Ridestare la coscienza della nazionalità condensata nella Costituzione*
di STEFANO D’ANDREA
Pasquale Stanislao Mancini è stato il più grande teorico italiano della nazionalità, almeno a detta di Chabod del quale bisogna che umilmente ci fidiamo. La teoria italiana della nazionalità, una teoria fondata sulla “coscienza”, la “volontà”, le “istituzioni”, dunque una teoria assolutamente non etnica, che preme sull’elemento volontario, sulla coscienza, la volontà , le istituzioni e lo Stato, dunque una teoria avvincente, è stata concepita ed elaborata da un campano (era nato a Castel Baronia-Ariano Irpino e si era laureato a Napoli) al tempo di Ferdinando II.
Il 22 gennaio 1851, Mancini svolse a Torino, dove era esule dal 1849, la prolusione al corso di diritto internazionale, intitolata Della Nazionalità come fondamento del diritto delle genti. Mancini sta parlando degli elementi etnici o materiali della nazionalità.
“…Questi elementi sono come inerte materia capace di vivere, ma in cui non fu spirato ancora il soffio della vita. Or questo spirito vitale, questo divino compimento dell’essere di una Nazione, questo principio della sua visibile esistenza, in che mai consiste? Esso è la Coscienza della Nazionalità, il sentimento che ella acquista di se medesima e che la rende capace di costituirsi al di dentro e manifestarsi al di fuori. Moltiplicate quanto volete i punti di contatto materiale ed esteriore in mezzo ad una aggregazione di uomini: questi non formeranno mai una Nazione senza la unità morale di un pensiero comune, di un’idea predominante che fa una società quel ch’essa è, perché in essa viene realizzata… Nulla è piu’ certo dell’esistenza di questo elemento spirituale animatore della Nazionalità; nulla è più occulto e misterioso della sua origine e delle leggi cui obbedisce. Prima che esso si svolga, una Nazionalità non può dirsi esistente: con lui la Nazionalità sembra estinguersi e trasformarsi per rinascere a nuova vita: altra volta col solo oscurarsi ed assopirsi di quel sentimento cade una Nazione nell’avvilimento e nella straniera soggezione, e traversa un periodo di dolori e di vergogne, senza coscienza né desiderio de’suoi diritti: ma più tardi, e talora dopo una lunga notte di secoli, un debole raggio di luce torna a splendere sull’anima di quel popolo, comincia di nuovo a sprigionarsi dal fango della servitu’ quel divino senso che aveva sonnecchiato per tante età, e non di rado ripigliando lena si desta più forte, ed impaziente di ostacoli infrange le catene degli oppressori, e fatta risorgere la Nazione dal funebre lenzuolo in cui giacevasi avvolta, la riconduce radiante di vita e di maestà sulla scena del mondo”.
Segnalo una voce dedicata a questo grande italiano: http://www.treccani.it/enciclopedia/pasquale-stanislao-mancini_%28Il-Contributo-italiano-alla-storia-del-Pensiero:-Diritto%29/
* Articolo pubblicato su Appello al Popolo il 10 gennaio 2014
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