La malattia del debito sta nella cura: le privatizzazioni
di Comidad Anarchismo.comidad
Alla fine della scorsa settimana, i giornali ci hanno informato del "turbamento" provato da Romano Prodi di fronte alla notizia che era stata la Deutsche Bank a dare il via al tracollo del debito pubblico italiano. La multinazionale finanziaria tedesca è stata infatti la prima a disfarsi dei titoli italiani in proprio possesso. (1)
Prodi non ha accennato al fatto che il suo amico e collega di governo, Giuliano Amato, ora senior advisor della Deutsche Bank, non si sia degnato di anticipargli personalmente la notizia. L'ex Presidente del Consiglio ha parlato invece di vocazione "suicida" dell'Europa e di fine di quella "solidarietà" europea che aveva caratterizzato i padri fondatori.
Prodi però dimentica che una volta a tenere a freno gli istinti criminali dei banchieri, e ad imporre la disciplina europea, c'era il confronto con la potenza militare ed ideologica dell'Unione Sovietica. Oggi invece in Russia c'è quel calabrache di Putin, speranza delusa del neonazismo "eurasiatico", il quale si sta preparando a mollare anche l'alleato Assad; e ciò in base alle "notizie" sulla Siria diffuse dall'emittente Al Jazeera, di proprietà dell'emiro del Qatar, cioè un Paese coordinato militarmente con la NATO.
Prodi, in una lunga intervista di qualche mese fa, rilasciata a Rainews, aveva parlato diffusamente di crisi europea, evocando più volte gli spettri del suicidio e della "paura" che paralizzerebbe le decisioni. Quando si comincia a psicanalizzare e filosofeggiare sulle intenzioni degli altri, allora è segno che si vuole sfuggire alle constatazioni più ovvie.(2)
Una delle poche affermazioni concrete dell'intervista di Prodi riguardava infatti l'osservazione che la minaccia del debito greco si presentava abbastanza limitata ed, in sé, relativamente poco preoccupante, ed è stata invece enfatizzata dall'atteggiamento ambiguo (o subdolo?) delle autorità monetarie internazionali ed europee. In questo contesto, la Deutsche Bank ha dimostrato di avere le idee sin troppo chiare, in quanto è stata la più attiva ad alimentare l'allarme mediatico circa il pericolo del default greco, così da spingere l'esito della crisi nella direzione voluta, cioè la privatizzazione dei patrimoni pubblici della Grecia.(3)
Che l'assalto al debito italiano abbia gli stessi obiettivi di privatizzazione, non è un dato derivato da qualche seduta spiritica, di cui Prodi si è in passato dichiarato un frequentatore; bensì è una realtà che si può leggere da tutta una serie di proclami a riguardo. Il quotidiano confindustriale "Il Sole-24 ore" ci fa sapere che il valore dei patrimoni immobiliari pubblici che si potrebbero immediatamente privatizzare ammonta a trecento miliardi di euro. Come a dire, basta privatizzare questa massa di beni ed il debito è risanato.(4)
Del resto le organizzazioni degli agenti immobiliari e degli imprenditori edili ce lo ripetono da tempo: la "cura", anzi la panacea, del debito consiste nelle privatizzazioni dei beni immobili pubblici.(5)
In queste settimane è ritornata di attualità anche la questione della privatizzazione dei beni immobili delle Università, che costituiva il motivo ispiratore della pseudo-riforma Gelmini, e fu invece bloccata da un emendamento voluto da Tremonti. Ora, però, lo stesso Tremonti fa sapere di essere nuovamente disponibile a prendere in considerazione queste privatizzazioni, in quanto la Legge 133/2008 (cioè il Decreto Tremonti) consente al ministro dell'Economia di prendere questo provvedimento. Il valore degli immobili universitari, e dei beni demaniali in uso alle Università, è stimato ufficialmente in circa trenta miliardi di euro; ma il valore è sicuramente sottostimato, poiché occorre tenere conto del fatto che ci sono di mezzo non solo edifici, ma anche molti terreni edificabili.(6)
La questione dell'emergenza del debito è inseparabile dalla sua "cura". In altre parole, il problema nasce proprio dalla soluzione proposta, o imposta. La destra "antagonista" ha spesso denunciato la tirannia finanziaria, ma in termini tali da farne perdere di vista i veri obiettivi. La "usurocrazia", così efficacemente illustrata dalla retorica accattivante del poeta e saggista Ezra Pound, è diventata una sorta di entità metafisica, come se il debito fosse di per sé capace di determinare una generale "schiavitù" dei popoli.
