La teoria dei giochi non ha più un arbitro
La teoria dei giochi studia l’interazione strategica tra giocatori. Essa non è pubblicizzata e a voler pensare male non lo è perché se solo uno dei due giocatori sa di stare giocando ad un gioco, bhé, è ovvio che vinca lui. Diciamo che non la pubblicizzazione crea delle asimmetrie informative che portano l’equilibrio del gioco in un luogo che non dovrebbe frequentare, se solo la società badasse al benessere collettivo.
Per dare qualche cenno storico, possiamo affermare che lo stesso Machiavelli la studiò, ponendo come gioco le interazioni tra i cortigiani del Papa. L’obiettivo, direi razionale nonché similare all’odierno profitto, era acquisire posizioni di vantaggio/prestigio.
Questo per dire che le interazioni nascono con l’uomo stesso, con gli stessi esseri viventi. Si potrebbe studiare il gioco tra leoni e gnu, come tra uomo e donna, e lo si fa ma, almeno in merito a quest’ultimo esempio, non sono pienamente d’accordo. E’ infatti improprio che la teoria dei giochi venga studiata in ambiti in cui entra in gioco l’irrazionalità, dato che in tali ambiti la predizione certa delle azioni che i giocatori porranno in atto (la loro strategia) viene immancabilmente minata. Questo succede in amore ma anche in economia in tutte le situazioni in cui i giocatori non sono mossi dal razionale obiettivo del profitto, ma da altri obiettivi, come la solidarietà o comunque qualcosa di non misurabile con la stessa unità di misura.
Serve razionalità perché essa abbia un senso, ed è per questo che oggi è fondamentale, perché oggi il mondo ha pochissime situazioni concernenti dei valori “irrazionali”, non quantificabili, ma ha un grande valore guida, il denaro, avente la stessa unità di misura per tutti, ben inquadrabile in un modello matematico per mezzo del pensiero dei giocatori, il quale oggi è, per spirito di sopravvivenza, aderente a quello del razionalissimo “homo economicus”.
Fondamentale teoria, ma poco conosciuta, e se non fosse per il film “A beatiful mind” alle masse sarebbe stata esclusa non solo la cognizione della stessa, ma addirittura l’esistenza. Eppure dobbiamo ringraziare proprio la teoria dei giochi se siamo qui, se io posso scrivere questo articolo e voi potete leggerlo.
Era il 1962 quando il mondo arrivò quasi alla guerra atomica. A sventarla contribuì in modo significato un economista, Schelling, che condivise la sua teoria dei giochi con svariati personaggi, tra cui, fortunatamente, J. F. Kennedy. Così Schelling descrive il rischio atomico provocato da embargo e crisi diplomatica del 1962, con Kennedy dal lato U.S.A. e Nikita Krusciov dal lato U.R.S.S.: “l’evento più spettacolare dell’ultimo cinquantennio è qualcosa che non è mai avvenuto. Siamo riusciti a vivere sessant’anni senza che nessuno decidesse, in un momento d’ira, di ricorrere agli armamenti nucleari”. La corsa agli armamenti era arrivata ad un punto critico, e la teoria dei giochi descrive in questo modo la situazione che si aveva con, in ogni riquadro, a sinistra il guadagno degli U.S.A. e a destra il guadagno U.R.S.S., dettato dalle rispettive combinazioni di azioni, “si ai missili” o “no ai missili”.
Notate che se foste Kennedy e ragionaste a livello individualistico, ragionereste così:
-
se Krusciov sceglie “si missili”, io guadano 10 se scelgo “si missili” e 0 se scelgo “no missili”. Conviene tenere i missili in Italia e Turchia ed aumentare l’armamentario nucleare.
-
se Krusiov sceglie “no missili”, io ho un beneficio di 200 se scelgo “si missili” e di 150 se scelgo “no missili”. Conviene tenere i missili in Italia e Turchia ed aumentare l’armamentario nucleare.
Quindi, a Kennedy conviene scegilere “si missili”, a prescindere dalla scelta di Krusciov. Per Kennedy “si missili” è una strategia dominante (la migliore scelta a prescindere dalla scelta dell’avversario).
Idem per Krusciov, il quale sceglierà il mantenimento dei missili a Cuba (ha scelte speculari), e così il gioco ha un equilibrio di Nash nel riquadro la cui combinazione è “si missili” per entrambi – guadagno 10 e 10, ma non si è raggiunto il punto in cui il vantaggio sommato dei due (il guadagno per la società) sarebbe il più alto possibile (entrambi “no missili” – guadagno 150 e 150). Tale punto di equilibrio si dice Pareto efficiente, ed è quello che la società deve perseguire.
