Atlantico intervista Alberto Bagnai: «Priorità alla crescita»
Pubblichiamo un’interessante intervista della rivista francese online Atlantico al senatore della Lega Alberto Bagnai. Traduzione a cura di Paolo Di Remigio del FSI di Teramo.
Politica italiana
Pubblicato il 1 giugno 2018
Atlantico: Qualche giorno fa è arrivata la sorpresa delle dimissioni del Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, che ha preso così atto del rifiuto del presidente Mattarella di nominare Paolo Savona al Ministero delle Finanze, in ragione del suo euroscetticismo e dei timori relativi alle intenzioni dell’alleanza tra la Lega e il M5S di preparare un’uscita dall’euro. Quali erano le intenzioni reali della coalizione tra i due partiti?
Alberto Bagnai: La situazione è un po’ paradossale perché ci è stata attribuita un’uscita dall’euro che non era nei nostri programmi. Ciò di cui abbiamo parlato, ciò che è scritto ovviamente sul programma della Lega, era di riesaminare i trattati europei e non di uscire dall’euro con un atto unilaterale. Ciò che la Lega – in quanto Lega – proponeva era di discutere con i nostri alleati europei, e se non vi fossimo riusciti, avremmo proposto di tornare a un sistema monetario equivalente a quello che esisteva prima del trattato di Maastricht.
Ma non era una proposta violenta o unilaterale. Avremmo semplicemente chiesto una riflessione sul perché l’esperienza dell’euro, con ogni evidenza, non sia un successo, né per noi né per parecchi altri paesi europei, compresa la Francia. Ma questa era la proposta del programma della Lega.
In seguito abbiamo lavorato per circa tre mesi, e nelle ultime tre settimane abbiamo lavorato con il M5S che ha chiesto di eliminare questa proposta, e noi lo abbiamo accettato. Ciò che restava era la necessità di ridiscutere alcune regole di bilancio la cui irrazionalità è evidente. Perché queste regole ci hanno obbligato a fare politiche procicliche in recessione e forse ci obbligheranno a fare politiche contro-cicliche in espansione. Tutto ciò è perfettamente irrazionale. Le previsioni di crescita sono tali che nel 2021 il PIL pro capite degli italiani toccherà il livello che aveva nel 2003. Abbiamo un vuoto di 18 anni nei quali l’Italia non ha avuto crescita economica.
È dunque chiaro che la nostra priorità è la crescita nella misura in cui la si può attendere nel rispetto delle regole europee, e forse, se questo non è possibile, l’astensione da alcune di queste regole. Bisogna ricordare che un pericoloso populista, Matteo Renzi, il segretario del Partito Democratico, ha detto nel 2015: “I soli paesi che hanno una crescita economica nell’euro zona sono quelli che hanno infranto le regole”. Dunque il Partito Democratico era così consapevole dell’irrazionalità di queste regole e si propose di discuterle. Non abbiamo capito, in quanto italiani, perché il governo del Partito Democratico non abbia difeso gli interessi degli Italiani e dell’Italia, tenuto conto del fatto che gli interessi del nostro paese sono anche interessi dell’Europa. Perché l’Italia è una parte importante dell’Europa dal punto di vista economico, per non parlare del punto di vista dell’identità culturale europea.
La decisione di Sergio Mattarella è dunque ingiustificata e incomprensibile, perché Paolo Savona, al contrario di quello che dicono i giornalisti italiani, è un europeista e l’ha sempre dimostrato. Egli ha fatto ricorso in modo continuo ai principi dell’Unione europea quali sono stati proposti a noi tutti, italiani e francesi. Ma è evidente che questo spirito non è comune a tutti i popoli e forse soprattutto a tutti i politici europei. Si è potuto vedere questo martedì un politico tedesco minacciare l’Italia con rappresaglie dei mercati. Questo politico appartiene al popolo che in Italia si è reso famoso qualche decina di anni fa con altre rappresaglie. Queste parole non sono il vero spirito europeo e questo è lontanissimo dallo spirito di Paolo Savona. La scelta di Paolo Savona era la scelta di un uomo che ha servito in tutte le istituzioni più importanti d’Italia, la Confindustria italiana, la Banca d’Italia, è stato ministro, conosce tutti gli autori della moneta unica, ha cooperato con il progetto europeo perché vi credeva e vi crede. Il fatto di avere avuto questa esperienza all’interno della Banca d’Italia ne fa uno che ha una conoscenza molto profonda delle istituzioni. È uno che potrebbe negoziare in modo credibile condizioni migliori per l’Italia e dunque per l’Europa – insisto sul fatto che vogliamo la crescita economica in Italia perché la vogliamo in Europa – . In questo ruolo era molto più credibile degli amici del signor Renzi.
