La rivolta tunisina
di Stefano D’Andrea
Un fatto, narrato in un articolo letto su Le Monde Diplomatique, mi ha convinto che la rivolta Tunisina deve essere valutata favorevolmente e con ottimismo, senza alcuna esitazione.
Il fatto.
Nejib Chebbi, “oppositore laico alla dittatura”, ha denunciato, davanti all’ambasciatore della Tunisia presso l’Unesco <<un modello di sviluppo che fa leva sui bassi salari come solo vantaggio competitivo nella concorrenza internazionale” e “ha fustigato” <<la provocatoria esibizione di ricchezza illecita nelle grandi città>>.
L’ambasciatore della Tunisia presso l’Unesco, Mezry “Haddad”, ascoltando le parole dell’oppositore, ha perduto il controllo di sé e ha ribattuto: <<Tra poco verranno a saccheggiare il tuo palazzo a La Marsa, perché questa è la logica di tutte le società che non temono più la polizia. (…). Nel 1987 Ben Alì ha salvato la Tunisia dalle orde fanatiche e dagli integralisti (…) Deve restare al potere, qualunque cosa accada, perché il paese è minacciato dai fanatici e dai neobolscevichi, i loro alleati strategici”.
Pochi giorni dopo l’episodio riferito, Ben Alì si è dimesso e Nejib Chebbi è divenuto ministro allo sviluppo regionale[1].
Il fatto merita qualche commento.
Non credo si tratti di neo-bolscevichi, contrari alla proprietà privata dei mezzi di produzione e alla libertà d’impresa. Si tratta di socialisti. Così come non credo si tratti di “fanatici”, bensì di credenti nella religione dell’islam i quali intendono trovare in quest’ultima i fondamenti della convivenza civile e politica (islamisti). Tra essi vi sono certamente anche fanatici integralisti. Ma anche tra quelli che ho chiamato socialisti vi sarà qualche fanatico comunista (favorevole al divieto della proprietà privata dei mezzi di produzione e al divieto della libertà d’impresa). Non ho ragioni per credere che “le minoranze fanatiche” dei socialisti e degli islamisti abbiano capacità di conquistare l’egemonia; né ho ragione per preferire Ben Alì a quelle minoranze.
Mi fa piacere che i socialisti appaiano all’ambasciatore della Tunisia presso l’Unesco alleati strategici degli islamisti. Allo stesso tempo, sono favorevolmente sorpreso dalla frase con la quale, l’“oppositore laico”, Nejib Chebbi, “ha fustigato” <<la provocatoria esibizione di ricchezza illecita nelle grandi città>>. Immaginate Flores D’Arcais o Caracciolo o Scalfari o De Benedetti o Guido Rossi fustigare <<la provocatoria esibizione di ricchezza illecita nelle grandi città>>? Nejib Chebbi forse può essere un alleato strategico degli islamisti.
Ma Nejib Chebbi ha anche denunciato <<un modello di sviluppo che fa leva sui bassi salari come solo vantaggio competitivo nella concorrenza internazionale>>. La frase è sibillina, almeno nella traduzione italiana; ma forse questo oppositore laico, che è diventato Ministro per lo sviluppo regionale, è anch’esso moderatamente socialista. Egli sembra sapere che per evitare i bassi salari l’economia tunisina deve essere protetta.
Insomma, esistono molte ragioni per guardare favorevolmente e con ottimismo alla rivolta di Tunisi. Se la rivolta ha possibilità di trasformarsi in una rivoluzione ed eventualmente in quale rivoluzione, violenta o progressiva e silenziosa, lo dirà la Storia. Invece, tutte le perplessità sollevate contro la rivolta tunisina appaiono prive di fondamento.
Più che socialisti o bolscevichi (men che meno islamisti), credo che i rivoltosi si percepiscano, e debbano essere percepiti, come patrioti. I simboli non sono mai casuali, e l'unico vessillo mostrato dai popoli arabi scesi in piazza è finora stata la bandiera nazionale dei rispettivi paesi.
La War on Terror inaugurata da Bush serviva proprio a scongiurare questa eventualità: che qualcuno inaugurasse l'epoca della distruzione delle elites.
Chiamare bolscevichi, fondamentalisti islamici, terroristi chi si batte per i diritti dei popoli fu una sortita geniale. Ma una cosa sono le astrazioni ed un'altra sono i fatti contingenti, reali, solidi. Potete chiamarmi biondo, ma non sono mai stato biondo.
Adesso è ora che le elites comincino a pagare checchè ne dicano i vari Freda che ci consigliano di starcene a casa nel nome di un "perfetto" che da sempre è nemico del bene.
Appare facile, quasi scontanto, parlare ora, a rivolta conclusa. Ben Alì è caduto sotto le pressioni di un popolo che chiedeva progresso, modernità e democrazia. Ed è proprio quest'ultima richiesta, la democrazia, che fa da trampolino di lancio per tutto il resto, sviluppo economico compreso. Tutto, ovviamente, a patto che prevalga la libertà di pensiero, di azione e di iniziativa economica privata nel rispetto degli interessi nazionali.
Alla Tunisia, ma d'altro canto a tutto il nord Africa, serve una democrazia vera, basata sul rispetto della volontà popolare. Tutto questo ora appare possibile, ma attenzione alle minoranze estreme. Perchè spesso proprio da loro, o sotto la loro guida, si attuano i processi di cambiamento politico-istituzionale. Cambiamenti positivi, quando si tratta di superare un regime totalitario, ma che non possono non portare al raggiungimento di un sistema democratico. Altrimenti, insegna la storia, si rischia un ritorno al passato, magari anche peggiore
a Luigi Poleggi
in poche righe hai rappresentato la sagra dell'ambiguità, dell'ipocrisia e dell'ingenuità:
"la libertà di pensiero a bracetto con la libertà di iniziativa privata… nel rispetto degli interessi nazionali!" questa è la VERA democrazia!
E' la definizione n. 9.999 , ancora una e battiamo il record di 10.000 (un congruo premio a chi ce la fornirà!)
Personalmente preferisco la rude franchezza degli islamisti o dei neobolscevichi…
Io la penso come Luciano