In sostanza Schelling, perno dell’Amministrazione Kennedy, disse: badate, è vero, se non collaborate e continuate con questo atteggiamento, il vostro miglior risultato possibile, il vostro equilibrio di Nash non Pareto efficiente, porterà ad una guerra atomica, ma tale equilibrio non è il migliore per la società, tutt’altro. Potreste cambiare la storia parlandovi, collaborando, raggiungendo così non solo un equilibrio, ma un equilibrio Pareto efficiente.
Kennedy e Krusciov scelsero il benessere della collettività, scelsero l’equilibrio, nella matrice, della collaborazione, sebbene il dilemma del prigioniero ponesse l’equilibrio di Nash nel riquadro appartenente alla scelta “individualistica”, alla competizione, alla guerra atomica, per intenderci. Io non mi stupisco di questa scelta, perché gli statisti hanno un compito, badare all’interesse della collettività, non dovrebbero guardare altro che ad essi.
Dall’altro canto, mi stupisco come tale concezione venga puntualmente disattesa oggi, come mi stupisco di chi non si stupisce per quello che succede oggi, ma si stupisce di come nel 1962 abbiano potuto fare una scelta per la collettività. E’ semplice: perché erano statisti, perché badavano al popolo, ognuno a modo suo. Questa è la normalità, mentre non è normalità erigere una società in cui il profitto e la competizione sono legge e tutto il resto si deve adattare.
E con il termine “adattare”, sposterei l’articolo sull’oggi, su cosa voglio analizzare dell’odierna realtà, ovvero il lavoro, perché è un mondo perfetto per la teoria dei giochi. Ci sono due giocatori, il lavoro e il capitale, mossi da un obiettivo razionale come il denaro, salario o utile che sia.
Poi c’è, c’era per meglio dire, lo Stato, che nella contesa faceva da arbitro, mentre oggi sta a guardare cercando di non far emergere troppo il suo atteggiamento da Ponzio Pilato.
Quindi, mentre nel 1962 la teoria diede i suoi migliori frutti, oggi tali frutti sono a noi preclusi. Il Sig. Cooperazione è da decenni somatizzato dal suo alter ego satanico, il Sig. Competizione, ma COOPERAZIONE è un termine che non possiamo, se vogliamo tornare ad un qualcosa confacente alla nostra storia, non riprendere in considerazione, rivalorizzalo, condividerlo, viverlo ed apprezzarlo: la cooperazione, dove in quelle due “o” di fila pare sfuggire la presa al significato sostanziale del termine.
Bisogna, infatti ed altresì, stare attenti a come tale termine viene usato, l’accezione, perché anche quando lo si usa, oggi, lo si fa il più delle volte in modo improprio, ponendolo come aggettivo di una determinata situazione che di cooperativo ha ben poco, tanto da risultare il suo perfetto contrario.
Per esempio, tanto per parlare del nostro nuovo trattato transatlantico, il TTIP non è cooperazione, ce la spacciano per tale ma è competizione. Potete vederlo come il Maastricht transatlantico, e in Maastricht si nomina la competizione come principio guida, non la cooperazione. Però vengono definiti accordi di cooperazione internazionale. No, sono di competizione internazionale, il più delle volte alla deflazione salariale, ed è veramente curioso come due termini idiosincratici vengano posti come connubio, similitudine, interscambiabili. Quindi stiamo attenti quando sentiamo il termine cooperazione, perché il più delle volte è svuotato di ogni sua sostanza. Serve la cooperazione, la vera cooperazione.
Tornando a parlare della teoria dei giochi possiamo dire che essa è semplice ma varia, e l’equilibrio che si raggiunge dipende da come la matrice viene impostata, ma anche da come si sviluppa, perché il gioco cambia pur rimanendo tali i giocatori, se cambiano le condizioni date.
Quindi, ed è questo il concetto da capire nel mondo del lavoro, voi sarete sempre lavoratori ed il capitale sarà sempre capitale, vi sembrerà di stare giocando lo stesso gioco, ma non è così, e possono anche essere le virgole a cambiare gioco, a cambiare matrice, e di conseguenza a cambiare l’equilibrio che raggiungerete.
