La necessità di una nuova avanguardia storica e culturale
A parlare di storia e di cultura in un frangente come quello che stiamo vivendo, immersi come siamo da anni nella gabbia di vincoli intessuti in una impenetrabile tela formata da algidi numeri e illogici algoritmi, si rischia seriamente di non essere presi sul serio. E, francamente, dopo la recente, patetica e propagandistica scenetta da cabaret recitata dal Premier inerente il disegno di legge sulla scuola, verrebbe voglia di glissare. Ovviamente, la cultura è uno strumento centrale per la formazione della coscienza critica di un popolo. Tuttavia, non possiamo proprio accogliere lezioni sulla cultura da parte di chi, tra i suoi più fedeli seguaci, annovera “luminari” che, convintamente, si rendono protagonisti di affermazioni di tal fatta:
“La cultura umanistica ha fatto il suo tempo. Deve diventare cool, figo, diventare matematici. Lo dico sempre ai miei bambini.”
(Davide Serra alla Leopolda. Consulente, finanziere-finanziatore e grande sponsor di Renzi)
Beh, poveri figlioli. Diciamo questo, sia ben chiaro, lungi dal voler in qualche modo osteggiare o sminuire una nobile scienza qual è la matematica, non è evidentemente questo il punto.
Potremmo poi aggiungere le altrettanto recenti proposte del Ministro dell’Istruzione spagnolo José Ignacio Wert, intese a sostituire la filosofia con l’educazione finanziaria, e potremmo andare avanti con altre amenità del genere, ma è meglio risparmiarsi ulteriori mal di pancia. Il problema è serio e riguarda la visione – o la sua totale mancanza – della società e dell’uomo prossimi venturi. L’intento di chi ci governa (o meglio, di chi governa sostanzialmente chi ci governa formalmente) è chiaro: ci vogliono impoverire, svuotare, fiaccare, far regredire, culturalmente ancor prima che economicamente. Vogliono mercificare l’uomo stesso, vogliono renderlo incapace di pensare e di chiedersi il senso del dover vivere una vita col solo scopo di produrre e di essere competitivi, questi i mantra del nostro tempo, togliendogli la capacità di domandarsi se vi sia qualcosa di più elevato per cui spendere quella stessa vita, trasformata ormai in un insignificante fattore contabile.
Ora, le nostre istituzioni, il mondo socio-economico di cui siamo parte e che ci costringe entro le sue ferree regole, finanche le nostre abitudini quotidiane non sono altro che il portato, spesso inconsapevole, di un sostrato culturale e valoriale sedimentatosi in noi senza che neanche ce ne accorgessimo. La cultura è un’entità dinamica, una creazione che presuppone un demiurgo, un artefice, una mente creatrice, essa è un costrutto che plasma le nostre vite, forgia come un fiume carsico le nostre menti, indirizza i nostri comportamenti e influenza le nostre scelte.
Il nostro Paese, dovrebbe essere superfluo ricordarlo, ne è storicamente la patria; un calderone ribollente e splendidamente illuminato dalla sacra fiamma dell’arte, della letteratura, dell’architettura, del teatro, della musica, di tutto ciò che di più nobile l’intelletto umano sia stato in grado di produrre nel corso dei secoli. Ma chiediamoci cos’è che è stato prodotto: pensiero, visione, uomini e società nuove, alternative valoriali ed esistenziali. Eppure, nonostante si sia stati in grado, come popolo e nazione, di essere l’avanguardia culturale dell’umanità, oggi ripudiamo inspiegabilmente ciò che siamo stati, dimenticando quelle energie vitali e creatrici che ci hanno fatto grandi. E ci prostriamo senza motivo a modelli altri, estranei a noi stessi, al nostro spirito, insultando il nostro passato, infangando la nostra dignità.
Orbene, coloro che si autodenigrano non ci servono, come non ci servono coloro che vendono se stessi e la propria storia. Il Paese ha bisogno di una nuova avanguardia storica, un’avanguardia demiurgica, che sia portatrice di una cultura rinnovata, di una coscienza vivificata. Idee, stimoli, visioni alternative, necessariamente radicali, che possano declinare in maniera completamente antitetica a quelle attuali le strutture della società, dell’economia, dell’universo uomo nel complesso.
Continuare a considerare la cultura come l’ultima delle risorse e la politica come un male da estirpare lasciando le nostre coscienze e le nostre vite alla mercé di una logica antinaturalistica che potremmo definire da codice binario o da partita doppia, così da annientare la possibilità di dotarsi di quegli strumenti creativi che soli possono garantire il vero progresso di un paese e di un popolo, significa condannare entrambi al declino, all’inconsapevolezza, alla passività di un’esistenza eterodiretta da chi ti dice “tu devi”. Relegare le capacità trasformative della politica, della cultura e del pensiero critico a ultime ruote del carro – perché questo, come detto, è il vero obiettivo che da anni si persegue – significa condannare un popolo alla schiavitù (che vuol dire appunto accettare acriticamente e senza reagire qualsiasi cosa gli venga imposta).
E allora dobbiamo tornare a combattere aspramente, a coltivare sentimenti e passioni che scuotano gli animi e li risveglino da questo asfissiante coma artificiale, ribellandoci all’annichilimento del pensiero, rifiutando le logiche meramente utilitaristiche ed economicistiche che ci stanno uccidendo, sia materialmente che spiritualmente.
Dobbiamo tornare alla politica e difendere la cultura per tornare ad essere uomini.
Dobbiamo farlo per tornare ad essere Popolo e Nazione.
Dobbiamo farlo per tornare ad essere liberi.
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