Quando essere povero diventa una colpa
di CRISTIANO PUGLISI (L’intellettuale dissidente)
Non a torto, in una recente intervista, lo storico Franco Cardini affermava che “l’Occidente non è più cristiano perché i suoi obiettivi civili e morali non coincidono più col cristianesimo altrimenti non ci sarebbe questa enorme differenza tra ricchi e poveri”. Del resto non si può non notare come uno dei mantra più ricorrenti dell’Italia politica contemporanea sia lo slogan: “basta assistenzialismo”.
Lo è a tal punto che le azioni che vengono messe in campo dalla politica in ambito sociale, vengono attuate chiarendo subito che “non si tratta di misure assistenzialiste”. E così, in scala maggiore, anche l’Unione Europea, che ha prontamente ammonito il governo italiano da qualsiasi intervento a sostegno dei piccoli istituti di credito in difficoltà perché “gli aiuti di Stato sono vietati”. Quasi che assistere il prossimo, chi è in difficoltà, sia una colpa da espiare, una vergogna da coprire.
E’ forse questo il segnale di quanto in profondità sia penetrata la cultura protestante-calvinista di marca angloamericana nella società italiana e più in generale europea. Il bombardamento socioculturale di prodotti e sottoprodotti dell’americanismo, televisivi, letterari e commerciali, è riuscito a sradicare quella caritas cristiana che è invece una delle virtù teologali per il cattolicesimo.
Questo avviene proprio mentre la crisi sistemica dell’economia occidentale avanza inesorabile. O, meglio, mentre inesorabilmente avanza la crisi del ceto medio occidentale e quindi il numero dei poveri aumenta quotidianamente, la pietà si ritrae, si riduce. In tutto il Paese cresce il numero dei senzatetto, degli assistiti dai servizi sociali.
Secondo l’Istat a dicembre 2015 sono circa 55 mila i senzatetto italiani, di cui oltre 30 mila sono “cronici”, cioè vivono in queste condizioni da oltre quattro anni. Soltanto dodici mesi prima, i senza dimora italiani erano 47mila. Eppure le classi dirigenti invitano sempre di più a ridurre, più che a estendere, il ruolo degli aiuti pubblici a chi vive in condizioni di fragilità. Fragilità che la società europea investita dal protestantesimo capitalista non tollera, ma condanna senza appello.
Il povero, come spiegato anche da Max Weber nella sua magistrale ed eterna opera prima, nel mondo protestante è colpevole intrinsecamente perché privo della grazia di Dio. La povertà, elemento fondante del cattolicesimo in epoca medioevale come viatico verso le sfere celesti nella vita ultraterrena, è per il protestante sintomo di un peccato da espiare. Allo stesso modo si inverte il primato assegnato dal cattolicesimo alla vita contemplativa che, in ambito protestante, è sottoposta invece alla vita attiva, vera testimonianza della grazia celeste.
La ricchezza, come la povertà, sono quindi un segno della grazia divina o viceversa della sua assenza. Parte di questa visione è, sempre tenendo a riferimento il Weber, il principio di austerità. Chi pretende di vivere “al di sopra delle proprie possibilità”, deve essere punito poiché è un “irresponsabile” che pretende di vivere al di sopra di quanto la Dio gli ha concesso. Fornire assistenza a chi è lontano dalla luce del Signore è un errore da non commettere. Un modello che vale per i poveri come, nel caso dell’Unione europea a trazione protestante, per i Paesi debitori che, guarda caso, sono proprio quelli più spesso definiti “assistenzialisti” o, spregiativamente, “PIIGS”: Grecia, Italia, Spagna, Portogallo e Irlanda.
Paesi ortodossi o cattolici che quindi non hanno fino a oggi subito l’influenza culturale della “responsabile” etica calvinista. Fino ad oggi appunto, perché basta dare uno sguardo alla società italiana ed europea di questi tempi per rendersi conto di quanto questi concetti siano stati interiorizzati. Giova in tal senso ricordare l’affermazione dell’ex ministro “democratico” all’Economia, Tommaso Padoa Schioppa, che affermò la necessità di alleggerire le tutele sociali per ricondurre il popolo italiano a contatto con “la durezza del vivere”.
Perché non si ha tempo per la carità verso i poveri nell’era della globalizzazione, dell’americanismo esteso su scala globale. Già nei film statunitensi, che non uno scarso ruolo hanno avuto in questa inversione di coscienza, raramente si assiste a un dialogo che si svolga tra due soggetti in forma statica. Nelle pellicole americane le persone parlano camminando, in movimento. E’ il sintomo della società liberista, che corre e lavora e non ha tempo per fermarsi per scambiare due chiacchiere, per riflettere, per conoscere. Figuriamoci se questa società può sprecare il proprio tempo per chi ha non già la sfortuna, ma la colpa di essere rimasto indietro.
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