L’esempio che vorrei portare alla vostra attenzione è un qualcosa successo nella città nella quale sono cresciuto, Terni, in merito all’azienda che da sola rappresenta/ava il 20% del PIL dell’Umbria.
Brevemente, la proprietà, dopo la svendita I.R.I. di Prodi, è tedesca, Thyssenkrupp, e come in ogni altro settore, la multinazionale arriva in Italia, fa i soldi fintanto che li fa, magari li fa proprio perché non investe o sposta ammortamenti o costi vari ad esercizi futuri (ma questi sono discorsi puramente contabili), e pian piano smobilizza in Italia e sposta tutto (know how, impianti e lavoro) nella nazione di origine o dove la mano d’opera costa meno. Il solito, insomma. In realtà a Terni ci si è messa anche l’Antitrust a togliere speranze all’Italia, rendendo nulla la cessione ai finlandesi Outokumpu (non entro nel merito della decisione; mi limito a constatare che è andata a vantaggio della Germania).
Per farvi un quadro generale della matrice che si stava giocando tra azienda e lavoratori vi dico solo che arriva un nuovo A.D., la Sig.ra Morselli, nota “liquidatrice di grandi Società”. La richiesta dell’azienda è licenziare 500 lavoratori e diminuire le produzioni (che porterà nel lungo periodo ad ulteriori ridimensionamenti). Ovviamente, i lavoratori fanno muro, dato che, considerando anche l’indotto, si sta scegliendo di chiudere una città, forse una regione e, dal punto di vista Italia, di comprare l’acciaio ancor di più dall’estero. La matrice può essere così riassunta:
Se ragionate come sopra, avrete un equilibrio nel riquadro D1 o, al più, nel riquadro A1 (entrambe le parti non cedono o, al più, entrambe cedono), ci saranno comunque dei licenziamenti, ma la città sarà salva, saranno salve le produzioni e il lungo periodo. Ma il gioco non è statico, si evolve. Alla collettività converrebbe porsi nel riquadro C1, e per far ciò dovrebbe intervenire lo Stato, ma lo Stato non può e non vuole, quindi si rimane nel riquadro D1. La Thyssenkrupp, dal canto suo, vorrebbe posizionarsi nel riquadro B1, per chiudere o giù di lì, e per far ciò deve “far cambiare atteggiamento ai lavoratori”, deve abbattere il muro compatto, deve renderli più adattabili alla produzione. Come si fa? Facile, ci si inventa un gioco, un gioco nel gioco, con il silenzio assenso di tutte le parti in causa, in cui la Sig.ra Morselli sta a guardare ed i giocatori sono i lavoratori, gli uni contro gli altri. Vengono offerti circa 80.000,00 € a chi accetta di andarsene volontariamente. Ma solo ai primi 350. Quindi ci saranno, nelle intenzioni dell’azienda, anche 150 persone che se ne andranno senza nulla. Per precisione, si è partiti da una cifra più alta che pian piano si è abbassata, così come è vero che la cifra era base ma poteva essere contrattata dal singolo lavoratore. Quindi dico 80.000,00 € per semplicità, ma anche qui la contrattazione “personale” è stata inserita, così come la discesa dell’offerta all’aumentare dei lavoratori che accettavano conferma che trattasi di gioco. Infatti, più lavoratori accettano, meno necessità c’è di incentivare, dato che l’incentivo ad accettare deriverà dal semplice vederlo fare agli altri, vedere la protesta smontarsi e i 350 “posti” diminuire. Questa è la matrice del nuovo gioco:
Per collegarci alla prima matrice, notiamo che l’unica combinazione del nuovo gioco che non modificherà l’equilibrio in D1 sarà il riquadro D2 (nessuno accetta gli 80.000,00 € e la protesta rimane coesa). Nel momento in cui, però, i “propensi ad accettare” accetteranno, e lo faranno perché la loro strategia dominante è accettare, la protesta si smonterà, ed automaticamente, nella prima matrice, i lavoratori passeranno dal “LOTTA” al “CEDE”, e l’equilibrio dal riquadro D1 al riquadro B1. La Thyssenkrupp ha raggiunto ciò che voleva. Il costo è stato infinitesimale rispetto al loro fatturato. Fine del gioco.
Ricapitoliamo la situazione.
