunghi momenti di sonno e inattività per poi ripresentarsi, in versioni alterate, a distanza di epoche.
L'importante è fare rete
Ecco le mie conclusioni, il viaggio che abbiamo fatto per esigenze è dovuto stare dentro poche cartelle e mi auguro che ne usciamo insieme con una lezione da apprendere.
Chi cercherà nei prossimi periodi di raccontarvi che il calcio o lo sport non hanno niente in comune con la Politica potrà ingannarvi se solo non trarrete da questo mio testo delle importanti informazioni. Che voi facciate parte dei tifosi o dei critici, come della dimensione degli indifferenti, non potrete non pensare che le dinamiche del senso di appartenenza in una Civiltà affondano le radici in qualcosa di storico e culturale e che forse, come fu compreso in diverse epoche, la capacità di suscitare un emozione è un grande strumento di governance.
Io me la ricordo quella notte di Luglio del 2006, forse piazze così eccitate ed euforiche, colme di felicità e di tricolori non se ne vedevano dall'aprile del '45.
Sarà il calcio e il nostro provincialismo ( che in questi fetidi tempi di Globalizzazione ha un che di famigliare e rassicurante ) ma in quella notte, come in quella del 1982, eravamo tanti italiani dai “colori” diversi ma uniti da un grande sentimento collettivo, partecipavano nel 1982 ad un rito di piazza che , causa Anni di Piombo e Legge Reale, avevano trasformato le piazze e le adunate di quegli anni in problemi di ordine pubblico mentre nel 2006, dopo quella notte, nessuno di noi si sarebbe mai sentito chiamato ad una causa come quella del Sovranismo, perche credevamo ancora nei sogni dei Vecchi Dinosauri.
Proviamo a pensarci cosa vorrebbe dire un giorno poter mettere insieme tutte queste identità, tutto questo potenziale frammentato nella nostra società, proviamo a essere tutti Roberto Baggio su quel dischetto del '94, avere sulle spalle il “destino morale” di un intera nazione.
Non elevo il calcio a fonte d'insegnamento, credo che oggi bisognerebbe capire come fare rete tra questi soggetti e , con una vena di opportunismo, come saper coinvolgere e indirizzare tale potenzialità verso il disegno di uno Stato. Saremo capaci di esercitare su di noi il Mito dell'Ercole Romano, cioè saremo capaci di sentirci portatori di un’ importante funzione sociale, che nell'antiche gare di corse dei carri per l'atleta di Taranto erano un affermazione che quelle provincie della Magna Grecia non producevano solo grano e tasse, ma Uomini Eroici?
Rivolgendomi ai tanti Italiani che prendono parte a partiti, movimenti e organizzazioni, sapremo noi mantenerci anche autonomi e fieri del nostro panteismo politico pur riconoscendo però l'esigenza dei tempi di aggregarci e costruire la rete sovranista ?
Io nel pormi queste domande e nel cercare di demolire questo “astio” che si crea nei confronti del Calcio e dello Sport, guidato più dal populismo televisivo che dalla storia, mi chiedo se è ancora sensato partecipare a quella mortificazione della nostra storia e cultura a favore di quella ormai imposta dalla Globalizzazione.
Nei '90 minuti ipotetici della nostra partita conta fare squadra e metterla in rete, possibilmente evitando gli autogol e senza timore di sbagliare il calcio di rigore.
Mentre se qualcuno ci pone la fatidica domanda: Ma voi per chi tifate ? la risposta non può che non essere Spartaco, colui che liberò gli schiavi.
Aaron Paradiso
ARS Lombardia
Articolo molto interessante, al quale vorrei solo aggiungere una foto: quella di Tommy Smith e di John Carlos sul podio dei 200 m. alle Olimpiadi di Città del Messico nel 1968, con i pugni guantati di nero espressione del black power. A volte lo sport serve anche a contestare, infatti Smith e Carlos pagarono quel gesto a caro prezzo.