Per una nuova coscienza di classe
Di Nicola Di Cesare – Ars Cagliari
Negli ultimi due anni, nei paesi appartenenti all’Eurozona, si è sviluppato un dibattito tecnico tra gli addetti ai lavori che ha fatto luce su cosa sia la moneta unica e sulle sue implicazioni in termini di economie nazionali; la persistenza dei suoi effetti negativi sulla qualità della vita dei cittadini del Sud Europa (ma non solo) ha reso evidente quanto le analisi antieuro andavano predicando da decenni: l’Euro, diretta emanazione e braccio operativo dell’architerttura istituzionale dell’Unione Europea, è nato per consentire alla finanza privata di impadronirsi delle prerogative economiche degli stati nazionali in termini di credito, beni e servizi pubblici.
Il golpe bianco, raggiunto il suo scopo, ha tuttavia prodotto delle scorie impreviste; i suoi effetti collaterali hanno esondato dalla sfera economica per riversarsi inopinatamente sul terreno sociale e politico e sono divenuti ormai incontrollabili. L’Euro ha cancellato dallo scenario macroeconomico un’intera classe sociale, quella classe media sulla quale tutto l’impianto dell’economia dei consumi ha, dai tempi del New deal di Rooseveltiana memoria ad oggi, regolato le dinamiche di crescita delle democrazie occidentali.
Questo fenomeno si è incrociato con la dispersione delle prerogative dell’ ex classe operaia, dissolte dalla rapida forzata modificazione dei modelli di produzione, nel passaggio dalla prevalenza del sistema Denaro-Merce-Denaro al sistema speculativo Denaro-Denaro privo di creazione reale; è così che la scomparsa della classe media ha di fatto proiettato su un terreno sconosciuto una consistente fetta di popolazione le cui aspettative e le aspirazioni si saldano a quelle del modificato salariato operaio, andando a formare un unico corpo sociale di gran lunga maggioritario ma privo di identità e coscienza di classe e dunque di rappresentanza.
Come è noto, la sociologia individua le classi sociali in termini di gruppi definendoli come insiemi di persone che interagiscono gli uni con gli altri, in modo ordinato, sulla base di aspettative condivise riguardanti il rispettivo comportamento; ciò che si osserva di interessante oggi è quindi la ricerca di un riposizionamento di classe di questa neonata pangea, ancora non pienamente consapevole del proprio ruolo, che si muove alla ricerca di nuove forme di rappresentanza politica; un processo lento ma dalle risultanze inevitabili, anche per i depistatori-costruttori di opinione del regime.
In attesa che il fenomeno dispieghi i propri effetti, gli unici davvero coscienti della sua evoluzione sono i socioanalisti del capitale transnazionale, i quali hanno da tempo messo in moto meccanismi di destrutturazione democratica atti a impedire alla neo classe mediana di farsi portatrice di istanze maggioritarie, le quali inevitabilmente bloccherebbero il disegno espropriativo autocratico architettato per il tramite della maschera paternalista dell’Unione Europea. La strategia messa in atto da costoro consiste nel forzare la dissociazione tra realtà economica individuale e identità sociale attraverso la martellante propaganda in favore di modelli di consumo, desiderati ma ai più inarrivabili, verso i quali si devono proiettare le masse inconsapevoli in una sorta di ipnosi culturale.
Una rinnovata coscienza di una classe sociale, che nei paesi occidentali è ormai allargata statisticamente al 92% della popolazione, non può che partire dalla disvelazione delle menzogne veicolate dalla stampa del mainstream, operazione assai improbabile in assenza di una forza politica capace di anticiparne le istanze. L’astigmatismo nella percezione del posizionamento sociale colpisce inevitabilmente anche gli agenti economici produttivi i quali, ipnotizzati anch’essi da fuorvianti modelli di consumo, tendono a identificarsi con politiche di sostegno alla finanza che ledono inevitabilmente i loro interessi.
L’indimenticato Nando Ioppolo, nell’interpretare magistralmente il fenomeno di scivolamento verso la povertà della classe media affermava: “Occorre completare la rivoluzione borghese; occorre che gli intellettuali organici della borghesia mercantile e della piccola e media impresa prendano coscienza del loro ruolo e si diano da fare per completare la rivoluzione cominciata duecentocinquanta anni fa; devono riuscire a mettere le redini all’aristocrazia creditizia e finanziaria”.
Appare chiaro che tutto ciò sia impossibile senza una strategia di rottura dell’egemonia culturale delle classi dominanti appartenenti alla speculazione finanziaria criminale, ormai disgiunta dal liberismo classico dell’ homo faber, storicamente legato ai sillogismi culturali derivanti dal suo modello interpretativo dell’economia reale nel quale prevaleva l’autopoiesi del rapporto capitale-lavoro.
Al fine di riportare la politica sul sentiero dell’interesse collettivo, lo stesso Ioppolo, pur riferendosi alla sola borghesia come possibile veicolo del cambio di passo culturale, proponeva le soluzioni che ARS sta veicolando da tempo con le sue posizioni ufficiali, di cui l’urgenza del ripristino della piena sovranità costituzionale e la necessità di riposizionamento strategico in mani pubbliche delle funzioni primarie di politica economica quali la creazione della moneta, la proprietà, il controllo e la statuizione dei parametri del credito, uniti alle misure di repressione finanziaria ai fini del governo dei flussi economici reali e finanziari interni e transnazionali.
Commenti recenti