La proposte ‘supply-side’ eurorientate del neo governo gialloverde
di NICOLA DI CESARE (FSI Cagliari)
In varie occasioni il nuovo governo giallo-verde ha dichiarato che in prima battuta vuole perseguire delle politiche economiche supply-side (rivolte al lato dell’offerta), peraltro finanziate “dal basso” con il temporalmente inevitabile aumento dell’IVA. A mio avviso ciò costituisce un errore che manifesta una incapacità di leggere la realtà economica del paese abbastanza preoccupante.
La priorità per le imprese italiane non è tanto la sostenibilità dei costi fiscali in senso stretto (più avanti parlerò dei costi fiscali occulti o accessori); ma la insostenibilità della debolezza della domanda interna.
Rendere più leggero il fisco per le imprese è un provvedimento che resta nella sua impellenza certamente indiscutibile, ciò che non va bene è la cronologia dell’intervento.
Per la situazione di liquidità generale in cui versano le masse popolari, che come sappiano rappresentano il volano principale della domanda interna per effetto della elevatissima propensione al consumo, il primo provvedimento avrebbe dovuto incidere sul fronte del lavoro salariato:
- incremento dell’occupazione pubblica, almeno ai livelli medi operati nelle PPAA ad esempio in Francia, nella sanità, scuola, università, ricerca, trasporti ed altri, in un ottica di rinazionalizzazione di tutti i settori strategici;
- stabilizzazione dell’occupazione (la propensione al consumo aumenta all’aumentare delle aspettative di reddito nelle fasce di reddito medio-basse);
- defiscalizzazione dei redditi da lavoro dipendente e da pensione;
- defiscalizzazione secca decennale per le imprese che assumono personale stabile.
Tutto ciò perché occorrerebbe in primis uscire dalla maledetta trappola di liquidità imposta dalla scellerata austerità esogena e indurre le imprese a “sentire” la ripresa del mercato e a rimettersi in moto, riducendo l’attuale considerevole output gap che incide in modo significativo (questo non lo si dice mai) sulla produttività e sul CLUP.
Impegnare in prima battuta in provvedimenti di carattere mercatista come la defiscalizzazione delle imprese da certamente respiro al comparto manifatturiero export-oriented, ma non credo che possa avere un impatto temporalmente significativo per le imprese che lavorano esclusivamente per il mercato interno e in misura ancora minore per il terziario.
Detto questo non rinnego la logica di intervenire per spingere per quanto possibile gli investimenti ma il rischio è che tutto ciò si traduca in prima battuta in una presa di beneficio e in una ulteriore tesaurizzazione delle risorse disponibili in attesa che la domanda si risvegli.
Vorrei inoltre, come anticipato, far presente che esistono modi alternativi di incidere sui costi di impresa che non implicano direttamente l’impegno o la riduzione del carico fiscale ma ne ridefiniscono la tempistica.
Uno di questi sarebbe riportare alla normalità il prelievo temporale e per abolire per sempre, nell’anno in corso, l’anticipo fiscale per l’esercizio successivo e gli studi di settore. Si paghi sempre e solo quanto dovuto e solo a consuntivo. Altro opportuno provvedimento sarebbe il versamento dell’IVA in unica soluzione e a compensazione contestualmente al prelievo sul reddito d’impresa.
Considerato, come si è detto, che l’elemento temporale, per un buon successo nelle politiche di crescita, è un elemento imprescindibile, così come lo è la massa monetaria immessa nel sistema nell’unità di tempo, tutto ciò, se non supportato da politiche di push up monetario non ascrivibili alle azioni statutarie della BCE, non potrà essere realizzato se non con ulteriore indebitamento ad interesse passivo insostenibile (cioè superiore al saggio di interesse reale di crescita); questo a meno che anche l’Italia, attraverso la Banca d’Italia si doti, come la Germania ha da tempo fatto con la Bundesbank per la Finanzagentu (l’Agenzia del debito tedesca), di un servizio che agisca come congelatore di ultima istanza dei titoli invenduti sul primario da poi rivendere (con calma) sul secondario, costringendo i mercati ad assorbire i titoli a lungo a tassi prossimi al costo del denaro fissato dalla BCE.
Si aggiunga inoltre che sono da considerare in ambito Eurozona gli effetti perversi di un aumento di spesa a deficit per quanto attiene al suo impatto sulla sostenibilità delle partite correnti (ma questo è un altro capitolo di analisi).
Ora vorrei porre l’accento su un problema di cui non si parla abbastanza o per niente nelle analisi economiche macro fondate ma che hanno invece un’ enorme rilevanza in termini microeconomici e di sostenibilità delle attività di impresa.
Il secondo intervento impattante sarebbe opportuno realizzarlo sui costi occulti o accessori d’impresa imposti dalla ormai insostenibile pletora di adempimenti normativi; ne cito solo alcuni:
- espletamento intollerabile delle scadenze fiscali e previdenziali;
- privacy;
- sicurezza del lavoro;
- certificazioni, marchiature e sistemi certificati di gestione;
- corsi di adeguamento professionale obbligatori (crediti, abilitazioni e quant’altro);
- formazione professionale continua delle maestranze;
- costi bancari;
- costi di gestione infotelematica;
- sicurezza pubblica e sorveglianza;
- utenze;
- costi di gestione legale.
Ne esistono almeno un centinaio e incidono in modo estremamente significativo sul detrimento del reddito di impresa. Molte di questi adempimenti dovrebbero e potrebbero essere monitorati e ricompresi in una “offerta pubblica di servizio globale all’impresa” a titolo gratuito e/o a costi contenuti. Ma di questa, che dovrebbe essere la vera rivoluzione della pubblica amministrazione in chiave proattiva a reale supporto del sistema produttivo del paese, parleremo in un altro articolo, così come tratteremo il tema degli incentivi alle rilocalizzazioni produttive dall’estero e delle delocalizzazioni interne nord-sud.
Commenti recenti