Questa metafisica della destra mira a separare nell'analisi un capitalismo buono e "produttivo", con i suoi eroi come Henry Ford, dal malvagio capitalismo finanziario dei Rothschild e dei Goldman Sachs. In realtà la schiavitù per debiti entrò in crisi già nell'antica Roma, e persino il carcere per debiti, reso famoso e famigerato dalle opere di Charles Dickens, alla fine fu abolito a furor di popolo.
Nessuna schiavitù del debito è in grado di imporsi da sola alla lunga distanza, ed una cronica dipendenza dal debito alla fine affossa il creditore più ancora del debitore. Nessun rapporto di dominio può fare a meno di esprimersi in una materiale appropriazione del territorio, o attraverso l'occupazione militare, o attraverso la privatizzazione, oppure attraverso entrambe.
Occorre quindi capire a cosa mira realmente, ed a breve, l'emergenza-debito; cioè saccheggiare la ricchezza reale costituita dai patrimoni immobiliari pubblici, a cui tutti i capitalisti sono interessati, sia quelli presunti "buoni" che quelli sfacciatamente cattivi. Tutte le banche sono infatti delle potenze immobiliari, ma lo sono anche la FIAT e la Pirelli. Se il problema del debito pubblico non venisse "curato" si risolverebbe da solo, dato che di fronte ad uno Stato insolvente i creditori possono solo rassegnarsi. Si comprende allora il perché dell'attuale psicoguerra, come mai sia così urgente agitare l'allarme e lo spettro dell'apocalisse finanziaria, in modo da illudere tutti che le privatizzazioni siano la via d'uscita dal tunnel.
Ovviamente le privatizzazioni devono essere fatte a spese dello Stato, come quelle che sta già attuando il governo greco, costretto dal Fondo Monetario Internazionale ad istituire un apposito Fondo del ministero delle Finanze per finanziare i privati interessati ad "acquistare" i beni pubblici. Secondo i metodi tipici della corruzione coloniale, al banchetto delle privatizzazioni vengono chiamati a partecipare anche i gruppi affaristici locali, in modo da garantirsi la opportuna rete di complicità.(7)
Il vero nemico, che la destra "antagonista" non vuole mai evocare, è la proprietà privata dei mezzi di produzione e della terra, ed i metodi di illegalità, di frode e di rapina con cui la proprietà privata si costituisce. La fame di patrimoni immobiliari, ampiamente documentata nella stampa specialistica, rimane però un argomento tabù quando si tratta di rivolgersi al grande pubblico. Sarà perché questa avidità di ricchezza immobiliare fa molto medioevo, e rischia perciò di smentire la mitologia modernistica e pseudo-innovativa, che avvolge come una nebbia il reale funzionamento della sedicente "Economia di Mercato". Nell'epoca della cosiddetta "globalizzazione", infatti la questione della proprietà della terra si pone al centro dell'attenzione, dato che attualmente le multinazionali – comprese quelle del credito, come Goldman Sachs – si dedicano all'appropriazione di terreni nei Paesi del terzo mondo e soprattutto in Africa.(8)
La tesi dell'articolo è incontestabile ed espressa con chiarezza cristallina dall'ottimo colletivo anarchico.
Il giudizio su Putin spero che sia errato e fondato su apparenze o sull'attuale diarchia con Medvedev.
