Come la cattiva biologia sta uccidendo l’economia
L’eminente primatologo Frans B. M. de Waal illustra la fallacia del considerare l’egoismo come il primo motore delle scelte umane, come postulato dalle teorie economiche neoliberiste. – È sufficiente una semplice riflessione per comprendere l’inconsistenza logica del privilegiare l’egoismo e la competitività contro l’altruismo. Riportati alla loro forma semplice, la competitività e l’altruismo sono repulsione ed attrazione. A un primo sguardo esse sembrano indipendenti, sembra addirittura che possa esserci una repulsione assoluta. Tuttavia si può respingere soltanto ciò con cui si ha una relazione; poiché la relazione è la rinuncia degli indipendenti all’indipendenza, cioè appunto l’attrazione, la conclusione è che repulsione e attrazione hanno significato soltanto nel rapporto reciproco – nel nostro contesto: che la competitività è sempre legata all’altruismo e l’altruismo alla competitività. L’ideologia neoliberale non sfugge a questa necessità logica: nell’adorare l’idolo della competitività, presuppone falsamente l’inutilità delle frontiere, ossia un’umanità pacifica. Di fatto essa, come ha scritto Bagnai, trasforma la possibilità dello scontro esterno tra società, la possibilità della guerra, nella realtà dello scontro interno alla società, nella barbarie della guerra civile infinita.
(traduzione di EMILIO MARTINES – FSI Padova)
di FRANS DE WAAL
L’amministratore delegato di Enron – ora in carcere – ha applicato la logica ‘del gene egoista’ al suo capitale umano, creando così una profezia auto-avverantesi. Lavorando sotto l’ipotesi che la specie umana fosse guidata esclusivamente da avidità e paura, Jeffrey Skilling produsse dei dipendenti guidati proprio da queste motivazioni. Enron è implosa sotto il peso della meschinità delle proprie politiche, offrendo un’anteprima di quello che è in serbo per l’economia mondiale nel suo complesso.
Ammiratore dichiarato della visione dell’evoluzione incentrata sui geni proposta da Richard Dawkins, Skilling imitò la selezione naturale classificando i suoi dipendenti su una scala da uno a cinque, dal migliore (uno) al peggiore (cinque). Tutti quelli con un punteggio pari a cinque furono licenziati, ma non senza prima essere stati umiliati su un sito web in cui veniva mostrato il loro viso. Nell’ambito di questa cosiddetta politica del ‘Rank & Yank’, le persone si mostrarono perfettamente disposte ad accoltellarsi l’un l’altro alla gola, con un conseguente clima aziendale caratterizzato da spaventosa disonestà all’interno e spietato sfruttamento all’esterno dell’azienda.
Il problema fondamentale, però, era il punto di vista di Skilling sulla natura umana. Il libro della natura è come la Bibbia: tutti leggono in esso ciò che vogliono, dalla tolleranza all’intolleranza e dall’altruismo all’avidità. Ma è bene rendersi conto che, se i biologi non smettono mai di parlare di competizione, ciò non significa che essi la auspichino, e se chiamano i geni ‘egoisti’, questo non significa che i geni lo siano davvero. I geni non possono essere più ‘egoisti’ di quanto un fiume possa essere ‘arrabbiato’ o i raggi del sole ‘gentili’. I geni sono piccoli pezzi di DNA. Al massimo, essi sono auto-promuoventi, perché i geni di successo aiutano i loro vettori a diffondere più copie di se stessi.
Come tanti prima di lui, Skilling era caduto con tutte le scarpe nella metafora del gene egoista, credendo che se i nostri geni sono egoisti, allora dobbiamo essere egoisti anche noi. Egli può essere perdonato tuttavia, poiché, anche se non è questo che Dawkins intendeva, è difficile separare il mondo dei geni dal mondo della psicologia umana se si adopera una terminologia che deliberatamente li confonde.
Mantenere questi mondi separati è la sfida principale per chiunque sia interessato a ciò che l’evoluzione significa per la società. Poiché l’evoluzione avanza per eliminazione, essa è effettivamente un processo spietato. Tuttavia i suoi prodotti non devono necessariamente essere anch’essi spietati. Molti animali sopravvivono per mezzo di un comportamento sociale e facendo gruppo, il che implica che non seguono alla lettera il principio del ‘diritto del più forte’: i forti hanno bisogno dei deboli. Ciò vale anche per la nostra specie, almeno se diamo agli esseri umani la possibilità di esprimere il loro lato cooperativo.
