L’assalto all’Unità – Propaganda anti-risorgimentale e decostruzione nazionale: una replica a Diego Fusaro
di BRUNO FARINELLI (FSI Torino)
Il Risorgimento è uno svolgimento storico complesso e contraddittorio, che risulta integrale da tutti i suoi elementi antitetici, dai suoi protagonisti e dai suoi antagonisti, dalle loro lotte, dalle modificazioni reciproche che le lotte stesse determinano e anche dalla funzione delle forze passive e latenti come le grandi masse agricole, oltre, naturalmente, la funzione eminente dei rapporti internazionali.
A. Gramsci, Il Risorgimento[1]
La definizione di Risorgimento data da Antonio Gramsci si può considerare come una tra le più esaustive nella sua semplicità espositiva: nelle parole del filosofo di Ales questo processo politico è descritto come la risultanza di molteplici fattori, alcuni in aperta contraddizione l’uno con l’altro, che si influenzarono reciprocamente e che furono influenzati a loro volta da una complessa serie di elementi esterni alle fazioni e alla nazione stessa. Il rapporto tra Gramsci e gli eventi risorgimentali è affatto scevro da valutazioni negative ed è condensato nella definizione di “Rivoluzione senza Rivoluzione”. Il punto fondamentale della critica risiede nelle riflessioni sulla corrente che più di altre avrebbe voluto e dovuto incarnare la spinta democratica, quella azionista, i cui capi carismatici furono Garibaldi e Mazzini. Per Gramsci il movimento azionista non seppe farsi partito, non riuscì a contrapporre una «resistenza e una controffensiva organizzata» ai moderati facenti capo alla dinastia sabauda, fallendo nell’imprimere una fase di violenza democratica che portasse a una svolta radicale[2]. I rivoluzionari italiani non riuscirono a fare ciò che invece riuscì ai giacobini francesi negli anni del Terrore. Questa critica, di tipo politico, si affianca a una di tipo economico che legge la relazione Nord-Sud come un rapporto tra una grande città e una grande campagna e vede il verificarsi di un drenaggio di risorse dalla campagna verso la città[3].
Questo approccio critico si inseriva all’interno della corrente di pensiero marxista, di cui Gramsci è sicuramente il più importante esponente in Italia, e si fece portavoce delle istanze ideologiche che questo pensiero contraddistinsero. Potremmo discutere del fatto che non vi fossero le condizioni sociali o politiche perché si formasse un partito “giacobino” che esercitasse una pressione democratica e che il partito d’azione abbia speso la maggior parte delle sue energie per raggiungere l’obiettivo primario della rivoluzione risorgimentale, l’Unità nazionale italiana; di come la riduzione del rapporto Nord-Sud alla sola bilancia commerciale non tenesse conto di molti altri fattori politici, economici e culturali. Così come del fatto che Gramsci inserì la lotta comunista nel solco del Risorgimento quando sostenne che, nello scontro tra forze comuniste e capitaliste, il popolo percepiva «la lotta tra la forza che li tiene soggetti e la forza che può creare le condizioni della loro autonomia. La nazione italiana, come proletariato, ha dunque ripreso la tradizione mazziniana dandole una sostanza storica e una forma concreta nella lotta di classe»[4].
L’oggetto di questo articolo non vuole, però, essere una critica agli scritti di Gramsci, poiché le tesi del filosofo sardo si inseriscono in un preciso contesto storico e ideologico e perché in fondo il Risorgimento ha ricevuto critiche sin dalla nascita dello Stato italiano. Ciò che qui si vuole porre in rilievo è l’accoglimento da parte di sedicenti pensatori indipendenti di una propaganda anti-risorgimentale spicciola e meschina, oltre che completamente avulsa da qualsiasi seria ricerca storica. In particolare ci si riferisce al discorso pronunciato da Diego Fusaro durante una comparsata televisiva, nel programma Nemo[5] trasmesso su Rai2. Fusaro ci racconta di come «la storia d’Italia, quella con la “s” maiuscola, quella che ci raccontano a scuola» sia riassumibile nella dicotomia tra un nord produttivo e un sud inefficiente e che l’unificazione italiana non sia stata nient’altro che un abominio i cui «tratti salienti» furono «soprusi, angherie e uccisioni». Il tutto condito dall’affermazione che «il Nord invase e aggredì il Sud, lo piovrizzò (sic!), come dice Gramsci nei Quaderni dal carcere». Proprio quest’ultima affermazione ha ispirato l’inizio di questo articolo.