C’è un’azienda che vuole licenziare 500 persone, e i mass media, un po’ per terrorizzare, un po’ a ragione a causa di “Aiuti di Stato” resi illegittimi dalla cooperativa UE e tutto ciò che sappiamo, mancanza di SOVRANITA’ POLITICA in due parole, danno per certo che comunque vada, sia che il singolo lavoratore accetti la buonauscita, sia che non lo faccia, i licenziamenti ci saranno (cioè afferma che l’equilibrio nella prima matrice è B1, non D1). Si spargono le voci, e si sa chi è “l’ultimo entrato”, c’è sempre un ultimo entrato dato che è un concetto relativo, come c’è sempre chi ha necessità, oggi in particolar modo. Quindi ci sarà chi penserà “bhè, me ne vado con 80.000,00 €, meglio di andarsene con un pugno di mosche, tanto qualcuno che li accetterà ci sarà, e di “posti” ce ne sono solo 350!”. Una cosa abominevole. E non parlo del ragionamento dell’impiegato che li accetta, ma di chi pone l’impiegato dinanzi ad una decisione talmente razionale da non credere che si stia parlando di rapporti tra colleghi, di coesione al fine di salvare la fonte di reddito della loro vita. Rompendo la coesione del mondo del lavoro, non solo i lavoratori hanno perso la battaglia, ma si è aperta un’ulteriore ferita sul fianco dell’azienda, l’ennesimo ridimensionamento; ormai la strada è irrimediabilmente in discesa, se non cambia l’Italia.
Questa si chiama teoria dei giochi, ed in questo caso è stata usata contro la collettività, a differenza di come fecero Kennedy e Krusciov, non per il perseguimento dell’efficienza paretiana, ma del mero profitto, non della cooperazione, ma della competizione, nella fattispecie tra lavoro e capitale.
Le 500 unità in meno volute si sono raggiunte grazie a pensionamenti e dirigenti sprovvisti di garanzie. Il governo, noi, da parte sua, nostra, non solo non ha vietato la “proposta indecente”, ma l’ha resa ancora più “allettante”, mettendo sul piatto 2 anni di mobilità e, come sempre e purtroppo oggi giorno, il breve periodo ha vinto sul lungo periodo, l’individualità ha vinto sulla collettività. Alla fine l’azienda è arrivata ad una diminuzione di personale maggiore di quella paventata e tanto combattuta fino al giorno della “proposta indecente”, senza licenziare nessuno, senza sembrare colonialista e con garbo, ci mancherebbe. E’ teoria dei giochi baby!
E’ andata talmente bene alla Thyssenkrupp che già si paventa una riproposizione dello stesso gioco, si partirà da una base di 120.000,00 € (è la nuova cifra di equilibrio per far cedere i lavoratori, più alta perché manca la mobilità ma non il doppio perché tanto il muro compatto non c’è più), con l’intento di dimezzare il personale dell’azienda per poi venderla meglio. Si chiama teoria dei giochi ma usata così è uno stillicidio, di gioco non ha nulla.
Mentre la Sig.ra Morselli sa sicuramente di cosa parlo, mentre la Sig.ra Guidi dovrebbe sapere di cosa parlo, i lavoratori non sanno assolutamente di cosa parlo, non è giusto.
Tutto ciò, però, è perfettamente aderente all’attuale pensiero di quale direzione debba prendere il gioco tra lavoro e capitale, ergo, verso una contrattazione sempre più personale. La storia che la nostra individualità verrà risaltata da una contrattazione strettamente privatistica è falsa, la realtà, quella che conta, è che si cambia gioco, e che il potere contrattuale dei lavoratori è irrimediabilmente annullato.
Oltre al fatto imprescindibile che in questo gioco lavoro-capitale, lo Stato dovrebbe essere il soggetto che, nel momento in cui i giocatori hanno nelle loro matrici degli equilibri di Nash non Pareto efficienti, dovrebbe intervenire, indirizzando l’equilibrio verso il riquadro migliore per la società. Oggi invece si lasciano i giocatori agire, e i giocatori, avendo una visione limitata o distorta della questione, non possono scegliere il meglio per la società. Se Nash ha vinto il premio Nobel per ciò un motivo ci sarà, precisamente l’ha vinto perché ha dimostrato che ci sono degli equilibri che sicuramente si raggiungeranno anche in giochi non cooperativi, in cui i giocatori non si parlano. Il problema è che tale nozione andrebbe usata per il benessere collettivo, perseguendo comunque e sempre la Pareto efficienza per la collettività, e non il mero Equilibrio di Nash, anche quando avvantaggia solo taluni e non la società.