Proprio come Skilling, troppi economisti e politici ignorano e sopprimono questo lato. Essi modellano la società umana sulla base della lotta perpetua che credono esista in natura, che è in realtà soltanto una loro proiezione. Come prestigiatori, dapprima buttano i loro pregiudizi ideologici nel cappello a cilindro della natura, per poi tirarli fuori tirandoli per le loro stesse orecchie allo scopo di mostrare quanto la natura è in accordo con essi. E’ un trucco nel quale siamo caduti troppo a lungo. Ovviamente, la competizione è parte del quadro, ma l’uomo non può vivere di sola competizione.
Io guardo a questo problema come biologo e primatologo. Si potrebbe pensare che un biologo non debba ficcare il naso nel dibattito politico, ma dal momento che la biologia è già entrata in esso, è difficile restare in disparte. Gli amanti della libera concorrenza non riescono a resistere alla tentazione di invocare l’evoluzione. Questa parola è anche entrata nel famigerato ‘discorso dell’avidità’ di Gordon Gekko, lo speculatore interpretato da Michael Douglas nel film del 1987 Wall Street: “Il punto è, signore e signori, che l’avidità – non trovo una parola migliore – è valida. L’avidità è giusta. L’avidità funziona. L’avidità chiarifica, penetra e cattura l’essenza dello spirito evolutivo”.
Lo spirito evolutivo? Nelle scienze sociali, la natura umana è caratterizzata dal vecchio detto hobbesiano homo homini lupus ( ‘L’uomo è lupo per l’uomo’), una dichiarazione discutibile circa la nostra stessa specie, basata su falsi presupposti riguardo a un’altra specie. Un biologo che esplori l’interazione tra società e natura umana non fa nulla di nuovo. L’unica differenza è che, invece di cercare di giustificare una particolare struttura ideologica, il biologo ha un effettivo interesse per la questione di cosa sia la natura umana e da dove abbia origine. Lo spirito evolutivo è davvero completamente rappresentato dall’avidità, come sostiene Gekko, o c’è dell’altro?
Questa linea di pensiero non proviene solo da personaggi di fantasia. Ascoltate David Brooks che in un articolo del “New York Times” si prende gioco dei programmi governativi di assistenza sociale: “Il contenuto dei nostri geni, la natura dei nostri neuroni e le lezioni fornite dalla biologia evolutiva, hanno reso chiaro che la natura è piena di competizione e interessi in conflitto”. I conservatori amano credere ciò, ma l’ironia suprema di questa storia d’amore con l’evoluzione è quanto poco la maggior parte di essi ami tale fenomeno.
Nel dibattito presidenziale del 2008, non meno di tre candidati repubblicani hanno alzato la mano in risposta alla domanda: “Chi non crede nell’evoluzione?”. I conservatori statunitensi sono darwinisti sociali, piuttosto che veri e propri darwinisti. Il darwinismo sociale argomenta contro gli aiuti a malati e poveri, sulla base del fatto che la natura ha come obiettivo che essi sopravvivano basandosi sulle loro forze o periscano. Non importa che alcune persone non abbiano assicurazione sanitaria, così si sostiene, purché ce l’abbiano coloro che possono permetterselo. Il senatore Jon Kyl dell’Arizona ha fatto un passo in più – causando un clamore sui mezzi di comunicazione e proteste nel suo stesso stato – votando contro la copertura delle cure di maternità. Come ha spiegato, lui non ne ha mai avuto bisogno.
La logica della competizione benefica è diventata straordinariamente popolare da quando Reagan e la Thatcher ci hanno assicurato che il libero mercato si sarebbe preso cura di tutti i nostri problemi. Da quando è iniziata la crisi economica, tuttavia, questo punto di vista ovviamente non è più così popolare. Il ragionamento può anche essere stato brillante, ma la sua connessione con la vita reale è scarsa. Ciò che i sostenitori del libero mercato hanno completamente perso di vista è stata la natura intensamente sociale della nostra specie. A loro piace di presentare ogni individuo come un’isola, ma il puro individualismo non è ciò per cui siamo stati progettati. L’empatia e la solidarietà sono parte della nostra evoluzione – non solo una parte recente, ma capacità antichissime che condividiamo con gli altri mammiferi.