Le accuse alla destra antagonista valgono per l'opinione comune che essa è riuscita a formare; per certi slogan semplificatori, i quali esprimono la formula magica capace (secondo coloro che li utilizzano) di recare verità e giustizia. E' un po' ingenerosa nei confronti della destra antagonista intelligente (la quale sovente ci tiene a dichiararsi di sinistra: Sinistra nazionale). Per esempio, le critiche non sono affatto calzanti nei confronti del gruppo di Rinascita. L'onestà intellettuale deve avere la priorità sulle storiche divisioni e opposizioni. E' vero che Rinascita ci tiene a salvare l'esperienza della RSI. Ma in qualche modo li capisco. Infatti, ormai io salvo esperienze del comunismo che rifiutavo o rimuovevo quando veramente ero comunista. Un po' è un meccanismo psicologico. Un po' è la volontà di non sottostare alla storia narrata dai vincitori, la quale è sempre – sempre- parziale. Ognuno ha la sua storia e la osserva con i propri occhi. Se realmente vi siano dissensi dipende dalle proposte sul che fare oggi. E io credo che il gruppo di Rinascita quando parla dell'oggi sia realmente antagonista, vicino alle posizioni mie e del collettivo Comidad e che non cada nel mito dell'usurocrazia. Ben sapendo che l'obiettivo ultimo sono le privatizzazioni: Grecia, gli usurai vogliono accelerare le privatizzazioni http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=8269; Portogallo: parola d'ordine privatizzazioni http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=8175; Russia: Medvedev impone le privatizzazioni http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=9185.
Ciao,
mi pare che in un ventaglio di opinioni come quello che si mostra su questo blog, quest'articolo e quello sulla crisi greca appena più in basso non possano proprio convivere.
Uno Stato non comunista accetta (e regola) l'esistenza di un mercato privato attorno alle sue strutture.
Uno Stato in default non paga i creditori. Se tra quei creditori ci sono cittadini lo Stato danneggia immediatamente e direttamente i cittadini con cui ha stretto dei contratti.
Peraltro è quel che succede in Italia da sempre, e con sempre maggiore frequenza: la regione Lazio paga a 12 mesi ormai, le altre a 4-8 mesi. I cittadini (cioè le imprese private) accettano questo stato di cose perché lo Stato promette loro altre commesse, in un complesso sistema di rapporti di forza (al netto dei quasi inesistenti concorsi, insomma un sistema mafioso) che alla fine coincide con e costituisce la cooptazione partitica, universitaria, e italiota tutta.
Quindi contesto la tesi dell'articolo: non è vero che a uno stato in default che non paga bisogna rassegnarsi. Uno Stato in tali condizioni va riformato dopo che ha pagato i suoi debiti, o comunque con l'obiettivo di pagarli quanto prima. Punto
O si fa i comunisti fino in fondo (niente impresa privata) o tanto vale non farlo
un saluto
Marco
Caro Marco,
ciò che scrivi fa riflettere. Ma una precisazione è d'obbligo. Il default, se deve essere dichiarato e io comincio a credere che debba essere dichiarato, deve prevedere l'integrale soddisfacimento dei crediti delle persone fisiche italiane o residenti in Italia e deve riguardare soltanto i titoli del debito pubblico. Non certo i debiti per beni o servizi acquistati dallo Stato o dagli altri enti pubblici.
Le persone fisiche straniere e non residenti in Italia (praticamente nessuna) e gli intermediari finanziari titolari di bot cct ecc. subirebbero un danno economico. Si tratterebbe soprattutto di banche europee e italiane in particolare (in realtà gli intermediari finanziari non hanno patria) e di fondi di vario tipo. Alcuni, particolarmente coinvolti, rischierebbero il fallimento o fallirebbero, con danni notevoli per i titolari di azioni o di quote. Per evitare che intermediari stranieri acquistino le banche italiane fallite a prezzi stracciati, bisognerebbe procedere alla nazionalizzazione ai sensi dell'art. 43 Cost. (e quindi bisognerebbe uscire dall'europa). Altri subirebbero perdite economiche, con danni di diverso tipo per i titolari di azioni o di quote. L'effetto sarebbe una svalutazione di alcuni capitali. Naturalmente, chi voglia riflettere sulla ipotesi default non può fermarsi qua e deve calcolare altri effetti diretti e indiretti, nonché altri provvedimenti consequenziali che si renderebbero necessari. Se gli effetti fossero soltanto quelli illustrati, dovremmo essere per il default già da domattina!
