Identità ostrica
di Tino Di Cicco
Ci sono persone legate alla propria identità, come l’ostrica allo scoglio: temono di perdersi se si lasciano andare in mare aperto.
Intuiscono che senza una qualche struttura ideologica che li sostenga, possa vacillare la loro consistenza. Si chiudono perciò a riccio dentro il carcere di un pensiero unico, amputandosi “volontariamente” degli strumenti umani per esplorare la realtà.
Meglio un carcere piccolo ma rassicurante, pensano senza dirselo, che l’oceano temibile del nulla.
Prigionieri dentro le loro torricelle d’avorio ideologico, sono capaci di affermare che Leopardi deve l’“infinito” e le altre liriche alla sua gobba, e non al suo “spirito”. Oppure che Simone Weil doveva essere curata sul lettino di Freud, perché lei era solamente una povera malata d’assoluto. Folle era anche Holderlin per loro, anche quando folle ancora non era; perché il delirio amoroso sarebbe una patologia, che la scienza degli uomini sa benissimo come sanare.
Loro hanno bisogno di ridurre il mondo all’altezza della loro natura; e se la loro natura teme il vuoto, loro si affrettano a riempire il vuoto in loro con quello che passa il mercato della conoscenza: solo così tengono a debita distanza il dubbio e l’angoscia conseguente.
Così prigionieri dell’esistente, pensano che noi umani siamo dotati di un “libero arbitrio” e di una identità liberamente decisa.
Non sanno che se esistesse veramente il libero arbitrio non potrebbe esistere l’identità. Quest’ultima è generata dall’ethos, dal carattere ( ethos antropo daimon : il carattere è il demone dell’uomo, diceva Eraclito ); ed è la “coerenza” dei comportamenti che , ripetendosi nel tempo in modo idem-tico, rendono visibile una certa identità.
Perché si strutturi una identità, devono ex-sistere, infatti, comportamenti prevedibili e riconducibili ad un determinato modo di pensare e di agire, e quel “coerente” modo d’agire e di pensare diventerà poi l’identità.
Tutti noi siamo “condannati” dal nostro carattere a de-cidere sempre in un certo modo; ed è perciò la nostra natura che ci fa decidere in un modo o in un altro, non la nostra libertà.
Noi siamo liberi di de-cidere sulla base del nostro carattere, ma non siamo liberi di scegliere il nostro carattere. E ingenuamente chiamiamo “libertà” l’obbedienza alla nostra natura.
Ma noi saremmo veramente liberi se potessimo scegliere la nostra natura, non se siamo obbligati ad ubbidire ad essa.
Invece noi ci troviamo una natura già decisa dal caso e dalle circostanze, e poi crediamo di essere liberi agendo come il nostro ethos ci obbliga a fare (e poi ci meravigliamo se i bambini credono alle favole!).
Diceva Shopenhauer che “l’autocoscienza enuncia la libertà del fare, premettendo il volere: ma noi cerchiamo la libertà del volere” ( la libertà del volere umano).
Non sanno gli uomini che la libertà inizia dove termina l’illusoria costruzione dell’Ego : è un terreno pericoloso, è vero, ma “dove è il pericolo/ cresce anche ciò che salva”( F. Holderlin, liriche).
E’ un terreno pericoloso perché può essere attraversato solo come un pellegrino solitario, e la follia è in agguato ad ogni curva. Ma non è vero che vivere dentro i recinti delimitati dai bisogni di sicurezza dell’uomo, sia più gioioso che accettare le provocazioni del nulla.
Naturalmente i limiti dentro i quali ognuno di noi è costretto a fare esperienza della realtà devono essere riconosciuti e accettati; ma i nostri limiti non possono diventare il criterio per la rappresentazione del reale ( è come se la rana confondesse lo stagno nel quale nasce e muore, con l’universo intero).
Viviamo dentro l’ipertrofia dell’io, e molti pensano che solo continuando a gonfiare il palloncino vuoto dell’identità ego-centrata, possano sentirsi realizzati.
Non sanno che il pudore dell’io può invece diventare la voce dell’assoluto.
Non sanno che evitando di misurarsi con la costellazione del trascendente, si alimenta in noi solo la boria e la tracotanza.
Pensano di costruire la rappresentazione del mondo col cemento delle loro paure, ed anche se è vero che così riescono a proteggersi dall’angoscia generata dal caos, è però anche vero che così si irrigidiscono dentro una identità piccina piccina.
Prendono le misure del mondo utilizzando il palmo della loro mano, e poi non riescono a tollerare che qualcuno possa guardare al di là dell’orticello recintato dai loro troppo umani bisogni.
