Riconquistare l'autonomia del soggetto
Di fronte a un mondo che sembra sempre meno alla nostra portata, al processo sempre più accelerato di globalizzazione, davanti ad un meccanismo di scelta delle politiche sempre meno lineare e sempre più bizantino, sembra quasi un riflesso incondizionato quello di ripiegarsi su di sé. Ci troviamo impotenti davanti ad un universo indecifrabile, spesso gli strumenti che abbiamo per conoscerlo appaiono come ferrivecchi, come l’abaco per il calcolo differenziale.
Allo stesso tempo, sappiamo che il pensiero unico dominante ha lavorato per noi con un’attività decennale di costruzione di una ideologia penetrata ovunque, sappiamo che l’aria che respiriamo è viziata perché ogni finestra è stata sigillata dal pensiero che tutti pensano, che tutti praticano, che tutti vivono quotidianamente. Anche i più avvertiti tra di noi non possono esimersi dal far parte in un modo o nell’altro del sistema, che è totalizzante. Di nuovo, l’unica soluzione a volte appare l’accettazione e il ripiegamento.
Sentiamo spesso dire (e spesso ci viene la tentazione di dire): «Sono problemi più grandi di me, io non conto nulla. Bisognerebbe fare qualcosa, reagire, ma che ci posso fare? Meglio dedicarsi a ciò che ci riguarda direttamente, a ciò che siamo abituati ad affrontare». Non escludo che in questo pensiero ci sia anche una dose di saggezza e di sincero rammarico per non poter fare di più.
In buona sostanza, se prendiamo in considerazione l’evoluzione della società contemporanea, siamo ridotti all’impotenza per quanto riguarda il nostro destino, per quanto concerne l’azione concreta e la politica. Molti obietteranno che non è così per loro, soprattutto quelli che fanno o hanno fatto politica attiva, che c’è molto da fare, da agire, basta volersi impegnare; non nego che sia così soprattutto a livello particolare, locale, soprattutto a livello amministrativo, ma non solo. Conosco persone generose che lavorano sodo per il bene della comunità che li ha voluti suoi rappresentanti. Il mio discorso però trascende il particolare e si rivolge al generale: non per riprendere il luogo comune che solo a livello locale si situerebbe la vera politica, mentre a livello nazionale ci sarebbero la corruzione e la cattiva politica, fatta di sprechi, favoritismi, trasformismi, e così via. E nemmeno per ripercorrere l’altro luogo comune per cui i politici sarebbero tutti uguali e perciò tutti da scartare, che a livello locale, nel piccolo, si ripresenterebbe il marcio che c’è nel grande. Sono due atteggiamenti troppo semplici: il qualunquismo delle anime belle non è meno insopportabile di quello di chi non salva nessuno.
Semmai, con la perdita della sovranità nazionale da parte del nostro paese, si assiste ad una estensione dell’amministrazione rispetto alla politica, ad un ritirarsi del potere legislativo rispetto a quello amministrativo. Significativo a questo proposito che proprio un ex Sindaco sia oggi il nostro Presidente del Consiglio. Gli amministratori locali, i sindaci, hanno sì potere discrezionale, ma solo nei limiti fissati dalla legge. Semplificando si può affermare che mentre il potere politico fissa il fine di una azione, la direzione che l’agente deve percorrere, il potere amministrativo (o anche tecnico) deve preoccuparsi che il fine già fissato sia raggiunto nel modo migliore, applicando al meglio la legge. È ovvio che il Parlamento continua a legiferare, ma lo fa sempre più nei limiti fissati da Trattati e da decisioni prese altrove. Il Governo a sua volta non può che adeguarsi e rimanere nei limiti già tracciati. C’è modo e modo anche di amministrare, ne convengo, ma affermo che amministrare è ormai l’unica attività possibile in un meccanismo nel quale ogni decisione, economica soprattutto, ma anche sociale e culturale (leggi non scritte queste che tuttavia influenzano eccome il nostro agire), è eterodiretta.