Molti grandi progressi sociali – la democrazia, la parità di diritti, la sicurezza sociale – sono avvenuti attraverso quello che una volta si chiamava ‘mutua intesa’. I rivoluzionari francesi inneggiavano alla fraternité, Abraham Lincoln faceva appello ai legami di solidarietà, e Theodore Roosevelt parlò in termini entusiastici della mutua intesa come del “fattore più importante nella produzione di una sana vita politica e sociale”.
L’abolizione della schiavitù è un esempio particolarmente istruttivo. Nei suoi viaggi al sud, Lincoln aveva visto schiavi incatenati, un’immagine che continuava a perseguitarlo, come scrisse ad un amico. Tali sentimenti motivarono lui e molti altri a combattere la schiavitù. Oppure, consideriamo l’attuale dibattito sull’assistenza sanitaria negli Stati Uniti, in cui l’empatia ha un ruolo di primo piano, influenzando il modo in cui reagiamo alla miseria di persone che sono state allontanate dal sistema o hanno perso la loro assicurazione. Si consideri il termine stesso – non si chiama ‘business’ sanitario ma ‘assistenza’ sanitaria, sottolineando in tal modo la preoccupazione umana per gli altri.
La natura umana, ovviamente, non può essere compresa senza considerare i suoi legami con il resto della natura, ed è qui che entra in gioco la biologia. Se guardiamo alla nostra specie senza farci accecare dai progressi tecnici degli ultimi millenni, vediamo una creatura di carne e sangue, dotata di un cervello che, anche se tre volte più grande di quello di uno scimpanzé, non contiene parti nuove. Per quanto possa essere superiore il nostro intelletto, non abbiamo desideri o bisogni di base che non possano essere osservati anche nei nostri parenti più stretti. Come noi, anch’essi lottano per il potere, godono del sesso, desiderano sicurezza e affetto, uccidono per il territorio ed attribuiscono valore a fiducia e cooperazione. Certo, noi usiamo telefoni cellulari e voliamo in aereo, ma la nostra struttura psicologica è essenzialmente quella di un primate sociale.
Pur senza attribuire agli altri primati lo status di esseri morali, non è difficile riconoscere i pilastri della moralità nel loro comportamento. Questi pilastri sono riassunti nella nostra regola d’oro, che trascende le culture e le religioni del mondo. “Tratta gli altri come vorresti che essi trattassero te” mette insieme empatia (attenzione ai sentimenti altrui) e reciprocità (se gli altri seguono la stessa regola, sarai trattato bene). La moralità umana non potrebbe esistere senza empatia e reciprocità – tendenze presenti nei nostri cugini primati.
Dopo che uno scimpanzé è stato attaccato da un altro, ad esempio, un terzo andrà ad abbracciare delicatamente la vittima finché questa non abbia smesso di strillare. La tendenza a consolare è così forte che Nadia Kohts, una scienziata russa che allevò un giovane scimpanzé un secolo fa, ha raccontato che quando il suo protetto era fuggito sul tetto della casa, c’era solo un modo per farlo scendere. Porgergli del cibo non avrebbe funzionato; l’unico modo era che lei si sedesse e singhiozzasse, come se provasse dolore. La giovane scimmia allora si precipitava giù dal tetto per abbracciarla. L’empatia del nostro parente più prossimo supera il suo desiderio di banane.
L’atteggiamento consolatorio è stato studiato estesamente sulla base di centinaia di casi, in quanto è un comportamento comune e prevedibile tra le scimmie. Allo stesso modo, la reciprocità è visibile quando gli scimpanzé condividono il cibo specificamente con quelli che si sono recentemente presi cura di loro o li hanno sostenuti in lotte di potere. Il sesso è spesso parte della miscela. I maschi selvatici sono stati osservati assumere grandi rischi razziando piantagioni di papaia allo scopo di ottenere i deliziosi frutti da donare alle femmine fertili in cambio di rapporti sessuali. Gli scimpanzé sanno come fare un affare.