Ci sono uomini nell’occidente evoluto e progressista che non sanno vivere se non hanno sempre sottomano un integralismo di scorta: passano perciò dal marxismo massimalista, al freudismo integrale; dal papismo devotissimo, allo scientismo assoluto, pur di restare sempre al “chiuso”; pur di evitare accuratamente di sperimentare il “peccato” dell’aperto.
Solo così pensano di poter fare esperienza di mondo; solo così possono sperare nella tracotanza delle maggioranze per condannare i solitari obbligati dal caso o dalla grazia a cercare altrove. A cercare, come Simone Weil, una verità che non coincide con quella degli uomini; una giustizia che sa guardare dritto dritto negli occhi di dio.
Hmm…da dove cominciamo? Da qui:
"Noi siamo liberi di de-cidere sulla base del nostro carattere, ma non siamo liberi di scegliere il nostro carattere. E ingenuamente chiamiamo “libertà” l’obbedienza alla nostra natura."
Bisognerebbe prima dare una definizione di carattere, ma ho l'impressione che nonostante esistano ben forniti vocabolari in commercio l'ontologia sottesa ci farebbe facilmente approdare a quell'abisso niciano che ci osserva incredulo.
Quindi preferisco soffermarmi sulle azioni che del carattere dovrebbero essere lo specchio. Dario Fo era un fascista, come Enzo Biagi. Poi diventarono partigiani. E' questo un chiaro segno che il loro "carattere" cambiò? Non ne ho idea. Nè la cosa mi impensierisce. So solo che fu grazie a persone come Fo e Biagi che adesso non ci troviamo più le camicie nere e grigie attorno. So che grazie a persone come loro abbiamo ricevuto in dono una Costituzione che è un gioiello di sobrietà e onestà. Evito di aprire parentesi sullo scempio che gli attuali democrati ne hanno fatto.
Fu vera libertà? Mah, non so.
Ho da sempre in mente una definizione di libertà che trovo molto sensata: oggetto di culto per schiavi. Fu proprio Eraclito a scoprire che senza il suo contrario nessun concetto esiste. Sì, perchè siamo nello scivolosissimo piano concettuale, così odiato da Epicuro, ad esempio. I fatti rispondono a tutt'altra logica. Anzi, non ne hanno proprio bisogno, di logica. Ci sono. Sono lì, per chiunque li voglia osservare.
L'articolo poi scivola via leggero fino alla chiusa, quando apprendo che esiste "una giustizia che sa guardare dritto dritto negli occhi di dio".
Nell'iconografia classica dio viene anche rappresentato con un occhio dentro ad un triangolo. Che avesse più di un occhio, tale iconografia non lo dava ad intendere. Forse i tempi non erano ancora maturi, forse dio ha sviluppato il secondo sensore ottico successivamente? Non lo so, ha da lungo tempo deciso che tutte le questioni irrisolvibili che riguardano dio ed infiniti non sono di mio interesse. Non se esista dio o l'infinito. Mi pare di vivere meglio senza questo fardello ideologico. Sì, perchè non essendoci prove provate (ovvero dati sensoriali accreditati) che tali entità sono parte integrale delle nostre esistenze (e l'esistenza di chi crede l'opposto, cosa starebbe a dimostrare, allora?) tutto il gioco si risolve in un bel dogma. Ci credi oppure no. Sennò te ne freghi.
Che sia questa la libertà?
Ciò che Tino sconsiglia è in realtà il modo di essere di quasi tutti e, in molti casi, il risultato di una scelta e di una educazione. Il carattere, infatti, si costruisce. Ciò è vero, almeno, per gli uomini di potere; che devono fronteggiare e vincere sfide; che devono saper dosare violenza, gentilezza, intelligenza, cattiveria, fedeltà e, conseguentemente, devono avere idee piuttosto ferme sul mondo e sulla vita.
Direi che per alcuni il carattere è determinato esclusivamente dalle circostanze. E sovente si tratta du un carattere debole; per molti è misto; e per alcuni – in particolare gli uomini di potere – è il frutto di un addestramento, pratico, teorico, ideologico e antropologico, in genere subito con violenza dal "maestro" o dal "capo" o imposto con violenza a se stessi. Tale violenza conduce quasi sempre alla malattia psichica: narcisismo; depressione; nevrosi.
