Razza, cultura, autorazzismo e moralismo.
Si sente sempre più spesso parlare di cittadini europei, popolo europeo e addirittura della civiltà occidentale come felice attuazione di una cultura mondiale. Di norma queste definizioni hanno ampio consenso nelle cosiddette sinistre europee, associate in maniera quasi ossessiva al concetto di pace. In questo contesto, tutte le argomentazioni che si discostano da questa simbiosi forzata vengono tacciate di razzismo (se non peggio) e non vengono prese in considerazione.
Qui ho portato alcuni spunti derivanti dalla lettura di due saggi brevi dell’antropologo Claude Lévi-Strauss : Razza e storia – Razza e cultura.
L’autore scinde subito il concetto di diversità da quello di diseguaglianza:
La semplice proclamazione dell’uguaglianza naturale fra tutti gli uomini e della fratellanza che deve unirli senza distinzione di razza o di cultura, ha qualcosa di deludente perché trascura una diversità di fatto, che si impone all’osservazione…
Quando alla nozione di una diversità riconosciuta dalle due parti subentra, presso una delle due, il sentimento della sua superiorità, fondato su rapporti di forza…
Ovviamente il secondo caso è quello riguardante e da cui parte il pregiudizio razzista.
Qui Strauss però, non ne fa un convincimento morale, ma ne spiega la totale inconsistenza attraverso argomentazioni storico-scientifiche ben strutturate:
Nulla, allo stato attuale della scienza, permette di affermare la superiorità o l'inferiorità intellettuale di una razza e/o cultura rispetto all'altra. (cosa che vale soprattutto per il moderno autorazzismo nostrano!)
Sin dalla nascita, l’ambiente circostante fa penetrare in noi, per mille vie consce e inconsce, un complesso sistema di riferimenti che consiste in giudizi di valore, motivazioni, fulcri di interesse, e quindi anche nella visione riflessiva che l’educazione ci impone del divenire storico della nostra civiltà, senza la quale quest’ultima diverrebbe impensabile.
Ogni cultura è incapace di giudicare davvero un’altra, poiché una cultura non può evadere da se stessa e la sua valutazione resta, di conseguenza, prigioniera di un relativismo senza scampo.
Questo relativismo culturale fa sorgere in noi un concetto di progresso sociale che è appunto caratteristico della cultura di cui siamo imbevuti e da cui non è possibile estraniarsi abbastanza per ricavarne un valore assoluto:
Il progresso è sempre soltanto il progresso massimo in un senso predeterminato dal gusto di ognuno
L’umanità non evolve in senso unico
Anche per quanto riguarda il concetto di razza, l’autore, analizzando le teorie biologiche e antropologiche arriva alla stessa conclusione:
Sappiamo che cos’è una cultura ma non sappiamo cos’è una razza, e forse non è così importante saperlo…
Abbiamo la tendenza a considerare le cosiddette razze più lontane dalla nostra come le più omogenee; per un bianco, tutti i gialli si somigliano, e probabilmente è vero anche l’inverso…
I patrimoni genetici che in questo modo si costituiscono sono molto più diversi tra loro che se fossero l’effetto di raggruppamenti costituitisi a caso…
Quando anche si accetti che certi fenomeni osservabili dipendano direttamente o indirettamente da fattori genetici, bisogna ricordare che questi consistono di dosaggi estremamente complessi, che il biologo si dichiara incapace di definire e analizzare…
Anzi, in maniera forse sorprendente arriva ad affermare la supremazia dell’evoluzione culturale rispetto all’evoluzione biologica:
Per troppo tempo ci si è domandati se la razza influisse sulla cultura e adesso ci accorgiamo che le cose si svolgono nel senso inverso: il ritmo e l’orientamento dell’evoluzione biologica dell’uomo sono determinati in amplissima misura dalle forme di cultura adottate ne vari luoghi. Infatti è la cultura di un gruppo che determina i limiti geografici che esso si assegna o subisce, i rapporti di amicizia o di ostilità che mantiene coi popoli vicini, e , come conseguenza, l’importanza relativa degli scambi genetici che grazie ai matrimoni misti permessi, favoriti o vietati potranno stringersi fra questi.
