L'impero mancato
Nel 1976 i capi di governo e i ministri dell’economia dei sette paesi (USA, Canada, Giappone, Germania, Inghilterra, Francia, Italia) considerati allora i più ricchi del mondo, costituirono il G7. Finora i paesi partecipanti al Gruppo hanno finto di avere pari dignità e di voler fare, più o meno, gli interessi di tutti; ma in realtà hanno svolto il compito di adattare le loro politiche economiche agli interessi degli Stati Uniti d’America. Questa finzione è stata chiamata Occidente ma, tolta la maschera, non è altro che l’estensione della dottrina Adams-Monroe che, nel 1823, proclamò il principio secondo cui gli Stati Uniti hanno il diritto di esercitare la sovranità sull’intero emisfero occidentale. Nell’attuale fase storica, l’Occidente si estende dagli Stati Uniti e dall’Inghilterra fino all’enclave israeliana; e sembra – o ambisce a – comprendere quasi tutti i paesi più industrializzati d’Europa e d’Asia. Il vero volto di questo concetto ideologico è il mondo dominato dai mercati e dalla macchina bellica statunitense. Le sue oligarchie alimentano e diffondono, tramite i megamedia, la confusione tra Occidente ed Europa continentale, la quale viene concepita come facente parte di un’unica civiltà nord-atlantica. Questa visione respinge la Russia, i paesi arabi, l’Iran come realtà irriducibilmente “extra-occidentali”, con le quali lo “scontro di civiltà” sarebbe inevitabile, perché osano ignorare e ledere i diritti “umani” che la “civiltà occidentale” predica dal pulpito di una schiacciante supremazia economica sul resto del mondo. In realtà il vero scontro mortale è tra il Settentrione atlantico e l’Europa, la quale, travolta dal totalitarismo liberista e dal culto della rendita a qualunque costo, rischia di precipitare in una barbarie simile a quelle sperimentate in altre epoche buie della sua storia. Per il momento osserviamo che gli Stati schiacciati nella morsa dell’Unione europea, appendice politica economica e commerciale trans-atlantica, hanno scelto di schierarsi con le politiche statunitensi e non osano liberarsi dalla prepotenza globale finanziaria. Certo non è “impresa da pigliare a gabbo” e per tentarla servirebbe che gli Stati riscoprissero quei caratteri tanto invisi all’egemonia “occidentale”: dimensione e importanza geo-politica, peso demografico, esercito di popolo, ricerca scientifica, sviluppo tecnologico, prestigio culturale, robusto ordinamento costituzionale e volontà di difendersi, in breve la sovranità.
Ad ogni modo viene il sospetto che “Occidente”, sotto la vernice di civiltà più evoluta, sia il nome che gli anglo-americani danno a una realtà immaginata e desiderata, a cui vogliono credere per forza di cieca fede, cioè l’Impero: il sogno epocale che l’Inghilterra nei secoli scorsi e gli Stati Uniti nel presente tentano storicamente di realizzare senza riuscirci nonostante gli sforzi imitativi. Nel corso di questi anni, infatti, i sostenitori della politica di Washington hanno fatto frequente ricorso all’analogia tra l’Impero Romano e l’egemonia americana, equiparandoli. Ma l’accostamento appare azzardato e impraticabile perfino come ipotesi approssimativa, e non solo per l’abisso di secoli che separa le due compagini, ma anche per i caratteri opposti che le segnano. A meno che non si voglia distorcere le due storie, l’equiparazione appare infondata per almeno tre motivi. Innanzitutto, l’Impero Romano si autoconcepì come ecumene territoriale e i suoi interessi erano localizzati; mentre l’egemonia americana è connessa a logiche e visioni oceaniche e i suoi interessi sono deterritorializzati. Inoltre, l’Impero tendeva all’autosufficienza, mentre la talassocrazia statunitense impone l’interdipendenza economica e finanziaria. Infine, l’universalismo romano era per l’appunto imperiale e non globale, manteneva infatti e proteggeva le varie e differenti forme giuridiche e culture locali nell’ambito di uno spazio disomogeneo. Al contrario, gli USA tendono a un governo mondiale (one world order), uniformando, omologando, livellando, appiattendo, massificando, cioè distruggendo i caratteri culturali dei popoli e delle diverse comunità.