In ogni caso, che il carattere, comunque formatosi, sia un'ostrica non mi sembra dubbio. Non me la sento tuttavia di dare un giudizio totalmente negativo sulla "chiusura" che il carattere indubbiamente implica. Perché il carattere e la ideologia possono essere piccini piccini, omologati (sono come tutti gli altri o come tu – sistema – mi vuoi), ma anche ricchi, originali e curiosi. Tutti, salvo coloro che scelgono il rischio della follia, abbiamo bisogno di prevedibilità e calcolabilita e di criteri con cui orientarci nel mondo e giudicare: senza criterio non c'è giudizio. Gli ordinamenti giuridici, che dominano la nostra vita, più di quanto siamo soliti credere, sono criteri di calcolabilità e prevedibilità. Danno certezza (la certezza del diritto); indirizzano (il diritto dirige); rassicurano (il diritto sanzione chi ci aggredisce); tutelano (il diritto prevede e tutela diritti).
Con un buon carattere (aperto, originale, in buona parte costruito o limato da noi stessi), e nonostante l'ordinamento giuridico e l'ordinamento sociale, credo si possa vivere una "vita libera".
Detto ciò, che sia possibile una libertà mistica, un senso di pienezza e di totale conciliazione con la natura e che questa libertà sia moralmente superiore alla mia quotidiana e faticosa libertà, non lo nego. Anzi ne sono certo. Talvolta ho avvertito questa libertà; ma erano momenti verificatisi in tempi di grande stress emotivo; è una libertà che confina davvero con la follia. Alla fine ho deciso di "rilassarmi" e di accettare che la mia "pienezza" è straordinaria e va ricercata ma pur sempre restando all'interno di parametri, criteri e prassi che mi danno complessivamente una condizione di certezza, anche se relativa, e una condizione di equilibrio, anche se instabile. Ciò che ho mantenuto è l'assoluto disinteresse per il giudizio altrui: elefante in una cristalleria; ubriaco nelle cene di gala; sincero tra i cinici; volgare tra i piccolo borghesi; indifferente alle cattiverie della vita di affari, magnanimo con gli studenti, dignitoso con il Rettore. Impudico; sempre impudico, non per scelta, ma per modo di essere: per carattere. E' questo l'esito del mio percorso.
E' poco e comunque so che c'è di meglio. Ma per il momento mi basta. Anche perché ho tre (e quasi quattro) figli e una moglie da amare. Non so se mi basta perché non sono in grado o perché non voglio andare oltre. In questo senso il problema di Dio è estraneo ai miei pensieri; mentre non lo era nel periodo di stress al quale ho fatto cenno.
belli ….. mi piace soprattutto il commento di Tonguessy, molto più vicino al mio modo di pensare….
libertà, per me è cercare di evitare le scelte preconfezionate …. vuoi A oppure B ?
scusate ma perchè dovrei volere una di quelle due ? e perchè devo scegliere?.
ecco… quando riesco a rispondere così, mi sento libero.
"E ingenuamente chiamiamo “libertà” l’obbedienza alla nostra natura. "
Spinoziano, non c'é che dire!
Gli autori citati non mi convincono troppo, ma il testo è comunque stimolante.
Desidero prima scusarmi per non avere evidenziato i pregi di questo articolo, che trovo di rara eleganza. Mi auguro di vederne pubblicati ancora, ovviamente.
Gli argomenti che solleva sono decisamente importanti ed una veloce disamina non rende onore alla complessità dei temi trattati.
Il narcisismo come deriva fin troppo ovvia dell'edonismo reaganiano che fa il paio con la dittatura (o la democrazia?) dei banksters di chiara provenienza reaganomics, ad esempio. Da sola questa considerazione si merita ben più di poche righe in questo forum.
Altro punto sollevato da Stefano: "che sia possibile una libertà mistica, un senso di pienezza e di totale conciliazione con la natura e che questa libertà sia moralmente superiore alla mia quotidiana e faticosa libertà, non lo nego. Anzi ne sono certo."
Mi sento di potere affermare che quando ci si immette in un flusso vitale importantissimo come quello naturale, il concetto di libertà (che Eraclito afferma nasca in seno al Logos che applica la sua legge di inscindibilità degli opposti) sparisce. Non si è "liberi" in natura, semplicemente se si VIVE in natura (così come auspicavano i cinici) il Logos non viene più molto usato, e questo permette di limitare l'azione della legge degli opposti. In natura non si è nè liberi nè schiavi. Certo che se facciamo una vita da schiavi, quando ci ritroviamo in natura ci sembra di tornare liberi. In realtà stiamo solo limitando il Logos.
Per questo sostengo che la libertà è un oggetto di culto per schiavi.
Stranamente (almeno in apparenza) anche quando ci si immerge in altri flussi vitali (come quello politico, ad esempio) si perde il concetto di libertà. Non si è più "liberi" quando si fa politica, a meno che questo non significhi tentare di evitare la galera, così come viene interpretata dal nostro premier. Semplicemente si fa quello che si deve fare. In che senso si sarebbe "liberi" mentre si fa quello che ci aspettiamo da noi stessi?