La pretesa citazione di Gramsci non dice nulla della profondità del suo pensiero ed è facilmente rapportabile in tutta la sua nullità con la citazione di apertura. Con quello che dice Fusaro, il pensiero del filosofo marxista non c’entra nulla: è solo un’arma da brandire, un espediente retorico per ingannare chi ascolta e convincerlo della validità delle proprie parole. Perché ciò che si vuole far passare è la visione propagandata da esponenti di movimenti anti-nazionali, tanto al Settentrione quanto al Mezzogiorno, che vedono nella demonizzazione del Risorgimento la chiave di volta per scardinare l’unità nazionale. Dietro le fantasie leghiste, i rigurgiti di sanfedismo e le velleità neo-guelfe si è nascosta, si nasconde e si nasconderà sempre la volontà di distruggere l’unità italiana e la costruzione di un’identità nazionale libera da confini regionalistici o da volontà ecclesiastiche. Più che allievo indipendente di Marx ed Hegel, Fusaro sembra essere l’allievo saccente di Pino Aprile.
Le conclusioni cui arriva lasciano in uno stato di confusione: l’Italia sarebbe il nuovo meridione d’Europa e sembra anche, da come parla il filosofo, che si meriti la profonda crisi in cui si trova («Lo sappiamo la Terra è tonda e si è sempre il Sud di qualcun’altro e l’Italia scopre di essere la “questione meridionale” dell’Europa»). E allora come reagire alla “questione meridionale in Italia e in Europa”? Secondo il filosofo in due modi: ponendo al “centro la solidarietà comunitaria” e “perseguendo l’interesse nazionale”. Quindi dopo aver descritto come un’opera di barbarie l’unificazione italiana che sta alla radice della Nazione, il Popolo italiano dovrebbe porre a fondamento della sua politica la coscienza nazionale affidandosi non a una politica indipendente ma a una non meglio precisata “solidarietà comunitaria” (nazionale o europea?).
Chi scrive crede che Fusaro non sia uno sciocco, ma che semplicemente abbia percepito, come altri, quanto questa propaganda anti-risorgimentale stia prendendo piede pur non avendo nessuna validità storiografica. Anche altri momenti della storia italiana hanno vissuto la medesima decostruzione e demonizzazione: basti vedere quanto il periodo della Resistenza, non a torto identificato come un “Secondo Risorgimento”, sia stato messo da parte nella coscienza nazionale nel nome di una supposta demitizzazione o di quanto l’esperienza della Prima Repubblica sia stata criminalizzata e abbandonata. Tutti questi periodi che hanno contraddistinto la storia d’Italia furono percorsi da fratture, da errori e da ferite anche profonde, ma dalla nostra storia noi dobbiamo prendere la nostra forza.
Noi non facciamo nostri il mito del Risorgimento, il mito della Resistenza o il mito della Prima Repubblica: noi facciamo nostra la storia del Risorgimento, la storia della Resistenza e la storia della Prima Repubblica con tutto il loro carico di errori di cui siamo consapevoli ma che non ci impediscono di rivendicare le battaglie passate. Chi crede di poter gettare al vento la propria storia sarà condannato alla sconfitta.
[1] A. Gramsci, Il nodo storico 1848-1849 in Il Risorgimento, p. 69 http://www.classicistranieri.com/liberliber/Gramsci,%20Antonio/il_ris_p.pdf
[2] Id., Il problema della direzione politica nella formazione e nello sviluppo della nazione e dello Stato moderno in Italia in Il Risorgimento, p. 48.
[3] Id., Il rapporto città-campagna nel Risorgimento e nella struttura nazionale italiana in Il Risorgimento, p. 61.
[4] Id., L’Ordine nuovo (1919-1920), p. 264; http://www.marx21.it/storia-teoria-e-scienza/marxismo/1228-internazionalismo-e-questione-nazionale-nel-pensiero-di-gramsci.html
[5] https://www.youtube.com/watch?v=QKfiGJERZfQ
Fusaro estrapola citazioni fuori contesto per poi piegarle a tutt’altro contesto . E’ un’operazione miserabile e che crea disinformazione . Ma a lui non importa , lo fa sempre : perché la citazione ( anche se alla cazzo e fuori contesto ) è d’obbligo per mantenere l’aura da filosofo …. filosofo da talk show si intende . Perché l’importante è stare in TV , diventare riconoscibili : la pubblicazione da parte di qualche casa editrice diventa così automatica . Che importa poi se pubblichi indecenze reazionarie ( copia e incollate da Alain De Benoist ) e mistificazioni senza senso e rispetto , ridicolizzate da qualsiasi studente di filosofia del primo anno … A lui non importa , siamo nella società dello spettacolo e per lui è una gran botta di culo .
Farinelli esterna la propria antipatia per Diego Fusaro ma non entra nel merito delle considerazioni oggettive che conducono inevitabilmente ad una critica del mito risorgimentale creato da casa Savoia e perpetuatosi anche dopo la dipartita della real casa. Non si può ignorare la verità solo per paura di fare il gioco della “reazione”, borbonica o leghista che sia. Tommasi di Lampedusa era un “reazionario” ma il suo Gattopardo è un romanzo storico che ricostruiva la verità. Avete presente il massacro dei contadini di Bronte che speravano in una redistribuzione della terra? Bixio gli urlò che “siamo venuti quì per fare l’Italia, non per modificare le mappe catastali!” Già, anche lui era siciliano, ma di un’altra classe sociale. Anticipò Bava Beccaris…La vittoria garibaldina in Sicilia facilitata dal tradimento dei generali borbonici è storia accertata, come pure la repressione del “brigantaggio” e la spoliazione dell’industria tessile locale a favore di quella piemontese. Certamente il figlio di uno stupro non può essere soppresso una volta che è nato, e questo vale anche per il nostro paese, ma non si deve mai dimenticare che l’Italia moderna è nata da uno stupro commesso con la complicità di potenze straniere!