Ecco allora che ogni tentativo di fare apparire il nostro paese come autonomo è ridicolo; ecco che il dibattito pubblico, veicolato soprattutto dai mass media, ci appare del tutto illusorio rispetto alla realtà dei fatti: ci domandiamo se tutto ciò non sia fatto ad arte, se la distrazione dai veri problemi non sia concertata, tanto è un meccanismo troppo perfetto quello che distoglie i cittadini dai veri problemi e dalla cruda realtà di servitù del nostro paese. Per fare solo un esempio: il continuo riferimento alle categorie di destra e sinistra, ancora molto frequente, nasconde la pressoché identica posizione politica dei due schieramenti su tutto. Nella situazione attuale le categorie di destra e sinistra non significano più nulla o solo più la collocazione spaziale in Parlamento dei deputati. Non stupisce perciò che quelli che una volta parevano avversari e che conducono le elezioni separatamente, poi una volta al governo possano concordare pressoché su tutto.
Torno al punto da cui ero partito: la sensazione che le decisioni vengano prese altrove è sempre più forte e a nulla valgono le rassicurazioni patetiche del contrario o le pantomime a beneficio delle elezioni.
A questo punto, per chi non può accettare tutto ciò, la soluzione più spontanea è il ripiegamento su di sé. Ma il soggetto oggi è davvero autonomo, può rivendicare con orgoglio la propria libertà? La mia idea è che se l’individuo si ripiega su di sé non può che rimanere con un pugno di mosche: non troverà nel suo piccolo orto, nella vita intima o nella quotidianità, quella pace che aveva sperato. Un individuo appartato dalla società è una illusione: infatti, se anche l’individuo non si occupa della politica e della storia, saranno la politica e la storia ad occuparsi di lui.
Intanto l’individuo ripiegato su di sé non può esistere come tale se non in rapporto a ciò che esclude: si allontana da qualcosa e questo movimento lo costituisce come tale. Nella nostra società poi la possibilità dell’isolamento appare problematica, per non dire affatto impossibile: ecco allora che l’individuo isolato è un’astrazione che non consente di guardare in faccia la realtà, è in un atteggiamento in malafede.
Bisogna poi aggiungere che con il venir meno della sovranità dello stato-nazione è venuta in larga parte meno anche la sovranità stessa del soggetto. Infatti, per quanto sembri in apparenza che oggi il soggetto sia sempre più tutelato nei propri diritti, che sempre di più abbia la possibilità di vantarli anche al di là dei confini dello stato, che la sua volontà e il suo potere contino sempre di più a scapito di autorità tradizionali, se guardiamo più da vicino constatiamo, invece, che non esiste più il soggetto inteso come entità che può pensare e agire autonomamente a partire solo da sé, fiducioso di riuscire a fondare il proprio pensiero, basandosi sul proprio intelletto, sulla propria capacità di giudizio e sulla propria volontà e che sempre più il comportamento del soggetto è plasmato in tutto e per tutto dalla società in cui vive; i diritti senza un potere ben preciso che ne permetta l’osservanza sono mere illusioni.
Kant rispondeva alla domanda “cos’è l’illuminismo?” affermando che esso è l’uscita dallo stato di minorità dell’uomo, essendo la minorità l’incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro; noi oggi, se ci domandassimo “cos’è il contemporaneo?”, come cioè come possiamo caratterizzare l’età contemporanea, potremmo provocatoriamente dire che è il ritorno allo stato di minorità dell’uomo. L’uomo è stato depauperato della sua autonomia (a fatica conquistata), è stato ridotto a cittadino universale di un mondo invivibile, vanta diritti universali che non può godere, è costretto sempre più a delegare a altri le sue decisioni.
Ecco perché la riconquista della sovranità nazionale e della sovranità del soggetto devono andare di pari passo, non ha senso chiedersi se una debba precedere l’altra, o se una sia la condizione dell’altra. Il riscatto della nazione passa attraverso la ritrovata autonomia di pensiero dei cittadini e contemporaneamente un pensiero autonomo, non plasmato dal pensiero unico che circola oggi, può darsi solo in una nazione non più serva, un paese civile e orgoglioso di sé, del proprio passato e del proprio presente, che non debba fare i compiti a casa e attendere l’imbeccata dai partner europei che, contrariamente a quanto si dice, sono i veri pigs, i veri maiali, perché come i maiali nella favola di Orwell sono “più uguali degli altri” stati.
La riconquista della sovranità del soggetto e della sovranità della nazione procedono e procederanno parallelamente: tra loro infatti c’è un’armonia prestabilita di leibniziana memoria.
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