Gli anglo-americani, teorizzando un’analogia tra la loro “geopolitica del caos” e il principio del “divide et impera” dell’Impero, sembrano ignorare che Roma applicava questo principio per integrare le singole componenti in uno spazio da abitare, unico e continuo per insediarsi, contrapposto agli oceani e ai deserti, in cui contenere tensioni locali per il bene supremo della comune casa imperiale. L’egemonia americana invece alimenta artificialmente le divisioni e le rivalità endogene, manipolando le identità etniche, razziali, linguistiche e religiose per frammentare spazi geopolitici, depredare risorse, assoggettare o esodare popolazioni. Roma integrava i popoli in un cosmos; gli USA frantumano gli stati in un caos, permanente e per puro dominio. L’Impero Romano era le sue nazioni, il civis, lo spazio politico; l’egemonia statunitense è l’individuo sradicato, il consumatore, lo spazio economico illimitato e l’etere finanziario incontrollato.
Da parecchi decenni il mondo accademico americano rincorre l’enigma della formazione dell’Impero Romano, della sua durata plurisecolare e della sua influenza culturale proiettatasi nelle età successive fino ai giorni nostri. Nel frattempo, del sogno se n’è impadronita anche l’industria dello spettacolo che ha prodotto qualche opera ollivudiana di piacevole intrattenimento per le masse. Ma ad impedire una completa comprensione del fenomeno imperiale sta probabilmente l’erronea convinzione che il fondamento dell’Impero stesse esclusivamente nelle legioni. Ma sulle sole armi o sul solo denaro, o sul solo commercio o sulla sola estensione, non si fondano gli imperi. Alla base dell’Impero Romano c’erano le idee rivoluzionarie di res pubblica, jus, lex, civitas, estranee ai regni faraonici, agli antichi principati orientali e perfino alle poleis greche. Come estranee o inapplicate lo sono per le caduche talassocrazie della storia moderna e contemporanea. La cittadinanza romana fu estesa a tutte le genti e a tutti i popoli che risiedevano entro i confini dell’impero e nella lingua latina non esiste un termine che indica il concetto di razza. Dopo la prima dinastia, la giulio-claudia, gli imperatori romani furono di origine illirica, ispanica, dacia, dalmata, africana, siriaca; mentre a capo dell’“impero” inglese non s’è mai visto nessun australiano, indiano o canadese. E oggidì, a fondamento della talassocrazia statunitense non si riesce a scorgere altro che dollari, portaerei e cacciabombardieri, e l’ambigua ideologia dei diritti “civili” individuali moltiplicabili ad infinitum.
Inoltre un impero, laddove arriva a estendersi, impone una sua pax e una pax americana non è mai esistita. Da parte degli Stati Uniti, laddove arrivano, immediata è la messa in atto della destabilizzazione o balcanizzazione del paese. Anche l’Italia ne fece esperienza quando, nel dopoguerra, gli americani progettarono e tentarono la secessione della Sicilia per costituirla 49esimo stato a stelle e strisce. Nei successivi 70 anni hanno continuato a frantumare stati in Asia e in Africa, accecati dall’idea di esportare la democrazia con bombardamenti eufemisticamente definiti assistenza democratica o supporto alla società civile. L’impero compone e unifica; l’egemonia frantuma e sbriciola (Jugoslavia, Irak, Libia, Siria, Ucraina). Con questi metodi non si fondano imperi, ma al massimo egemonie destinate a sciogliersi nel giro di qualche secolo. Insomma non c’è un impero, perché un impero o è continentale o non è. Non sono esistiti imperi “marittimi”, ma talassocrazie la cui durata è stata effimera se rapportata alla plurisecolare storia dei veri imperi, quello romano e quello cinese. Così è stato per l’egemonia” inglese, così sarà per quella statunitense il cui pluridecennale tentativo di fondare un impero si scontra con la sistematica autointroiezione di massicce dosi di violenza e brutalità militari. Per un breve periodo, gli USA hanno intravisto nel crollo del Muro l’occasione storica e politica di estendere una stabile egemonia su scala mondiale, di fondare l’impero globale nella pura logica dell’occupazione e del controllo, sulla base di una costosa struttura sinergica di forze finanziarie, militari e tecnologiche. Se questi soltanto sono i sistemi e i metodi, l’impero resterà un malefico sogno irrealizzato nelle menti criminali del gruppo neocon che in questi anni influenza pesantemente la politica estera americana, democratico o repubblicano che sia il presidente di turno.
http://www.ildiscrimine.com/obama-ilg7-e-la-dittatura-americana-sulleuropa/
http://forum.termometropolitico.it/599278-Schmitt, geopolitica, imperialismo e impero
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