Se il debito e' frutto di quella moltiplicazione indisturbata del pluvalore che va sotto il nome di finanza speculativa (CDS, giusto per non fare nomi) che ha creato dal nulla qualcosa come 12 volte il PIL mondiale, onorarla e' semplicemente impossibile. Perche' dovremmo indebitarci (ovvero lavorare tutti di piu' e gratis per giunta) per soddisfare gli appetiti mai sazi degli squali di Wall Street? Chi ce lo fa fare?
D'accordo con la precisazione di Stefano, mi pare necessaria.
Sul calcolo infinitesimale delle conseguenze di un default il discorso è molto interessante. Sicuramente le ricadute dei fallimenti bancari sui cittadini sarebbero enormi, dato che ora come ora nove imprese su dieci in Italia (le famose pmi) stanno sulla linea di pareggio di bilancio o un po' sotto per non pagare tasse, certo, ma anche perché campano sui fidi bancari, e falliscono quando i ricavi (sempre ante imposte) cominciano a raggiungere il valore degli interessi pagati. Tra l'altro in questo senso non vedo differenza tra un default di uno Stato e quello (che qui non ipotizziamo) di una banca, o di tutte le banche, tranne per il fatto che un default bancario generale nazionalizzato significherebbe costringere lo Stato a pagare la sopravvivenza delle dette aziende, cioè sgravandole fiscalmente, essendo venuto a mancare lo strumento principale per raccattare soldi, ovvero le tasse di quelle piccole e medie aziende, appunto.
Allora che si fa, si tassano le aziende in perdità? Quanto potrebbe durare?
Per quanto riguarda la speculazione e il suo incredibile peso, sono assolutamente d'accordo con Tonguessy, e con voi in generale. Mi pare che il problema sia come uscirne.
Stavolta gli hedge funds americani hanno aggredito i metodi (peraltro inaccettabili) con cui le banche italiote tiravano a campare dopo il default irlandese di due anni fa: hanno divorato alle aste i titoli di debito degli stati in difficoltà, quelle aste in cui le banche locali compravano titoli al 3%-4% di rendimento, dovendo restituire i soldi con cui le pagavano alla Bce al 1-1,5% nello stesso periodo. Cioè hanno bruciato l'erbetta di cui si nutrivano i pachidermi nostrani, che peraltro fino al giorno prima erano naturalmente contenti che i bilanci statali andassero male, giacché la forbice d'interesse con la Bce aumentava. Le banche nostrane non hanno potuto lamentarsi perché questo è quel che si chiama "mercato", "asta" e così via.
Eroo allarmato dal fatto che un hedge fund si fosse comprato dei bot italiani, ma poi a pensarci bene…. il problema sono le banche in cui versiamo i risparmi. Parlo di quelle piccole, quelle locali, che se potessero si comporterebbero come quelle grandi
E dunque? Dunque se dagli hedge funds non ci si può proteggere se non con un protezionismo che al momento mi pare non realizzabile, che resta? Nessuno ha provato a pensare di liberarsi dell'anello malato del meccanismo? Delle banche intendo, cominciando con quelle locali. Il motivo per cui questa volta l'Italia si è trovata in crisi è di nuovo un meccanismo automatico di protezione dei nostri istituti bancari. Non c'è nessuna differenza tra vendere i bot a Generali o a un hedge fund. Così il rischio di default pubblico se lo accattano loro in primis
Invece è la clientela, non il mercato, che ha causato questo disastro. Il fatto che la Bce preferisca prestare denaro a tassi risibili alle banche europee, più regolamentate di quelle americane, questo è il problema. Il resto invece era prevedibile. Quasi automatico. E succederà ancora, credo
… da continuare, se vi va
Marco
Caro Marco,
mi permetto di sospendere il nostro dialogo (ma sul default tornerò in molte occasioni, perché è la soluzione che si impone e dunque occorre sceglierlo e non subirlo e governarlo e non esserne travolti). Infatti, non mi è ancora chiara la natura, le cause e le origini del recente tremolio finanziario (una semplice fase di una crisi che, se non ci sarà il crollo, durerà per decenni). Tu fai delle ipotesi, che non mi sono del tutto chiare, come in generale non mi è chiara questa complessa materia. Quindi devo procedere con i piedi di piombo.
hai ragione, facciamo una pausa. Però urge riparlarne
ciao
M.