Vi sono evidenze anche riguardo alle tendenze sociali e al senso di equità. Gli scimpanzé aprono volontariamente una porta per dare accesso al cibo ad un compagno, e le scimmie cappuccine cercano ricompense per gli altri, anche se esse stesse non ne traggono vantaggio. Abbiamo dimostrato questo mettendo due scimmie fianco a fianco: separate, ma una in vista dell’altra. Una di esse effettuava baratti con noi utilizzando piccoli gettoni di plastica. Il test è consistito nell’offrire loro una scelta tra due gettoni di colore diverso con differenti significati: un gettone era ‘egoista’, l’altro ‘sociale’. Se la scimmia che effettuava il baratto sceglieva il gettone egoista, riceveva un piccolo pezzo di mela in cambio, ma il suo partner non otteneva nulla. Il gettone sociale, invece, premiava le due scimmie ugualmente e simultaneamente. Le scimmie hanno sviluppato una preferenza schiacciante per il gettone sociale.
Abbiamo ripetuto la procedura molte volte con diverse coppie di scimmie e diversi insiemi di gettoni, e abbiamo trovato che le scimmie continuavano a scegliere l’opzione sociale. La scelta non era basata sulla paura di possibili ripercussioni, perché abbiamo anzi scoperto che le scimmie più dominanti (che avevano meno da temere) erano in realtà le più generose. Più probabilmente, aiutare gli altri risulta gratificante per loro allo stesso modo in cui gli esseri umani si sentono bene facendo del bene.
In altri studi, si sono visti primati svolgere felicemente un compito in cambio di fette di cetriolo finché non hanno visto altri venire ricompensati con dell’uva, che ha un sapore molto migliore. A quel punto essi sono diventati agitati, hanno buttato via i loro miseri cetrioli e sono entrati in sciopero. Il cetriolo è diventato sgradevole semplicemente come risultato dell’aver visto un compagno ottenere qualcosa di meglio. Questa reazione mi torna in mente tutte le volte che sento critiche ai bonus di Wall Street.
Questi primati non mostrano i primi accenni di un ordine morale? Molte persone, tuttavia, preferiscono la propria visione della natura ‘rossa di denti e artigli’. Non sorge mai alcun dubbio sulla continuità tra gli esseri umani e gli altri animali rispetto ai comportamenti negativi: quando gli esseri umani si mutilano e si uccidono a vicenda, siamo pronti a chiamarli “animali”, ma preferiamo rivendicare i tratti nobili solo per noi stessi. Quando si tratta di studio della natura umana, tuttavia, questa è una strategia perdente perché esclude circa metà del nostro background. A meno di un intervento divino, questa parte più attraente del nostro comportamento è anch’essa il prodotto dell’evoluzione, e la ricerca sugli animali fornisce sempre maggior sostegno a questa visione.
Tutti conoscono il modo in cui i mammiferi reagiscono alle nostre emozioni e il nostro modo di reagire alla loro. Questo crea il tipo di legame che fa sì che milioni di noi condividano le proprie case con gatti e cani, piuttosto che con iguane e tartarughe. Queste ultime sono altrettanto facili da tenere, ma manca l’empatia di cui abbiamo bisogno perché si crei un legame.
Gli studi animali sull’empatia sono in aumento, compresi gli studi sul modo in cui i roditori sono colpiti dal dolore degli altri. I topi di laboratorio diventano più sensibili al dolore una volta che abbiano visto un altro topo provare dolore. Il contagio del dolore si verifica tra topi che vivono nella stessa gabbia, ma non tra topi che non si conoscono. Si tratta di un tipico pregiudizio che è vero anche per l’empatia umana: quanto più siamo vicini ad una persona, e più simili siamo ad essa, tanto più facilmente l’empatia si risveglia.
L’empatia affonda le sue radici nei comportamenti imitativi di base – non nelle aree più elevate dell’immaginazione o nella capacità di ricostruire consapevolmente come ci sentiremmo se fossimo al posto di qualcun altro. Tutto è iniziato con la sincronizzazione dei corpi: correre quando gli altri corrono; ridere quando gli altri ridono; piangere quando gli altri piangono; o sbadigliare quando gli altri sbadigliano. La maggior parte di noi hanno raggiunto la fase incredibilmente avanzata in cui sbadigliamo anche alla semplice menzione degli sbadigli, ma questo avviene solo dopo un sacco di esperienza faccia-a-faccia.