Questa decisione è dunque incomprensibile. Ci si deve accontentare di quello che il nostro Presidente ha dichiarato nel suo discorso pubblico, in cui ha detto che i mercati si sarebbero preoccupati. Qualcuno ha letto queste parole come un indizio che il Presidente abbia recepito e accettato pressioni straniere. Abbia quindi condizionato l’esercizio della democrazia italiana a pressioni che non sarebbero venute dal corpo elettorale. Questo sarebbe inaccettabile, e questo è stato biasimato da quasi tutti i costituzionalisti italiani. Era stato biasimato prima, è stato biasimato dopo.
Come interpreta la reazione dei mercati sui tassi di interesse italiani? Vi scorge una reazione a uno scenario in cui la Lega sarebbe capace di ottenere una maggioranza, da qui alla fine dell’anno, con un obiettivo di uscita dall’euro? Per riprendere le parole del commissario Oettinger, i mercati insegneranno agli italiani per chi votare?
Il presidente Mattarella è stato biasimato anche dai mercati, perché non si sono stabilizzati dopo questo episodio. Certi investitori hanno anche visto qui una violazione delle regole democratiche e se ne sono preoccupati. Perché questa violazione delle regole apre scenari che non possiamo valutare e soprattutto ha portato a una radicalizzazione del dibattito che noi auspicavamo, e auspichiamo ancora, di scongiurare. Non vogliamo che il dibattito si radicalizzi, non è auspicabile che questo dibattito sia in favore o contro l’euro. Non è nostro obiettivo, nostro obiettivo è riportare la crescita.
Dopo il signor Monti abbiamo avuto 13 trimestri di recessione e dobbiamo uscire da questa situazione. Anche se l’uscita dall’euro avesse un senso, non avrebbe alcun senso procurarla con un paese indebolito e tornato indietro di 18 anni. Nessuno lo pensa, né il M5S né la Lega. Tutto quello che è stato detto non sono che i rantoli di un sistema di potere colpito a morte dagli elettori e che con questa operazione di propaganda prova a diffondere l’idea che siano arrivati a Roma dei barbari e che siano totalmente irragionevoli. Quello che è irragionevole è il modo in cui il PD si è comportato.
Vorrei addurre un elemento che illustra come gli italiani vivano la situazione attuale. Nel 1999, in un’intervista molto nota pubblicata da un editore italiano, Mario Monti disse che lo scopo del progetto europeo era di mettere al riparo dal processo elettorale le decisioni importanti. Per esempio, quando si tratta di tagliare gli investimenti da 54 a 33 miliari, lo si fa dicendo che è l’Europa a chiederlo. Si dice che è l’Europa perché le stesse istituzioni europee sono al riparo dalle elezioni e perché è difficile controllarle politicamente. Occorre che i francesi sappiano che gli elettori italiani ascoltano questa canzone ormai da 10 anni, e ne hanno tutti fin sopra i capelli. E se non ci fossero partiti che come noi e con molta calma propongono politiche per la crescita con un atteggiamento ragionevolmente critico verso l’Europa, la situazione politica sarebbe molto più tesa.
Secondo voi un’uscita dall’euro è una necessità? Paolo Savona aveva potuto indicare la settimana scorsa sulla Stampo che la gestione dell’euro doveva tener conto di un obiettivo di crescita più che del controllo dei prezzi. Un simile obiettivo può essere considerato credibile rispetto ai rapporti di forza attuali?
