La "modernizzazione" presto diventerà solo una parolaccia
di Massimo Fini
fonte massimofini
In un editoriale sul Corriere della Sera Angelo Panebianco scrive che la sinistra accusa la destra «poco moderna». La destra fa lo stesso con la sinistra. Anche Fini dichiara di lavorare «per una destra moderna». E così via. Insomma, dice Panebianco, tutti vogliono attribuirsi «l’ambito trofeo della modernità».
E, questo lo dico io, sono in prospettiva in totale controtempo. La Modernità, che nasce con la Rivoluzione industriale, è infatti vecchia di due secoli e mezzo, secoli che hanno marciato a velocità vertiginosa. Non è più affatto moderna. O, per essere più precisi, non è più attuale. È ovvio che liberalismo e marxismo nelle loro varie declinazioni, destra e sinistra, non possano mettere in discussione la Modernità, anzi se la contendano come vanto, perché dalla Modernità sono nate, in essa sono cresciute e si sono affermate.
In fondo destra e sinistra non sono che due facce della stessa medaglia. Figlie della Rivoluzione industriale sono entrambe illuministe, positiviste, ottimiste, materialiste, economiciste, entrambe hanno il mito del lavoro (per Marx è X «l’essenza del valore», per i liberal-liberisti è esattamente quel fattore che, combinandosi col capitale, dà il famoso «plusvalore») e ritengono che industria e tecnologia produrranno una tale cornucopia di beni da rendere felici tutti gli uomini (Marx) o, più realisticamente per i liberal-liberisti, la maggioranza di essi. Questa utopia bifronte ha fallito. Innanzitutto sul piano esistenziale. In Europa i suicidi sono passati da 2,6 per 100mila abitanti del 1650 (epoca preindustriale) ai 6,9 del 1850 per arrivare oggi al 20 per 100mila abitanti. Decuplicati. Nevrosi e depressione sono malattie della Modernità. Negli Stati Uniti 592 americani su mille fanno uso abituale di psicofarmaci, il che vuol dire che nel Paese più ricco e potente del mondo più di un abitante su due non sta bene nella pelle in cui vive.
L’alcolismo di massa nasce con la Rivoluzione industriale, il sempre crescente fenomeno della droga è sotto gli occhi di tutti.
Ma la Modernità sta fallendo anche sul cavallo su cui aveva puntato tutto: l’economia. La globalizzazione, partita anche’essa con la Rivoluzione industriale e giunta a piena maturazione in questi ultimi decenni con l’acquisizione al modello di sviluppo industriale di pressoché tutti i Paesi del mondo (quelli che non ci stanno li bombardiamo), ha creato un’integrazione tale che basta che un qualsiasi punto del sistema ceda per mettere a rischio tutto il resto. Se crolla la Grecia crolla l’Unione Europea e, di lì a poco, crolla l’intera economia mondiale. Non solo. La Globalizzazione, che è, in estrema sintesi, una spietata competizione fra Stati, passa per il massacro delle popolazioni del Primo e del Terzo Mondo. Per restare a galla saremo tutti costretti a lavorare di più, a una velocità sempre crescente, accumulando così altro stress, disagio, angoscia, nevrosi, depressione, anomia. E se anche, a questi prezzi, un Paese si salva, ciò vorrà dire che altri precipiteranno nel baratro. Si creerà un gruppo minoritario di Paesi ricchissimi, ma con al loro interno drammatiche sperequazioni, come già oggi negli Stati Uniti, circondato da un mare di miseria. E il mare di miseria, alla fine, travolgerà tutto.
Fra vent’anni, se l’attuale modello di sviluppo non sarà già imploso, «modernizzazione» sarà una parolaccia. Ma destra e sinistra, troppo interne al meccanismo che le ha espresse, non sono in grado di capirlo.
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