Il contagio degli sbadigli funziona anche in altre specie. Presso l’Università di Kyoto dei ricercatori hanno mostrato a scimmie di laboratorio la videoregistrazione di sbadigli di scimpanzé selvatici. Dopo poco, gli scimpanzé di laboratorio sbadigliavano come matti. Con i nostri scimpanzé abbiamo fatto un passo in più. Invece di mostrare loro scimpanzé reali, mostriamo animazioni tridimensionali di una testa somigliante a quella di una scimmia che effettua un movimento simile allo sbadiglio. In risposta agli sbadigli animati, le nostre scimmie sbadigliano con apertura massima della bocca, chiusura degli occhi e rotazione della testa, come se fossero sul punto di addormentarsi da un momento all’altro.
Il contagio degli sbadigli riflette il potere della sincronia inconscia, che è profondamente radicata in noi come in molti altri animali. Tale sincronia è espressa nella copiatura di piccoli movimenti del corpo, come uno sbadiglio, ma si verifica anche su larga scala. Non è difficile comprendere il suo valore per la sopravvivenza: sei parte di uno stormo di uccelli e uno di essi improvvisamente prende il volo; non hai tempo per capire cosa stia succedendo, quindi decolli nello stesso istante; se non lo facessi, potresti diventare il pranzo di qualcuno.
Il contagio degli stati emotivi serve a coordinare le attività, che è cruciale per tutte le specie che si spostano (come è il caso per la maggior parte dei primati). Se i miei compagni mangiano, decido di fare la stessa cosa, perché una volta che si siano rimessi in movimento, la mia possibilità di procurarmi del cibo sarà svanita. L’individuo che non rimane in sintonia con quello che fanno tutti gli altri risulta perdente, proprio come il viaggiatore che non approfitta della sosta dell’autobus per andare in bagno.
La selezione naturale ha prodotto animali altamente sociali e cooperativi, che fanno affidamento l’uno sull’altro per sopravvivere. Un lupo non può abbattere prede di grandi dimensioni da solo, e gli scimpanzé nella foresta sono noti per rallentare la marcia quando dei compagni non riescono a tenere il passo a causa di infortuni o di cuccioli malati. Quindi, perché accettare l’ipotesi della natura spietata quando vi sono ampie prove a sostegno della tesi contraria?
La cattiva biologia esercita un’attrazione irresistibile. Coloro che pensano che la concorrenza sia tutto nella vita, e credono che sia auspicabile che il forte sopravviva a spese dei più deboli, adottano con entusiasmo il darwinismo come dimostrazione della loro ideologia. Essi rappresentano l’evoluzione – o almeno la sua versione da cartolina – come quasi divina. John D. Rockefeller ha affermato che la crescita di una grande azienda “è dovuta al lavoro di una legge di natura e di una legge di Dio”, e Lloyd Blankfein, presidente e amministratore delegato di Goldman Sachs – la più grande macchina per fare soldi nel mondo – recentemente si è raffigurato come un semplice “esecutore del lavoro di Dio”.
Tendiamo a pensare che l’economia sia stata uccisa dall’irresponsabile assunzione di rischi, dalla mancanza di regolamentazione o dalle bolle immobiliari, ma il problema è più profondo. Quelli erano solo i piccoli aerei che circondano la testa di King Kong ( “Oh no, non sono stati gli aeroplani. E’ stata la bella ad uccidere la bestia”). Il difetto ultimo era il richiamo della cattiva biologia, che ha portato a una grossolana semplificazione di ciò che è la natura umana. La confusione tra come funziona la selezione naturale e che tipo di creature essa ha prodotto ha portato alla negazione di ciò che tiene le persone legate. La società stessa è stata vista come un’illusione. Come Margaret Thatcher disse: “Non esiste una cosa come la società – ci sono i singoli uomini e donne, e ci sono le famiglie”.
Gli economisti dovrebbero rileggere l’opera del loro padre fondatore, Adam Smith, che vedeva la società come un’enorme macchina. Le sue ruote sono levigate dalla virtù, mentre il vizio le porta a grattare. La macchina non funzionerà senza intoppi se non c’è in ogni cittadino un forte senso della comunità. Smith vedeva l’onestà, la moralità, la simpatia e la giustizia come compagni essenziali per la mano invisibile del mercato. Le sue opinioni erano basate sul nostro essere membri di una specie sociale, nati in una comunità e con responsabilità nei confronti della comunità.
