I G7 e l'autismo occidentale
Si è conclusa agli inizi di giugno la prima riunione 2015 del Gruppo dei Sette, il vertice delle nazioni più industrializzate: Stati Uniti, Giappone, Germania, Francia, Regno Unito, Italia, Canada (più Commissione Europea e FMI). Il G7 è tornato a essere tale dopo che l’allargamento alla Russia, in vigore dal 1998, è stato sospeso a seguito della politica putiniana che mira a “ricreare i fasti dell’impero sovietico”, secondo le parole di Obama alla conferenza di chiusura. Sentire il Presidente degli stati Uniti accusare altri paesi di imperialismo ha sempre un effetto straniante, il proverbiale bue che dice cornuto all’asino, ma così devono stare le cose se a dirle è un Nobel per la pace.
L’assenza di Russia e Cina la dice lunga sulla sostanziale autoreferenzialità del vertice.
Brian McDonald, un giornalista irlandese che scrive per diverse testate, ha osservato su RT – Russia Today, che se la partecipazione al vertice fosse legata al PIL espresso a parità di potere d’acquisto della popolazione, la composizione sarebbe ben diversa: Stati Uniti, Cina, India, Giappone, Russia, Germania e Brasile. I paesi membri conterebbero per il 53% della ricchezza mondiale, anziché per il 32% attuale, e le tre superpotenze militari vi sarebbero rappresentate.
Ma in questo caso Washington avrebbe il problema di doversi confrontare sui reali problemi mondiali con interlocutori meno compiacenti.
Molto più comoda la situazione attuale, dove invece partecipano unicamente paesi allineati al verbo americano, alcuni dei quali, per di più – come Canada, Italia o la stessa Francia – di relativamente modesto peso politico ed economico. Qui il consenso è assicurato e il Presidente degli Stati Uniti può serenamente denunciare l’imperialismo altrui senza dover arrossire o preoccuparsi di rispondere a eventuali obiezioni.
In cambio, gli altri partecipanti godono di una vetrina espositiva di prim’ordine e per un paio di giorni possono contare sull’accondiscendenza del giornalismo accreditato per avere e dare l’illusione che il loro apporto sia fondamentale.
Ecco una delle immagini circolate da noi:
Ed ecco il contesto in cui è stata scattata:
Durante il vertice si è fatto un gran parlare di aggressione russa e inasprimento delle sanzioni per obbligare Putin a desistere dalla sua deplorevole condotta. Nota Brian McDonald: non è venuto in mente a quei signori che affrontare il problema direttamente con l’interessato, anziché escluderlo dalla discussione, sarebbe un metodo più efficace e razionale? Certo, lo svantaggio è quello di doversi confrontare con le altrui ragioni, una sgradevole situazione inedita per chi preferisce trascurare la complessità del reale. Forse il vertice avrebbe avuto un esito altrettanto anodino, ma almeno non si sarebbe risolto nell’ennesima celebrazione dell’autismo geopolitico di cui soffre il blocco occidentale.
Ciò che ha spiegato Putin nell’intervista al Corriere della Sera, alla vigilia della sua visita in Italia, si sarebbe allora potuto ascoltare e discutere in modo certamente più profittevole, fra una passerella e l’altra, durante la due-giorni bavarese:
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“[…] La Russia non parla in tono conflittuale con nessuno e in queste questioni, come diceva Otto von Bismarck, “non sono importanti i discorsi, ma il potenziale”. Cosa dicono i potenziali reali? Le spese militari degli Stati Uniti sono superiori alle spese militari di tutti i Paesi del mondo messi insieme. Quelle complessive della Nato sono 10 volte superiori a quelle della Federazione Russa. La Russia praticamente non ha più basi militari all’estero. La nostra politica non ha un carattere globale, offensivo o aggressivo. Pubblicate sul vostro giornale la mappa del mondo, indicando tutte le basi militari americane e vedrete la differenza.
[…] Vicino alle coste della Norvegia ci sono i sommergibili americani in servizio permanente. Il tempo che ci mette un missile a raggiungere Mosca da questi sottomarini è di 17 minuti. E volete dire che ci comportiamo in modo aggressivo? Lei ha menzionato l’allargamento della Nato a Est. Ma noi non ci muoviamo da nessuna parte, è l’infrastruttura della Nato che si avvicina alle nostre frontiere.
[…] Infine gli Stati Uniti sono unilateralmente usciti dall’Accordo sulla difesa antimissile, l’Abm, la pietra angolare su cui si basava gran parte del sistema di sicurezza internazionale. Un’altra prova della nostra aggressività?
Tutto quello che noi facciamo è semplicemente rispondere alle minacce nei nostri confronti. E lo facciamo in misura limitata, ma tale da garantire la sicurezza della Russia. O qualcuno forse si aspettava un nostro disarmo unilaterale? Un tempo avevo proposto ai nostri partner americani di costruirlo insieme in tre il sistema di difesa anti-missile: Russia, Stati Uniti, Europa. Questa proposta è stata rifiutata.
[…] Solo una persona non sana di mente o in sogno può immaginare che la Russia possa un giorno attaccare la Nato. […] Forse qualcuno può essere interessato ad alimentare queste paure. […] Ad esempio gli americani non vogliono tanto il ravvicinamento tra la Russia e l’Europa. Non lo affermo, lo dico solo come ipotesi: supponiamo che gli USA vogliano mantenere la propria leadership nella comunità atlantica; hanno bisogno di una minaccia esterna, di un nemico per garantirla. E l’Iran chiaramente non è una minaccia in grado di intimidire abbastanza. Con chi mettere paura? Improvvisamente sopraggiunge la crisi ucraina. La Russia è costretta a reagire. Forse tutto è fatto apposta, non lo so. Ma non siamo noi a farlo. Voglio dirvi: non bisogna aver paura della Russia. Il mondo è talmente cambiato, che oggi le persone ragionevoli non possono immaginare un conflitto militare su scala così vasta.
Noi abbiamo altre cose da fare, ve lo posso assicurare.
[…] Ora bisogna cominciare a realizzare gli accordi di Minsk. Concretamente, bisogna fare una riforma costituzionale garantendo i diritti d’autonomia ai rispettivi territori delle Repubbliche non riconosciute. Poi bisogna votare una legge per le elezioni municipali e una per l’amnistia. E tutto questo, com’è scritto negli accordi, in coordinazione con la Repubblica Popolare di Donetsk e di Lugansk. Il problema è che le autorità di Kiev non vogliono nemmeno sedersi allo stesso tavolo negoziale con loro. E su questo non abbiamo influenza, solo i nostri partner europei e americani ce l’hanno“.
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Obama invece dalla Baviera ha parlato di “forte consenso sul fatto che dobbiamo continuare a spingere e fare pressione sulla Russia perché si attenga agli accordi di Minsk”, ed evocato ulteriori passi “che dovremmo intraprendere se la Russia dovesse rafforzare la sua aggressione”,
Non un dialogo a distanza. Un dialogo fra sordi.
MAURO POGGI (ARS Liguria)
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