La ‘pars destruens’ va alla grande, ma non basta
di SIMONE GARILLI (FSI Mantova)
Scrivevo tempo fa che, dal punto di vista di un sovranismo costituzionale e degli interessi delle classi popolari, la priorità politica in Italia è la morte del Partito Democratico, vero cancro sistemico di cui il centro-destra liberale è un appendice senza futuro (i risultati delle amministrative non ingannino, il centro-destra le ha vinte in termini relativi perchè è caduto meno velocemente del Pd, ma la dinamica dell’astensione parla chiaro).
Per quanto riguarda quella parte del centro-destra che si vorrebbe riciclare come “sovranista”, essa è destinata o alla giusta inconsistenza per deficit di credibilità (secessionisti sovranisti liberisti, detto tutto) o ad essere riassorbita nel berlusconismo decadente, come ritengo più probabile.
Peraltro l’Italia è in un certo senso all’avanguardia. Il Macron italiano si è già bruciato insieme al partito che ha voluto utilizzare per i suoi fini. Il calcolo ha pagato solo nel breve periodo, ora invece il futuro del Pd e di Renzi è legato a doppio filo, ed è segnato. Non che avesse molte alternative. Come dimostrerà il rapido declino di Macron in Francia, non c’è nulla che un uomo politico possa fare da solo per resistere al disfacimento di un intero sistema.
L’autodistruzione dell’indegna Seconda Repubblica, quindi, va alla grande.
Meno spedita, ma è quasi naturale dopo diversi decenni di imbarbarimento televisivo, pubblicitario, di americanizzazione dei costumi e delle istituzioni, va la costruzione dal basso di partiti popolari sovranisti, unica alternativa concreta ad una Terza Repubblica ancora piu indegna, perché ancora più asservita agli interessi del grande capitale transnazionale e dei centri politici esteri di cui è mezzo (non fine).
Qualche raggio molto luminoso comincia a risplendere, ma per il resto l’eclissi è ancora totale.
In particolare colpisce lo spaesamento assoluto di molti degli intellettuali alternativi che in questi anni hanno contribuito (sacrosanto riconoscerlo) a sviluppare e sedimentare un pensiero critico in vari campi disciplinari, dall’economia al diritto, passando per la filosofia.
Sono pochissimi quelli che hanno saputo trasformarsi in intellettuali militanti, mentre la grande maggioranza si divide tra chi promuove ossessivamente la sua persona, utilizzando il sovranismo come nuova etichetta per differenziarsi dal ceto intellettuale liberale, e chi, pur sempre narcisista ma legato idealmente alla causa, si intestardisce nel tentativo patetico di diventare “consigliere del Re”, cioè “di entrare nei” o “affiancare i” partiti tradizionali per “cambiarli da dentro”. Di questa seconda categoria qualcuno ha realizzato l’inutilità (in termini di ritorno sia personale che politico) di un tale sforzo, e ha moderato i toni irrisori nei confronti di chi milita per nuovi partiti popolari. Una frazione di questa frazione potrà ancora tornare utile.
Per quanto riguarda i movimenti, piccoli e grandi, si ricorda che il sovranismo o è costituzionale o non è, e che la Costituzione italiana non a caso è fondata sulla forma partito, la cui crisi è effetto e non causa del tragico trapasso dalla dignitosa Prima Repubblica all’indegna Seconda.
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