Invece di cadere in false idee riguardo la natura, perché non prestare attenzione a ciò che effettivamente sappiamo circa la natura umana e il comportamento dei nostri parenti più prossimi? Il messaggio che viene dalla biologia è che siamo animali di gruppo: intensamente sociali, interessati all’equità e abbastanza cooperativi da aver conquistato il mondo. La nostra grande forza risiede proprio nella nostra capacità di superare la competizione. Perché non progettare la società in modo tale che questa forza si esprima ad ogni livello?
Invece di contrapporre gli individui gli uni agli altri, la società ha bisogno di enfatizzare le dipendenze reciproche. Questo può essere visto nel recente dibattito sull’assistenza sanitaria negli Stati Uniti, dove i politici hanno giocato la carta dell’interesse condiviso sottolineando che quanto tutti (compresi i benestanti) avrebbero perso se la nazione non fosse riuscito a cambiare il sistema, e dove il presidente Obama ha giocato la carta della responsabilità sociale chiamando la necessità di un cambiamento “un obbligo etico e morale centrale”. Fare soldi non può diventare l’essenza e il fine di tutto ciò che riguarda la società.
E per coloro che continuano a chiedere alla biologia una risposta, la domanda fondamentale, ma raramente posta, è perché la selezione naturale abbia progettato il nostro cervello in modo che siamo in sintonia con gli altri esseri umani, e proviamo disagio per il loro disagio, e piacere per il loro piacere. Se lo sfruttamento degli altri fosse tutto ciò che conta, l’evoluzione non avrebbe mai dovuto cimentarsi con questa questione dell’empatia. Ma invece lo ha fatto, e sarebbe meglio che le élite politiche ed economiche lo capissero rapidamente.
Fonte: http://evonomics.com/how-bad-biology-is-killing-the-economy/
Ti ringrazio Emilio per aver proposto e tradotto un ottimo articolo che tratta temi a me cari. Due punti su cui soffermarsi: nessuna scienza è immune dalla ideologia dominante dell’epoca in cui vivono i suoi maggiori esponenti; la teoria di Darwin è stata stuprata nei contenuti e così trasformata è diventata sociale. Scienziati imbevuti di ideologia neoliberista come Spencer e, recentemente Dawkins, hanno fatto e continuano a fare, grossi danni. Il Darwinismo sociale non è opera di Darwin, nemmeno nelle sue intenzioni. Il nome del grande scienziato ricorre molto più spesso in economia e politica che nei congressi specialistici di biologia. Questo punto non è solo un sofismo di un addetto ai lavori, ma è fondamentale per capire le basi dell’ideologia liberista. Non a caso essa si ammanta di un’aura di scientificità, l’uso della matematica, la concorrenza e l’individualismo come stato di natura, per sostenere che non ci sono alternative (TINA) al modello sociale fortemente sbilanciato di cui si fa promotrice.
Il Darwinismo volgare con cui tenta di legittimarsi l’ideologia liberista ( che con la libertà non c’entra niente) è in realtà una banale, presunta “legge della giungla” che riguarda poco la giungla e molto le città degli uomini i quali si figurano la giungla e i suoi abitanti a loro propria immagine e somiglianza tentando di giustificare la loro avidità e la loro rabbia, dunque la loro nevrosi ricorrendo all’autorità indiscussa della Natura. Il liberismo si legittima con la lotta per la sopravvivenza che seleziona i migliori, i più adatti esemplari animali. A questo si può opporre l’empatia che negli animali consente il contatto tra loro, altrettanto utile alla sopravvivenza. Ma si può anche uscire da questo ping-pong considerando che gli uomini sono più della loro biologia, non abitano nella giungla e seppur anch’essi animali e membri della natura, nella loro più propria identità la trascendono ed hanno nella libertà la loro dimensione e la loro vita, e nella cura reciproca di questa il più nobile motivo di vita associata e solidale, e diciamo pure di amore umano. E si può anche dire semplicemente che il liberismo ed il suo mito della giungla sono oggi i principali nemici della libertà.