Ma non è un caso se lo Stato non è intervenuto, come non è un caso che si voglia togliere potere contrattuale ai lavoratori al grido che la contrattazione tendente al personale esalterà il lavoratore stesso. Non esalterà proprio nulla, ma disintegrerà i diritti, deflazionerà il lavoro per mancanza di potere contrattuale e di organizzazione.
In merito all’organizzazione bisognerebbe scrivere un articolo apposito, ma la qualità dei sindacati come le malsane idee di “sindacato unico”, credo che contino più di mille parole per attestare l’obiettivo di annullare tale capacità organizzativa, lasciando il lavoratore solo con se stesso.
Così come bisognerebbe scrivere un articolo apposito su tutte le normative che minano il potere contrattuale dei salariati.
Per esempio, nel TTIP, c’è la clausola ISDS, che permetterà alle multinazionali di far causa agli Stati che oseranno difendere il lavoratore! Quindi, tra un po’, anche se il governo vorrà intervenire, dovrà risarcire i danni alla multinazionale, e non interverrà. E il lavoratore sarà sempre più solo con se stesso.
Per esempio, a livello di contrattazione collettiva, e dopo solito “consiglio” europeo, che tutto è tranne un pensiero da buon padre di famiglia, è qualche anno che l’orientamento sta cambiando, ponendo la contrattazione di secondo livello (quella aziendale, tra i lavoratori di un’azienda e la sua proprietà), come preponderante rispetto alla contrattazione collettiva nazionale (quella tra le parti sociali a livello nazionale). E secondo voi, per quante critiche possiamo muovere ai sindacati oggi, avrete più potere contrattuale voi da soli o un sindacato nazionale?
Evitando ulteriori esempi, ma analizzando la visione generale, notiamo che mentre la nostra Costituzione pone la Repubblica Italiana fondata sul lavoro (lato della domanda), e la proprietà privata ammessa ma con funzione sociale (lato dell’offerta), l’UE vede il lavoro come adattabile alla produzione (lato della domanda) e la proprietà pubblica da abolire perché avente funzione sociale (lato dell’offerta), anche se la scusa è la faccia negativa della medaglia, cioè “non abbastanza competitiva”. E quale miglior struttura di contrattazione tra lavoro e capitale può cavalcare l’onda dell’adattabilità alla produzione se non quella personale?
Trattati e Costituzione, finiamo sempre lì. Lavoro adattabile da un lato, Repubblica fondata sul lavoro dall’altro, sono visioni diverse. La visione è diversa perché da un lato abbiamo competizione tra i cittadini, dall’altro abbiamo cooperazione tra i cittadini. E’ UE e non Italia, è Mercato e non Stato.
Per concludere e farvi capire che, da ogni punto di vista, il risultato auspicabile rimane sempre la cooperazione, analizziamo cos’è lo Stato, non istituzione ma insieme di persone, nella teoria dei giochi. Lo Stato, al primo bivio, quello tra giochi ripetuti (si gioca per enne volte, si può collaborare) e immediati (si gioca una sola volta, chi vince vince, si è spinti alla competizione) è un gioco ripetuto.
I giochi ripetuti, a loro volta, si differenziano in giochi finiti e non finiti.
I giochi finiti, anche se reputi, hanno lo stesso equilibrio dei giochi immediati, e questo perché, se i giocatori sanno che il gioco finirà, compiranno come penultima mossa la stessa che compirebbero all’ultima (competere, è l’ultima mossa, non ha senso collaborare). Così, procedendo a ritroso, i giocatori, se hanno certezza che il gioco è finito, compiranno la stessa scelta che compirebbero se il gioco non fosse ripetuto, ma immediato.
I giochi non finiti, invece, per definizione, raggiungono il loro equilibrio Pareto efficiente quando i giocatori collaborano ed il loro stesso equilibrio è generalmente spinto verso la cooperazione. Lo Stato è un gioco ripetuto e non finito tra i cittadini. Essi dovrebbero collaborare.
Ma c’è un problema, la cooperazione dura finché c’è FIDUCIA. Il segreto per cooperare nei giochi ripetuti e non finiti è la fiducia. E come si fa a mantenere alta la fiducia tra individui che non si parlano? Sempre la stessa risposta, lo Stato, questa volta istituzione – lo Stato deve apportare e mantenere intatta tale fiducia, deve fungere da collante tra i tanti giocatori chiamati cittadini.
Stare a guardare non è un atteggiamento costruttivo. Speriamo in uno Stato che ritorni ad essere arbitro di noi stessi.
Commenti recenti