La questione dell’uscita dall’euro non è nella nostra agenda politica. Ma c’è un’altra questione che occorre evocare per la semplice ragione che la scienza economica l’ha sempre evocata, che è quella della tenuta dell’euro. È ovvio che l’euro potrebbe essere messo in pericolo dall’Italia, come lo è già stato dalla Grecia, ma potrebbe essere messo in pericolo da altri paesi. Occorre dunque porsi la questione del perché i partiti che hanno un atteggiamento scettico rispetto alla moneta unica o al progetto europeo stiano guadagnando terreno un po’ dappertutto. Occorre anche porsi la domanda sul senso di un progetto politico che entra in crisi ogni volta che gli elettori sono chiamati a esprimersi in qualunque paese, grande o piccolo. L’Europa trema continuamente. Qual è il senso politico di un progetto che trema a ogni elezione e che mostra la sua fragilità in modo così eclatante?
La necessità dell’Italia è la crescita economica. È anche avere strade che si possano percorrere senza rischiare di morire come è accaduto nella mia circoscrizione della regione Abruzzo, o avere ospedali che siano a meno di tre ore dal luogo in cui se ne ha bisogno. Gli investimenti pubblici italiani sono caduti da 54 miliardi nel 2009 a 33 miliardi nel 2017. Si sono ridotti quasi della metà. Uno choc simile ha anche effetti sulla produttività, sull’offerta dell’economia italiana, perché senza infrastrutture, l’economia non può prosperare. Vedo degli imprenditori che mi dicono che il trasferimento di un container da Napoli all’est del paese costa 500 euro, mentre ne costa 800 farlo arrivare dal Vietnam. Perché? Perché nel caso di Napoli occorre attraversare l’Italia e questo è talvolta un’impresa eroica. Questa è la priorità.
Un’uscita dall’euro, in questo momento, non è una necessità, ma è necessario fare una riflessione urgente e seria sulla tenuta dell’euro. Non nell’interesse esclusivo dell’Italia, ma nell’interesse di parecchi paesi nei quali è visibile un malcontento crescente della popolazione.
Aggiungerei che il grande merito di Paolo Savona è di aver posto questo problema dal 2012. Abbiamo un piano per gestire uno choc che potrebbe colpire l’euro? È il discorso del piano B, ripreso dai partiti di sinistra e di destra. Ma se la crescita riparte, non ci sarà bisogno di nessuna uscita di qualunque sorta.
Secondo la BRI (Banca dei Regolamenti Internazionali) le banche francesi sono esposte per 269 miliardi di euro nei confronti dell’Italia. Cosa dite a questi creditori?
A questi creditori voglio dire che è loro interesse che l’Italia riprenda un percorso di crescita. La sostenibilità del debito pubblico italiano non è in discussione, ma è evidente che se delle politiche di austerità facessero aumentare il rapporto debito/PIL com’è accaduto nel 2012-2013, la nostra situazione sarebbe resa fragile. Ricordo che non c’è mai stato un fallimento dello Stato italiano dal 1861, mentre la Germania ha fatto défaut parecchie volte. È un dato storico che dipende da un carattere ben preciso del popolo tedesco, che ammiro; potrei riassumerlo in questa frase: ci sono dei popoli che si battono fino alla vittoria, ma i tedeschi si battono fino alla sconfitta. Non si accontentano di vincere, vogliono di più, vogliono “stravincere”.
Questo ci riporta a un’altra questione. Si è permesso alla Spagna di fare un deficit, un saldo negativo di bilancio di 5-6-7 punti di PIL. Ho sempre cercato di capire perché si lo si sia permesso alla Spagna e non all’Italia. Una spiegazione sarebbe che il debito spagnolo è inferiore al nostro. Ma un’altra spiegazione è che i creditori tedeschi sapevano benissimo che se non avessero permesso alla Spagna di fare politiche in favore della crescita, i loro crediti sarebbero stati in pericolo. Mi auspico che i creditori conoscano le regole dell’economia: è nell’interesse di tutti creare un clima favorevole alla crescita.
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