I patrimoni culturali evolvono molto più rapidamente dei patrimoni genetici e il numero delle culture sorpassa di gran lunga quello delle razze, parecchie migliaia contro qualche decina.
Inoltre lancia un monito che lascia presagire come il razzismo comunemente detto potrebbe essere causa di ben poca rilevanza nelle tensioni sociali future:
La via su cui l’umanità è oggi impegnata accumula tensioni tali che gli odi razziali offrono un’immagine ben riduttiva del regime d’intolleranza esacerbata che rischia di instaurarsi domani, anche senza che le differenze etniche gli debbano servire di pretesto.
La tolleranza non è una posizione contemplativa, che dispensa le indulgenze a quel che fu o a quel che è. E’ un atteggiamento dinamico, che consiste nel prevedere, nel capire e nel promuovere ciò che vuol essere.
Avendo fin qui tranquillizzato il lettore dichiarando che il pregiudizio razzista è da rigettare in toto, va comunque ricordato che Strauss sottolinea come ci siano differenze di fatto nelle varie culture umane che il pregiudizio antirazzista non accetta come reali postulando l’esistenza di una fantomatica civiltà mondiale, di cui l’autore ci dà il suo parere:
La nozione di civiltà mondiale è molto povera e schematica. Quando parliamo di civiltà mondiale, non designiamo un’epoca o un gruppo di uomini: utilizziamo un concetto astratto, a cui attribuiamo un valore o morale o logico: morale, se si tratta di un fine che proponiamo alle società esistenti; logico se intendiamo raggruppare sotto uno stesso vocabolo gli elementi comuni che l’analisi permette di individuare fra le diverse culture…
La civiltà implica la coesistenza di culture che presentino tra loro la massima diversità, quindi la civiltà mondiale non può essere altro che la coalizione , su scala mondiale, di culture ognuna delle quali preservi la propria originalità…
L’Europa agli inizi del Rinascimento era il luogo di incontro e di fusione delle influenze più diverse…
L’unica fatalità, l’unica tara che possa affliggere un gruppo umano e impedirgli di realizzare in pieno la propria natura, è quella di essere solo…
Quindi per poter progredire, l’umanità necessita di un’elevata diversificazione culturale che mantenga alto il livello di scambio tra culture diverse; ma allo stesso tempo, il continuo venire a contatto tra esse tenderà a uniformarne gli usi e i costumi, arrivando quindi ad una situazione contradditoria non facilmente risolvibile:
L’umanità è costantemente alle prese con due processi contradditori di cui l’uno tende a instaurare l’unificazione, mentre l’altro mira a mantenere o a ristabilire la diversificazione.
Il sacro dovere dell’umanità consiste nel tenere i due termini egualmente presenti, di non perdere mai di vista l’uno a esclusivo vantaggio dell’altro; di guardarsi, certo, da un particolarismo cieco che tendesse a riservare il privilegio dell’umanità ad una razza, a una cultura o a una società; ma anche di non dimenticare mai che una frazione dell’umanità non dispone di formule applicabili all’insieme, e che un’umanità confusa in un genere di vita unico è inconcepibile, perché sarebbe un’umanità ossificata…
A chi appartiene oggi questo sacro dovere che dovrà mantenere il giusto equilibrio tra le due spinte sociali contrapposte? Penso che le uniche istituzioni in grado di poter svolgere questo compito siano gli Stati nazionali europei che sono sia i depositari di culture millenarie e allo stesso tempo sono sottoposti al rispetto di carte costituzionali che assicurano l’uguaglianza senza calpestare la diversità.
L’umanità è ricca di possibilità impreviste, ciascuna delle quali, quando apparirà, non mancherà di sbalordire gli uomini; e che il progresso non è fatto secondo la comoda immagine di quella somiglianza migliorata in cui cerchiamo un pigro riposo, ma che è piena di avventure , di rotture e di scandali.
Concludo con una frase di Claude Lévi-Strauss sul moralismo che affligge i nostri giorni:
Abbiamo tutti i motivi per dirci stanchi delle buone parole e delle omelie morali senza risultato.
Davide Visigalli
ARS-Liguria
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