Veramente di Fusaro mi importa poco. Ho scritto che Fusaro non è sciocco, ma semplicemente si limita a seguire della propaganda sempre più diffusa. Il punto è che voi riproponete sempre le stesse quattro cose, trite e ritrite che sono già state dibattute e valutate. Ma quale significato potrebbe mai avere dal punto di vista della ricerca storica un romanzo? Se non quello di fornirci il singolo punto di vista dell’autore e forse mettere in luce delle correnti di pensiero? Un romanzo non è attendibile dal punto di vista storico!
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Ma figuriamoci se Bixio in quei momenti concitati si metteva a urlare simili baggianate! Dov’è la fonte di questa affermazione? Chi l’ha scritto? Si trova in atti processuali? E sì, perché Bixio fu sottoposto a processo per Bronte! In ogni caso era ligure non siciliano.
L’accertamento della corruzione dei generali borbonici da chi sarebbe stato fatto? Si tratta dell’assegno fatto a Lanza, per il quale la fonte è “Civiltà Cattolica”? Torniamo sempre lì. Perché non citate le fonti delle notizie che prendete e rigurgitate? Perchè sono sempre i soliti quattro (Aprile, Del Boca, Pellicciari, Giangrande, etc..). Vogliamo andare a vedere le differenze tra la legge “Pica” (fatta da un abruzzese non da un piemontese) e la precedente legislazione borbonica contro il brigantaggio? Lei comunque fa una gran confusione perché la repressione del brigantaggio con la legge “Pica” non fu applicata alla Sicilia. Sulle potenze straniere c’è poi da ridere. A chi si appoggiarono i Borbone per farsi rimettere sul trono?
In realtà tutte queste argomentazioni servono a poco perché chi si considera figlio di uno stupro non combatterà mai per la sua famiglia.
anche i Promessi sposi sono u
anche i Promessi sposi sono un romanzo, consigliabile a chi voglia conoscere lo spirito di un’epoca senza dover frugare negli archivi…non per niente si legge nelle scuole.
Mi sono sbagliato sulle origini di Bixio facendolo siciliano anziché ligure, ma non certo sulla sua personalità di uomo crudele, violento e odiato anche dai suoi e non risulta agli atti che sia stato processato per l’eccidio di Bronte.
Ma tutto ciò è secondario. Chi vuole coltivare ancora oggi il mito del “risorgimento italiano” faccia pure, fatto sta che le classi subalterne italiche (contadini e operai) troppe volte sono state tratte in inganno da una borghesia antinazionale che puntava solo ai suoi gretti interessi, prima con la retorica risorgimentale, poi con quella sabauda e infine con quella fascista. A queste classi (che sono il mio riferimento) non importava giustamente nulla dell’Italia, figlia di uno stupro, che si è riscattata come nazione solamente dopo il 1945
Anch’io sentendo per 60 anni parlare dell’*eccidio di Bronte* ho sempre pensato che il ‘cattivo’ Bixio avesse fatto chissà quale strage.. poi ho appurato che i fucilati, dopo un brevissimo processo, furono in tutti cinque, ritenuti i maggiori colpevoli degli omicidi commessi a Bronte, tra cui un avvocato di nome Lombardo e lo ‘scemo del villaggio’, che oggi non sarebbe stato condannato, ma allora la si pensava diversamente, in ogni caso lo ‘scemo’ munito di ascia, spaccava le teste ai ‘signori’ del paese.. furono bruciate vive delle persone nelle loro case date alle fiamme..ecc..quindi non mi sembra si possa parlare di ‘eccidio’ per cinque fucilati (quante furono le vittime dei rivoltosi?) ma tant’è la storiografia di sinistra è solita falsificare pro domo sua gli avvenimenti ..in ogni caso la repressione del brigantaggio ebbe tra i suoi più feroci sostenitori una bella maggioranza di meridionali (vedasi gli scritti di Gilberto Oneto che ne fa un elenco dettagliato.. vogliamo poi ricordare la ferocia dei siciliani nell’infierire sui soldati napoletani feriti? Mai letto G. C. Abba ‘Da Quarto al Volturno’? Di uno storpio che munito di spiedo trucidava i feriti? Fu ammazzato da un revolverata di un ufficiale garibaldino (anche questo un eccidio?) studiate gente.. studiate!.. la cultura ha sempre dei limiti, solo l’ignoranza è infinita..